Ibisco giallo a Sorrento

Ibisco giallo - Hibiscus rosa sinensis

Hibiscus rosa sinensis

Gli ibischi non fioriscono mica dappertutto. Non questa specie di ibisco, Hibiscus rosa sinensis, che è un sempreverde amante del tepore. Per vederlo così fiorito e rigoglioso bisogna varcare il fatidico confine che separa il nobile sole del Nord da quello invincibile del Sud. Ci vuole quel sole schietto che non tradisce mai. In pratica bisogna che l’inverno non scenda troppo sotto i 10°C e che la pianta stia all’assoluto riparo dalla gelate. Più ruspante è Hibiscus syriacus (6 luglio 2008) che si spoglia d’inverno e così si adatta anche a climi meno gentili.
Questo cespuglio giallo brillante lo incontro, nell’affollata città di Sorrento, letteralmente invasa da turisti di tutto il mondo, in questa piazza un po’ defilata, insieme a un gruppo di brasiliani in vacanza. Si tratta, l’ibisco, di una varietà particolare di una specie che per vocazione è rossa.

In questo caso non è una scanzonata pianta vagabonda, qui ci sta per arredo urbano. E’ in servizio, si potrebbe dire. Anche di queste piante ci si dovrebbe occupare con rispetto e riconoscenza.  Non solo i grandi alberi in esilio, ma tutte le piante scelte per allietare piazze e parchi delle città. Non tutte così fortunate da essere in perenne vacanza a Sorrento.

Tutti i colori della piracanta

Pyracantha coccinea

Arbutus unedo
Pyracantha coccinea
Viburnum tinus

L’aiuola spartitraffico della Val Bisagno, lungo le strade dedicate ai sindaci di Genova (Gelasio Adamoli e poi Augusto Pedullà) è adorna di essenze mediterranee.
In mezzo a varie erbacce (per le quali però io ho sempre un occhio di riguardo), in autunno spiccano superbi i frutti del corbezzolo (Arbutus unedo), dell’agazzino (Pyracantha coccinea) e del viburno (Viburnum tinus). Non mancano certo pittospori e lagerstroemie, ma il colore dominante è quello delle piracante.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

La piracanta, il cui nome comune agazzino è ormai poco usato, è una rosacea fieramente spinosa, che nasconde i suoi aghi micidiali dietro amabili fiorellini bianchi (vedi 18 maggio 2008) e poi bacche dai colori sgargianti, dal giallo all’arancio al rosso. Così si adatta egregiamente per realizzare siepi invalicabili e variopinte bordure che richiamano i colori dell’autunno.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

Pioppo vanitoso

Populus nigra

Populus nigra

Sono arrivati (finalmente …) i primi acquazzoni autunnali. La temperatura si è abbassata e la terra, secca e ruvida, ha accolto l’acqua come una benedizione. Anche in città. Nonostante la paura delle inondazioni, anche questa città costruita su un labirinto di rigagnoli pronti a straripare, accoglie la pioggia con una gioia cristallina. Perchè la pioggia è bella, nonostante tutto.pioppo_0972
Questo pioppo nato per sbaglio sul ciglio della strada, addossato al grigio cemento, si specchia in una grande pozzanghera ingombra di varia immondizia e il suo riflesso mi ricorda quello di altri alberi che hanno avuto in sorte di crescere sulle rive di laghetti, fiumi e specchi d’acqua naturale. Più fortunati, forse, ma non meno vanitosi.

La palma nel leccio

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

E’ spuntata una palma nell’incavo di un largo tronco di leccio. E’ cresciuta, le foglie estranee sembrano germogliare dallo stesso tronco. E’ successo nel bosco di lecci poco distante dal parco del’Acquasola (un parco che doveva scomparire, ma che i cittadini hanno difeso dall’aggressione del cemento) proprio nel centro di Genova.
Palma e leccio godono di ottima salute.

