Parole di strada

parole di stradaLe parole di strada crescono come le erbe selvatiche. Sono capitate lì per caso, per sfida o per gioco, caparbie nel difendere la propria posizione. Disordinate e insolenti, fastidiose, sguaiate, irreverenti. Noiose, spesso, anche se talvolta inaspettate, commuovono. Troppo pallone, troppa violenza, un po’ d’amore, tanta vernice, poca grammatica. Ci sono proclami e poesie, invettive e sarcasmo, buoni propositi e amore esagerato. Belle, ma per lo più brutte, le parole imbrattano i muri come le erbacce imbrattano le aiuole. Come l’erba cattiva, che poi così cattiva non è mai.
parole di strada
Il sole secca l’erba, la pioggia dilava le parole. Tornano sempre, libere come gatti randagi, aggrappate alle pareti, esposte alle intemperie e agli sguardi. Ogni tanto una mano di vernice, la falciatrice o la zappa, le sradica e le estirpa per un poco. Quanto dura? Ho visto scritte riemergere sotto una mano di pittura troppo sottile. Le erbacce, come è noto, non muoiono mai.
Liberiamo i fiumi
Stanno lì, al limitare del nostro percorso, all’altezza dei nostri occhi. Dovrebbe essere impossibile non vederle, non accorgersi di loro. Eppure, come i fiori di strada, sono ignorate e neglette. Disprezzate. Ci si passa sopra. Si guarda al di là, più lontano, verso gli orizzonti dei nostri inutili pensieri.
amore

Eppure, come quei fiori spontanei che nella loro migliore stagione sono belli come quelli dei vivai, a volte le parole di strada sono doni al passante, briciole di luce, messaggi.  Invenzioni. Citazioni. Ricordi d’infanzia. Sussurri. Sberleffi. Esagerazioni.

 

Scateniamo tempeste, ma ci piace il sole

Papiro sulla strada

Falso papiro

Cyperus alternifolius

Nell’assolata, fresca mattina di dicembre, mentre si sgocciolano gli ultimi giorni dell’anno, siamo nella frazione di San Desiderio, la strada si chiama via Ettore Bisagno, in attesa dell’autobus n.86. Sul bordo della strada cresce e fiorisce il falso papiro. Non mi stupisce è nato spontaneo anche nel mio giardino (vedi per esempio 25 agosto 2009), è una pianta che non ha bisogno di molto per crescere, ma l’acqua e il sole sì, di quelli non ne può fare a meno.

Germani reali nel torrente Sturla

Germani reali nel torrente Sturla

E’ un protagonista negli angoli delle strade negli ultimi tempi, non so se prima non lo avessi mai notato o se davvero non c’era. Le piante fanno così, spuntano quando vogliono; ma se qualcuno ne volesse una pianta, si può far radicare una raggiera di foglie appoggindola su un bicchier d’acqua.

Poco lontano, nel torrente Sturla, un gruppetto di germani reali ripara la testa sotto le ali perchè non fa proprio caldo e il torrente è all’ombra.

Rose bianche

Rose bianche in piazza Emporio

Rose bianche in piazza Emporio

 

Cultivo una rosa blanca
en junio como enero
para el amigo sincero
que me da su mano franca.

Y para el cruel que me arranca
el corazón con que vivo,
cardo ni ortiga cultivo;
cultivo la rosa blanca

(fra Lungotevere Aventino e Lungotevere Testaccio, Roma)

Tufello, borgata fiorita

Tufello Platanus acerifolia

Platanus acerifolia

 

Platani e aceri negundi costeggiano gli ampi viali del quartiere/borgata del Tufello, più propriamente zona urbanistica del terzo municipio di Roma, che deve il suo nome al costituente tufaceo del suolo su cui è costruito.
Platani vivacemente in buona salute, con foglie lucide, appena tendenti al giallino in questo inizio d’autunno. Un quartiere brulicante di fioriture, in ogni angolo della strada e nei cortili dei palazzi popolari di via delle Isole Curzolane e strade limitrofe, via Monte Petroso, via Scarpanto, via Monte Ruggero. Nomi geografici per le strade della periferia storica romana, dalle valli ai monti, verso le isole della Dalmazia. Il Tufello venne edificato per ospitare italiani rimpatriati dall’estero, verso il 1940, anche se su una targa vicino a un portone leggo che questi condomini sono stati costruiti dal Ministero dei lavori pubblici nel 1957.

