Sotto il ponte di Berlino

Berlino

Berlino, Rathausbrücke

A Berlino, sotto il Rathausbrücke, corre un percorso di cemento vicino all’acqua. Siamo a poche centinaia di metri dall’antico municipio, Rotes Rathaus, storico edificio rivestito di mattoni rossi (da cui il nome) che ai tempi della divisione della città si trovava nella zona sovietica e funzionava da casa comunale solo per quella parte. E’  poi definitivamente tornato ad ospitare il municipio della città riunificata nel 1990.
Si dice che a Berlino ci siano più ponti che a Venezia ed è certo che in questa città l’acqua è una presenza e fa capolino un po’ ovunque.

Berlino, tanaceto

Tanacetum vulgare

Sul bordo della strada, o meglio del fiume  Spree, si protendono i lunghi fusti dei tanaceti dal bottone giallo (Tanacetum vulgare, vedi 24 luglio 2008) e le flessuose onde della solidago maggiore (Solidago gigantea). Sorprendo gli ombrellini bianchi dell’achillea (Achillea millefolium, vedi 10 agosto 2009) oltre le inferriate di uno dei numerosissimi cantieri di questa città, ancora ferita, sempre in movimento. Fiori, dunque, e ancora fiori. Non certo la raffinata e superba decorazione delle aiuole nello splendido giardino dello Schloss Charlottenburg, nobile residenza degli Hohenzollern, di cui mostrerò a breve, ma qualcosa di irrimediabilmente più modesto. Solo giallo e bianco, che noia, mi diceva un’amica un po’ snob un giorno alla ricerca di essenze per il suo giardino. Che noia, un ponte di cemento, i cancelli di acciaio leggero, le bande arancioni e le insegne del cantiere, l’acqua morbida e opaca del fiume. Achillee bianche, solidago e tanaceti gialli. Che noia.

Berlino, solidago

Solidago gigantea

Berlino, achillea

Achillea millefolium

Eppure non c’è fiore più elaborato dell’achillea, con i suoi corimbi composti (volgarmente li diremmo ombrelli), formati da numerosi capolini (che volgarmente chiameremmo margheritine) che hanno fiori periferici ligulati bianchi e ligula (volgarmente sarebbe una specie di petalo) quasi quadrata e frastagliata sul bordo. Un capolavoro. La solidago, per parte sua, è un trionfo d’oro, tanto che la sua parente silvana si chiama verga d’oro, Solidago virgaurea. Fiorisce d’estate e brilla come un festone acceso. Il tanaceto, invece, ha rinunciato alle ligule per far tesoro, come dobloni, dei suoi capolini solari. Le foglie ruvide e aromatiche danno corpo a un’antico liquore che i piemontesi chiamavano Arquibus o arquebuse, forma dialettale di archibugio, perchè, si racconta, fosse utile ad alleviare il dolore dei feriti da arma da fuoco.
Per oggi, quindi, tre piante banalissime, signora mia, che noia.

Gli oleandri di via Bruno Buozzi

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

Sono fioriti, abbondanti e variopinti, gli oleandri di via Bruno Buozzi, una strada raggiante e polverosa che corre lungo il mare del porto, dalla stazione marittima alla Lanterna. E’ una strada ampia perchè limitata da palazzi solo da un lato, e sono case antiche, popolari e ordinate. Dall’altra parte il mare si perde, oltre i piloni della strada sopraelevata, cantieri mai dismessi e larghe banchine. La strada è congestionata dal traffico, ma, in questa stagione, gli oleandri fioriti la adornano come fosse un viale elegante.

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

L’oleandro è alberello bistrattato e incompreso. Serena Dandini nel suo celebratissimo ‘Dai diamanti non nasce niente’ (Rizzoli, 2011) lo definisce pianta banale, quasi scema. Mi chiedo se abbia mai guardato un oleandro da vicino. Isabella Casali di Monticelli nel suo raffinato ‘Nel giardino si incontrano gli dei’ (Sperling&Kupfer, 2004) confessa di averlo sempre considerato una pianta da autostrada o da parco cittadino trascurato; finchè lo ha incontrato in Marocco ed ha cominciato a capirlo.

L’oleandro cresce incurante di miasmi e fumi, di offese e disprezzo, nel clima caldo e asciutto del mediterraneo.  La sua fioritura così ricca e appariscente è quasi scontata, così ovvia da correre quasi inosservata. Oppure è guardata con sospetto per la sua fama sinistra di avvelenatrice. E velenosa è sicuramente tutta la pianta, perchè contiene tra l’altro l’oleandrina, un glicoside cardiotonico che provoca nausea e grave aritmia cardiaca. Chissà se sono proprio vere le storie di bambini fatalmente avvelenati perchè avevano masticato le foglie dell’oleandro, di campeggiatori uccisi per aver consumato spiedini di carne alla griglia infilzati in bastoni di oleandro, fino all’immancabile moglie che tenta di liberarsi dell’odiato marito preparandogli un manicaretto con un trito di foglie di oleandro (tutte storie deliziosamente narrate da Amy Stewart nel suo ‘Wicked plants’, Algonqin Books of Chapel Hill, New York, 2009).

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

Molte persone sfuggono l’oleandro come una maledizione. Un amico barista è stato apostrofato duramente da una signora con l’accusa di avvelenare i bambini, per aver posizionato due meravigliosi vasi con oleandri fioriti ai lati della porta del bar, frequentato da ragazzi di una vicina scuola. Un benzinaio mi ha raccontato di clienti che si erano lamentati di un fastidio alla testa causato dal profumo della siepe fiorita di oleandro. E’ vero, l’oleandro è una pianta velenosa. Ma all’ingresso di un bar dovremmo preferirgli i distributori di sigarette e il suo profumo è davvero più fastidioso di quello della benzina?

Meraviglioso oleandro, con quella fioritura aggressiva e robusta, che non ha paura di nulla. Tollera i nostri veleni, anzi li ignora. Molto più potente ed antico è il suo personale. I suoi colori sono voluttuosi, sfacciati, il bianco luminoso, il rosa acceso, il rosso più schietto. Le sue foglie sono spesse, coriacee, i suoi frutti solidi, ingombranti. E la sua fioritura, lunga e lussureggiante, è qualcosa di cui davvero le nostre città non possono fare a meno. Come mi diceva un’amica belga, lei che veniva dal Nord “Mi sentivo scoraggiata, ma poi attraversavo il giardino, gli oleandri fioriti mi davano coraggio, sono così belli gli oleandri, da noi non ci sono.”