Si tratta di un fatto assai comune, un adattamento simbiotico abbastanza innocuo.
Ci sono piante che naturalmente si servono di altre piante per crescere, talvolta solo per sostenersi, come le  rampicanti che si abbarbicano ai loro tronchi, fino a coprirli

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

completamente, a cammuffarli da altro.  Altre piante sono ancora più sfrontate,  utilizzano  altri vegetali per la loro sopravvivivenza, da emiparassite (si servono parzialmente di altre specie per rifornirsi di acqua e sali)  o parassite totali, che sfruttano tutto, radici e energia fotosintetica, delle altre per la sopravvivenza.

Ma no, la piccola palma nana non ha fatto niente di ciò. Ha semplicemente trovato un buchetto confortevole dove adagiare le sue radici nell’incavo di un tronco.
Anche se non mi stupirei che qualche cittadino incallito scambiasse le snelle frange della palma per le foglie del leccio.

Melograno alla COOP

Punica granatum

Punica granatum

Non so come questo modesto e dignitoso alberello di melograno sia arrivato in un posto tanto bizzarro, così inusuale per un nobile albero da giardino e frutteto, il terrapieno erboso fra la strada e l’arido edificio di un centro commerciale di periferia, che ospita fra gli altri un supermercato Coop. Che sia stato il caso, il vento o qualche altra forma di inseminazione naturale mi sembra improbabile. Allora qualcuno ce l’ha messo? E perchè? Forse per le lucide foglie verdi e i fiori che, come è poeticamente noto, sono vermigli?  Stupendi i fiori del melograno, magici i suoi frutti. Ho già detto di questo nel vecchio blog (23 giugno 2009) e in un post più recente (31 dicembre 2011).

Punica granatum

Punica granatum

Per volere, o destino, o fortuna, cresce un melograno vicino alla Coop di Molassana (Lungo Bisagno Dalmazia, Genova). Dentro al supermercato sono in vendita i frutti ipertrofici di un suo qualche fratello, molto gonfi e molto rossi, che ho scoperto essere cileni. Sono stata in Cile, amo i cileni e la loro agricoltura, ma è un po’ triste e stupido che i melograni debbano fare mezzo giro del mondo per essere mangiati. Dentro al supermercato sono in vendita anche varie marche di succo di melograno, le cui virtù salutari sono rinomate per combattere il logorio del progresso che ci ossida l’esistenza.
Qui fuori, sulla sponda dell’asfalto, questi frutti probabilmente non hanno un buon sapore. Il melograno ornamentale ha frutti secchi ed acidi e questo per di più, anche se ornamentale non è, cresce sul ciglio di una strada a grande percorrenza, fra i vapori dei carburanti e i miasmi degli scappamenti. Non fa venire voglia di assaggiarlo.

Punica granatum

Punica granatum

A primavera ce l’ha certo messa tutta a fiorire, e, ornato delle sue carnose campane rosso fuoco, sarà stato, non ho dubbi, magnifico. Non so perchè, ma mi stringe il cuore pensare, che, nella fretta fra il parcheggio e la spesa, davvero in pochi lo avranno notato. D’altra parte è assai raro che la gente, in città, guardi gli alberi. Ben diversa la sua sorte sarebbe stata se invece che dietro le sbarre di un centro commerciale fosse cresciuto in un frutteto o in un elegante giardino, potato, concimato e riverito. In realtà non c’è di che stupirsi, il melograno è un albero di poche pretese, che cresce bene anche su terreni poveri e, in posizione soleggiata e al riparo da forti gelate, non conosce avversità. Guerriero di antiche origini e dalla storia millenaria, pronto ad adattarsi persino fra catrame e petrolio.

Sotto il ponte di Berlino

Berlino

Berlino, Rathausbrücke

A Berlino, sotto il Rathausbrücke, corre un percorso di cemento vicino all’acqua. Siamo a poche centinaia di metri dall’antico municipio, Rotes Rathaus, storico edificio rivestito di mattoni rossi (da cui il nome) che ai tempi della divisione della città si trovava nella zona sovietica e funzionava da casa comunale solo per quella parte. E’  poi definitivamente tornato ad ospitare il municipio della città riunificata nel 1990.
Si dice che a Berlino ci siano più ponti che a Venezia ed è certo che in questa città l’acqua è una presenza e fa capolino un po’ ovunque.