Datura wrightii

Datura wrightii

Brugmansia

Brugmansia

La Datura, forse D. wrightii ovvero D. innoxia, ingombra le aiuole, mentre la Brugmansia arborea, con i suoi lussureggianti imbuti pendenti e variopinti, fa capolino in tutti, ma proprio tutti, i giardini condominiali.
La Brugmansia, variante arborea della Datura, un tempo era inclusa nello stesso genere come Datura arborea (vedi 20 luglio 2008). Per questo le due piante si assomigliano parecchio, a cominciare dai fiori, “trombe degli angeli” in inglese, fino alle proprietà officinali, o meglio neurotossiche, a causa della presenza di atropina e scopolamina e altri alcaloidi tipici delle solanacee.

E poi ci sono gli ibischi, queste malvacee che sembrano rose, all’ombra dei nobili pini domestici. Ma di questi ho già detto abbastanza nell’altro blog (vedi il link).

Hibuscus mutabilis

Hibuscus mutabilis

Pare che tutta questa ridondanza vegetale sia veramente felice di essere qui. Sarà che è un bellissimo pomeriggio d’autunno (terremoto nonostante), un giorno di festa, l’aria frizzante e limpida, le strade tranquille. I muri degli istituti scolastici e di vari centri sociali e culturali sono coperti di variopinti murales, alcuni bellicosi, ma sempre artistici. Nel cortile di una di queste scuole, un orto lussureggiante mi fa domandare chi sia che si diletta a coltivare ortaggi e fiori proprio dentro una scuola. Esistono ancora i custodi?

Plumbago capensis

Plumbago capensis

All’incrocio, un’edicola, non un negozio di giornali, una madonna, incorniciata da un’altra protagonista di queste strade, la Plumbago capensis (vedi in questa pagina, 8 agosto 2009). Tutte piante generose e ricche, colorate e avide di sole. I pericoli forse sono dietro l’angolo, ma  il freddo qui non fa paura a nessuno.

(ricordo che cliccando sulle immagine, le fotografie in formato 800×600 px si aprono in un’altra pagina)

Ibisco giallo a Sorrento

Ibisco giallo - Hibiscus rosa sinensis

Hibiscus rosa sinensis

Gli ibischi non fioriscono mica dappertutto. Non questa specie di ibisco, Hibiscus rosa sinensis, che è un sempreverde amante del tepore. Per vederlo così fiorito e rigoglioso bisogna varcare il fatidico confine che separa il nobile sole del Nord da quello invincibile del Sud. Ci vuole quel sole schietto che non tradisce mai. In pratica bisogna che l’inverno non scenda troppo sotto i 10°C e che la pianta stia all’assoluto riparo dalla gelate. Più ruspante è Hibiscus syriacus (6 luglio 2008) che si spoglia d’inverno e così si adatta anche a climi meno gentili.
Questo cespuglio giallo brillante lo incontro, nell’affollata città di Sorrento, letteralmente invasa da turisti di tutto il mondo, in questa piazza un po’ defilata, insieme a un gruppo di brasiliani in vacanza. Si tratta, l’ibisco, di una varietà particolare di una specie che per vocazione è rossa.

In questo caso non è una scanzonata pianta vagabonda, qui ci sta per arredo urbano. E’ in servizio, si potrebbe dire. Anche di queste piante ci si dovrebbe occupare con rispetto e riconoscenza.  Non solo i grandi alberi in esilio, ma tutte le piante scelte per allietare piazze e parchi delle città. Non tutte così fortunate da essere in perenne vacanza a Sorrento.

Tutti i colori della piracanta

Pyracantha coccinea

Arbutus unedo
Pyracantha coccinea
Viburnum tinus

L’aiuola spartitraffico della Val Bisagno, lungo le strade dedicate ai sindaci di Genova (Gelasio Adamoli e poi Augusto Pedullà) è adorna di essenze mediterranee.
In mezzo a varie erbacce (per le quali però io ho sempre un occhio di riguardo), in autunno spiccano superbi i frutti del corbezzolo (Arbutus unedo), dell’agazzino (Pyracantha coccinea) e del viburno (Viburnum tinus). Non mancano certo pittospori e lagerstroemie, ma il colore dominante è quello delle piracante.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

La piracanta, il cui nome comune agazzino è ormai poco usato, è una rosacea fieramente spinosa, che nasconde i suoi aghi micidiali dietro amabili fiorellini bianchi (vedi 18 maggio 2008) e poi bacche dai colori sgargianti, dal giallo all’arancio al rosso. Così si adatta egregiamente per realizzare siepi invalicabili e variopinte bordure che richiamano i colori dell’autunno.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

Pioppo vanitoso

Populus nigra

Populus nigra

Sono arrivati (finalmente …) i primi acquazzoni autunnali. La temperatura si è abbassata e la terra, secca e ruvida, ha accolto l’acqua come una benedizione. Anche in città. Nonostante la paura delle inondazioni, anche questa città costruita su un labirinto di rigagnoli pronti a straripare, accoglie la pioggia con una gioia cristallina. Perchè la pioggia è bella, nonostante tutto.pioppo_0972
Questo pioppo nato per sbaglio sul ciglio della strada, addossato al grigio cemento, si specchia in una grande pozzanghera ingombra di varia immondizia e il suo riflesso mi ricorda quello di altri alberi che hanno avuto in sorte di crescere sulle rive di laghetti, fiumi e specchi d’acqua naturale. Più fortunati, forse, ma non meno vanitosi.

La palma nel leccio

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

E’ spuntata una palma nell’incavo di un largo tronco di leccio. E’ cresciuta, le foglie estranee sembrano germogliare dallo stesso tronco. E’ successo nel bosco di lecci poco distante dal parco del’Acquasola (un parco che doveva scomparire, ma che i cittadini hanno difeso dall’aggressione del cemento) proprio nel centro di Genova.
Palma e leccio godono di ottima salute.

Si tratta di un fatto assai comune, un adattamento simbiotico abbastanza innocuo.
Ci sono piante che naturalmente si servono di altre piante per crescere, talvolta solo per sostenersi, come le  rampicanti che si abbarbicano ai loro tronchi, fino a coprirli

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

completamente, a cammuffarli da altro.  Altre piante sono ancora più sfrontate,  utilizzano  altri vegetali per la loro sopravvivivenza, da emiparassite (si servono parzialmente di altre specie per rifornirsi di acqua e sali)  o parassite totali, che sfruttano tutto, radici e energia fotosintetica, delle altre per la sopravvivenza.

Ma no, la piccola palma nana non ha fatto niente di ciò. Ha semplicemente trovato un buchetto confortevole dove adagiare le sue radici nell’incavo di un tronco.
Anche se non mi stupirei che qualche cittadino incallito scambiasse le snelle frange della palma per le foglie del leccio.

Melograno alla COOP

Punica granatum

Punica granatum

Non so come questo modesto e dignitoso alberello di melograno sia arrivato in un posto tanto bizzarro, così inusuale per un nobile albero da giardino e frutteto, il terrapieno erboso fra la strada e l’arido edificio di un centro commerciale di periferia, che ospita fra gli altri un supermercato Coop. Che sia stato il caso, il vento o qualche altra forma di inseminazione naturale mi sembra improbabile. Allora qualcuno ce l’ha messo? E perchè? Forse per le lucide foglie verdi e i fiori che, come è poeticamente noto, sono vermigli?  Stupendi i fiori del melograno, magici i suoi frutti. Ho già detto di questo nel vecchio blog (23 giugno 2009) e in un post più recente (31 dicembre 2011).

Punica granatum

Punica granatum

Per volere, o destino, o fortuna, cresce un melograno vicino alla Coop di Molassana (Lungo Bisagno Dalmazia, Genova). Dentro al supermercato sono in vendita i frutti ipertrofici di un suo qualche fratello, molto gonfi e molto rossi, che ho scoperto essere cileni. Sono stata in Cile, amo i cileni e la loro agricoltura, ma è un po’ triste e stupido che i melograni debbano fare mezzo giro del mondo per essere mangiati. Dentro al supermercato sono in vendita anche varie marche di succo di melograno, le cui virtù salutari sono rinomate per combattere il logorio del progresso che ci ossida l’esistenza.
Qui fuori, sulla sponda dell’asfalto, questi frutti probabilmente non hanno un buon sapore. Il melograno ornamentale ha frutti secchi ed acidi e questo per di più, anche se ornamentale non è, cresce sul ciglio di una strada a grande percorrenza, fra i vapori dei carburanti e i miasmi degli scappamenti. Non fa venire voglia di assaggiarlo.