Berlino, tanaceto

Tanacetum vulgare

Sul bordo della strada, o meglio del fiume  Spree, si protendono i lunghi fusti dei tanaceti dal bottone giallo (Tanacetum vulgare, vedi 24 luglio 2008) e le flessuose onde della solidago maggiore (Solidago gigantea). Sorprendo gli ombrellini bianchi dell’achillea (Achillea millefolium, vedi 10 agosto 2009) oltre le inferriate di uno dei numerosissimi cantieri di questa città, ancora ferita, sempre in movimento. Fiori, dunque, e ancora fiori. Non certo la raffinata e superba decorazione delle aiuole nello splendido giardino dello Schloss Charlottenburg, nobile residenza degli Hohenzollern, di cui mostrerò a breve, ma qualcosa di irrimediabilmente più modesto. Solo giallo e bianco, che noia, mi diceva un’amica un po’ snob un giorno alla ricerca di essenze per il suo giardino. Che noia, un ponte di cemento, i cancelli di acciaio leggero, le bande arancioni e le insegne del cantiere, l’acqua morbida e opaca del fiume. Achillee bianche, solidago e tanaceti gialli. Che noia.

Berlino, solidago

Solidago gigantea

Berlino, achillea

Achillea millefolium

Eppure non c’è fiore più elaborato dell’achillea, con i suoi corimbi composti (volgarmente li diremmo ombrelli), formati da numerosi capolini (che volgarmente chiameremmo margheritine) che hanno fiori periferici ligulati bianchi e ligula (volgarmente sarebbe una specie di petalo) quasi quadrata e frastagliata sul bordo. Un capolavoro. La solidago, per parte sua, è un trionfo d’oro, tanto che la sua parente silvana si chiama verga d’oro, Solidago virgaurea. Fiorisce d’estate e brilla come un festone acceso. Il tanaceto, invece, ha rinunciato alle ligule per far tesoro, come dobloni, dei suoi capolini solari. Le foglie ruvide e aromatiche danno corpo a un’antico liquore che i piemontesi chiamavano Arquibus o arquebuse, forma dialettale di archibugio, perchè, si racconta, fosse utile ad alleviare il dolore dei feriti da arma da fuoco.
Per oggi, quindi, tre piante banalissime, signora mia, che noia.

Gli oleandri di via Bruno Buozzi

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

Sono fioriti, abbondanti e variopinti, gli oleandri di via Bruno Buozzi, una strada raggiante e polverosa che corre lungo il mare del porto, dalla stazione marittima alla Lanterna. E’ una strada ampia perchè limitata da palazzi solo da un lato, e sono case antiche, popolari e ordinate. Dall’altra parte il mare si perde, oltre i piloni della strada sopraelevata, cantieri mai dismessi e larghe banchine. La strada è congestionata dal traffico, ma, in questa stagione, gli oleandri fioriti la adornano come fosse un viale elegante.

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

L’oleandro è alberello bistrattato e incompreso. Serena Dandini nel suo celebratissimo ‘Dai diamanti non nasce niente’ (Rizzoli, 2011) lo definisce pianta banale, quasi scema. Mi chiedo se abbia mai guardato un oleandro da vicino. Isabella Casali di Monticelli nel suo raffinato ‘Nel giardino si incontrano gli dei’ (Sperling&Kupfer, 2004) confessa di averlo sempre considerato una pianta da autostrada o da parco cittadino trascurato; finchè lo ha incontrato in Marocco ed ha cominciato a capirlo.