Punica granatum

Punica granatum

A primavera ce l’ha certo messa tutta a fiorire, e, ornato delle sue carnose campane rosso fuoco, sarà stato, non ho dubbi, magnifico. Non so perchè, ma mi stringe il cuore pensare, che, nella fretta fra il parcheggio e la spesa, davvero in pochi lo avranno notato. D’altra parte è assai raro che la gente, in città, guardi gli alberi. Ben diversa la sua sorte sarebbe stata se invece che dietro le sbarre di un centro commerciale fosse cresciuto in un frutteto o in un elegante giardino, potato, concimato e riverito. In realtà non c’è di che stupirsi, il melograno è un albero di poche pretese, che cresce bene anche su terreni poveri e, in posizione soleggiata e al riparo da forti gelate, non conosce avversità. Guerriero di antiche origini e dalla storia millenaria, pronto ad adattarsi persino fra catrame e petrolio.

Sotto il ponte di Berlino

Berlino

Berlino, Rathausbrücke

A Berlino, sotto il Rathausbrücke, corre un percorso di cemento vicino all’acqua. Siamo a poche centinaia di metri dall’antico municipio, Rotes Rathaus, storico edificio rivestito di mattoni rossi (da cui il nome) che ai tempi della divisione della città si trovava nella zona sovietica e funzionava da casa comunale solo per quella parte. E’  poi definitivamente tornato ad ospitare il municipio della città riunificata nel 1990.
Si dice che a Berlino ci siano più ponti che a Venezia ed è certo che in questa città l’acqua è una presenza e fa capolino un po’ ovunque.

Berlino, tanaceto

Tanacetum vulgare

Sul bordo della strada, o meglio del fiume  Spree, si protendono i lunghi fusti dei tanaceti dal bottone giallo (Tanacetum vulgare, vedi 24 luglio 2008) e le flessuose onde della solidago maggiore (Solidago gigantea). Sorprendo gli ombrellini bianchi dell’achillea (Achillea millefolium, vedi 10 agosto 2009) oltre le inferriate di uno dei numerosissimi cantieri di questa città, ancora ferita, sempre in movimento. Fiori, dunque, e ancora fiori. Non certo la raffinata e superba decorazione delle aiuole nello splendido giardino dello Schloss Charlottenburg, nobile residenza degli Hohenzollern, di cui mostrerò a breve, ma qualcosa di irrimediabilmente più modesto. Solo giallo e bianco, che noia, mi diceva un’amica un po’ snob un giorno alla ricerca di essenze per il suo giardino. Che noia, un ponte di cemento, i cancelli di acciaio leggero, le bande arancioni e le insegne del cantiere, l’acqua morbida e opaca del fiume. Achillee bianche, solidago e tanaceti gialli. Che noia.

Berlino, solidago

Solidago gigantea

Berlino, achillea

Achillea millefolium

Eppure non c’è fiore più elaborato dell’achillea, con i suoi corimbi composti (volgarmente li diremmo ombrelli), formati da numerosi capolini (che volgarmente chiameremmo margheritine) che hanno fiori periferici ligulati bianchi e ligula (volgarmente sarebbe una specie di petalo) quasi quadrata e frastagliata sul bordo. Un capolavoro. La solidago, per parte sua, è un trionfo d’oro, tanto che la sua parente silvana si chiama verga d’oro, Solidago virgaurea. Fiorisce d’estate e brilla come un festone acceso. Il tanaceto, invece, ha rinunciato alle ligule per far tesoro, come dobloni, dei suoi capolini solari. Le foglie ruvide e aromatiche danno corpo a un’antico liquore che i piemontesi chiamavano Arquibus o arquebuse, forma dialettale di archibugio, perchè, si racconta, fosse utile ad alleviare il dolore dei feriti da arma da fuoco.
Per oggi, quindi, tre piante banalissime, signora mia, che noia.