L’oleandro cresce incurante di miasmi e fumi, di offese e disprezzo, nel clima caldo e asciutto del mediterraneo.  La sua fioritura così ricca e appariscente è quasi scontata, così ovvia da correre quasi inosservata. Oppure è guardata con sospetto per la sua fama sinistra di avvelenatrice. E velenosa è sicuramente tutta la pianta, perchè contiene tra l’altro l’oleandrina, un glicoside cardiotonico che provoca nausea e grave aritmia cardiaca. Chissà se sono proprio vere le storie di bambini fatalmente avvelenati perchè avevano masticato le foglie dell’oleandro, di campeggiatori uccisi per aver consumato spiedini di carne alla griglia infilzati in bastoni di oleandro, fino all’immancabile moglie che tenta di liberarsi dell’odiato marito preparandogli un manicaretto con un trito di foglie di oleandro (tutte storie deliziosamente narrate da Amy Stewart nel suo ‘Wicked plants’, Algonqin Books of Chapel Hill, New York, 2009).

Nerium oleander

Nerium oleander – Apocynaceae

Molte persone sfuggono l’oleandro come una maledizione. Un amico barista è stato apostrofato duramente da una signora con l’accusa di avvelenare i bambini, per aver posizionato due meravigliosi vasi con oleandri fioriti ai lati della porta del bar, frequentato da ragazzi di una vicina scuola. Un benzinaio mi ha raccontato di clienti che si erano lamentati di un fastidio alla testa causato dal profumo della siepe fiorita di oleandro. E’ vero, l’oleandro è una pianta velenosa. Ma all’ingresso di un bar dovremmo preferirgli i distributori di sigarette e il suo profumo è davvero più fastidioso di quello della benzina?

Meraviglioso oleandro, con quella fioritura aggressiva e robusta, che non ha paura di nulla. Tollera i nostri veleni, anzi li ignora. Molto più potente ed antico è il suo personale. I suoi colori sono voluttuosi, sfacciati, il bianco luminoso, il rosa acceso, il rosso più schietto. Le sue foglie sono spesse, coriacee, i suoi frutti solidi, ingombranti. E la sua fioritura, lunga e lussureggiante, è qualcosa di cui davvero le nostre città non possono fare a meno. Come mi diceva un’amica belga, lei che veniva dal Nord “Mi sentivo scoraggiata, ma poi attraversavo il giardino, gli oleandri fioriti mi davano coraggio, sono così belli gli oleandri, da noi non ci sono.”

La fontana di Piazza Mastai

Piazza Mastai

In piazza Giovanni Mastai Ferretti
fanno il bagno i ragazzetti,
fanno i tuffi nella fontana
della tranquilla piazza romana.
Passano i filobus, la circolare,
pieni zeppi da scoppiare.
Dai finestrini i passeggeri
osservano i tuffi con sguardi severi
e minacciando con il dito
dicono: “Guai ! è proibito!”

Piazza Mastai

Piazza Mastai

Ma io posso leggere nel loro cuore,
sotto la giacca, sotto il sudore.
E dentro c’è scritto: “Fortunati
quei diavoletti scatenati!
Sarebbe bello, invece di andare
al ministero a scribacchiare,
tuffarsi con loro nella fontana
d’una tranquilla piazza romana,
dimenticando il caldo e i guai
nella fontana di piazza Mastai.

Gianni Rodari

Albero di Giuda

Cercis siliquastrum

Cercis siliquastrum
Albero di Giuda, ovvero della Giudea

Non è vero, l’ho già detto, che in città la primavera non si vede. Basta guardarsi intorno con un po’ di interesse e di curiosità, appena girare la testa; anche se bisogna fare attenzione a non perdere d’occhio la strada. Si scoprono nelle piccole aiuole e soprattutto sui muri, una miriade di fiori nuovi, e sconosciuti. Bocche di leone, calendule, astri. Viole, iris e qualche precoce, sperduto papavero. Ogni giorno un fiore in più.
Ma anche senza girare la testa, gli alberi di Giuda è proprio impossibile non vederli. Sono nuvole di rosa acceso che spuntano a tutti gli angoli delle strade. Fra le insegne e i cartelloni pubblicitari, dietro i segnali stradali, contro i semafori. Dappertutto. Per tutto il resto dell’anno se ne stanno silenziosi e quieti, lussureggianti di larghe foglie rotonde, cuoriformi, mimetizzati fra il verde degli altri alberi. E poi spogli d’inverno, in lunga attesa. Ma d’aprile gridano la loro improvvisa gioia di vivere,anche se solo per una ventina di giorni, non di più.

Cercis siliquastrum

Cercis siliquastrum

I fiori, papilionacei, rosa lilla, abbondanti, sgargianti crescono sui rami vecchi, o direttamente sul tronco, prima delle foglie. Prestissimo si trasformano in bacelli nero rossastri, rozzi e coriacei. E le nuvole rosa scompaiono, d’incanto come erano venute.

 Cercis siliquastrum

Una leggenda vuole che proprio ai rami di quest’albero si impiccasse Giuda Iscariota, pentito di aver tradito Cristo. Oppure più semplicemente, albero di Giuda significa albero della Giudea, regione in cui la specie è tuttora diffusa e sicuramente indigena.

Cercis siliquaster
Questo post riprende quello che avevo scritto il 6 aprile 2009 sul mio vecchio blog, che in quel giorno di tragedia e paura terminava così: “Questa notte in Abruzzo è avvenuto un grande terremoto. La nobile e antica città de l’Aquila è ferita e distrutta. Le immagini restituiscono macerie, polvere grigia. Pure dovevano esserci, fino a ieri, alberi fioriti. Pure dovrebbero esserci, anche oggi, alberi fioriti, stretti alle loro radici, resistenti alla terra che trema. Per distogliere lo sguardo dalle rovine, spero che qualcuno li veda, spero che qualcuno li guardi. Quando la vita è sospesa in un attesa, tragica o dolorosa, fa molto bene guardare gli alberi in fiore.”
Le commemorazioni si sono succedute in queste ore, ma nessuno ha ancora mostrato un albero fiorito in mezzo alle macerie.

Grespino della strada

Sonchus oleraceus

Sonchus asper

Il grespino si può consumare in insalata, è un ingrediente della zuppa lucchese di magro, così come del genovese preboggion, ed ha un posto importante nell’elenco delle erbe commestibili. Perciò ha anche tanti nomi popolari, come cicerbita, crespigno, lattarolo, e perfino cicoria, rubando il nome alla cicoria propriamente detta che fra l’altro i fiori ce li ha azzurri. Ma in fondo in fondo questa deliziosa insalatina selvatica un vero e proprio nome non ce l’ha.  Il suo nome scientifico è Sonchus, uno degli innumerevoli generi di margherite gialle della sterminata famiglia delle asteracee. Insieme al suo fratello Sonchus oleraceus, che ha foglie più molli e rotondeggianti, è un’erba urbana rampante che ha colonizzato tutti, ma proprio tutti gli ambienti antropizzati ed è oggi, almeno a Genova, il fiore più comune negli incolti, sui bordi dei marciapiedi, fra pietra e pietra, ed ovunque negli angoli più impensabili delle strade.

In un vecchio post (vecchio blog, 9 febbraio 2009 ) (dove forse avevo fatto un po’ di confusione, come sempre da dilettante quale sono, fra S.olearaceus e S.asper) già lo avevo descritto.
“Il grespino è un’erbaccia qualsiasi, con i fiori giallo oro del tarassaco, ma più piccoli, i soffioni bianchi del senecio e steli lunghi, lunghi e cavi che se spezzati grondano lattice. Spunta negli orti e negli incolti, ma anche sui bordi delle strade e sui ruderi, sul bordo di un muro, in quelle crepe dell’intonaco dove la pioggia e il vento trascinano quel po’ di terra che basta a far crescere le piante pioniere.”

Commestibile o no, quello che mi sorprende, mi indigna ed intenerisce insieme, è la capacità di questi fiori di crescere alti e fioriti, belli come il sole, in mezzo ai rifiuti dell’umanità.