La città perduta

Piazza Piccapietra Genova

Piazza Piccapietra Genova

Piazza Piccapietra, un quadrato di cemento che copre un enorme garage sotterraneo, si è riempita di lantane. La scelta non mi sorprende perché nelle aiuole a vasca che ne delimitano il perimetro poche piante si troverebbero a proprio agio. Lantana camara è una pianta robusta, coriacea, esotica senza averne l’aria, si adorna senza farsi pregare di tanti piccoli fiori aggraziati, che sbocciano a mazzi fra le ruvide foglie, e soprattutto è una pianta molto tollerante a svariate avversità, fra cui siccità e inquinamento. Proprio per la sua esuberanza, è ormai considerata pianta invasiva in molte aree tropicali e non solo.

Lantana camara Piazza Piccapietra

Lantana camara

Questa piazza, anonima e spenta come tante altre che si aprono nei centri delle città moderne senza una vera ragione o una storia, è letteralmente nata sulle macerie della II guerra mondiale. Oggi il quartiere si chiama Piccapietra, nome che ha un’origine tradizionale per la presenza nell’area di botteghe artigiane di scalpellini, ma che si adatta bene agli avvenimenti della fine degli anni 1940 quando l’antico quartiere di Portoria distrutto dai bombardamenti perse completamente la sua fisionomia di pietra e ardesia e venne definitivamente demolito dai picconi per trasformarsi gradatamente e inesorabilmente in un agglomerato grigiastro di cemento.

Lantana camara

Lantana camara
Erigeron canadensis

Vado raramente in centro, ormai solo una o due volte al mese, e quando ci vado provo la strana sensazione di trovarmi in una città che assomiglia molto a una che avevo conosciuto bene molti anni fa. Gli angoli delle strade, gli scorci di cielo, i giochi d’ombra e silenzio me li ricordo bene. Ma la città non è più la stessa, l’umanità è cambiata ed io, che sono un’insicura cronica, ho sempre timore di inciampare in qualche novità imprevista. La folla dei turisti poi mi sorprende e inquieta perché mai nella mia gioventù avevo neppure immaginato Genova come una città turistica. Forse per questa nuova vocazione della città è così importante cercare di abbellire persino le vasche di cemento. Senza poter nulla fare, tuttavia, contro l’impetuosa invasione della Coniza canadese (Erigeron canadensis), ormai signora e padrona di qualsiasi angolo di mondo.

Solanum nigrum

Solanum nigrum  (ottobre 2012)

Soltanto pochi anni fa, le aiuole della vicina via XII ottobre erano invase da rigogliosi cespugli di morella (Solanum nigrum), senza nessuna cura o preoccupazione di estetica o decoro. La morella è infestante storica di ogni incolto cittadino, pianta autoctona la cui incontrastata diffusione oggi è quasi compromessa dall’arrivo di alloctone di lei strette parenti come la morella falso chenopodio (Solanum chenopodioides).

La città, sempre di più, è un ambiente vulnerabile, che esige cure costanti, complicate. La città, ci insegna Stefano Mancuso (1), è diventata la nicchia ecologica che gli esseri umani abitano per sopravvivere, un po’ come i cactus hanno bisogno di vivere nel deserto. Un ambiente complesso, ricco ma anche fragile, e la fragilità della nostra nicchia ecologica potrebbe essere il punto debole della nostra sopravvivenza.

(1)Stefano Mancuso – La pianta della città, in La pianta del mondo Laterza 2020

Fiori sulla fortezza

La fortezza del Priamar di Savona, situata sull’omonimo promontorio, nucleo storico della città, è uno dei forti più importanti della Liguria.

Asfodelo Priamar

Asphodelus fistolosus

Venne costruita a partire dal XVI  secolo dai genovesi, su precedenti insediamenti di origine romana e medioevale, come baluardo per domare la bellicosa popolazione savonese e presidiare l’accesso dal colle di Cadibona, principale accesso alla riviera e al mare del Piemonte sabaudo.

Ulivo Priamar

Olea europea

Fra alterne fortune e vicissitudini, culminate nell’assedio di Savona del 1746 da parte delle truppe austro-sabaude, dopo la restaurazione del 1815, la funzione militare del Priamar declinò rapidamente per lasciare spazio ad una prigione di stato, in cui venne richiuso, tra gli altri, anche Giuseppe Mazzini.

Affacciata sul mare e sull’affollata area portuale, la fortezza è vasta e ricca di scorci e passaggi ove acqua e cielo si incrociano e si rincorrono. E sulle sue pietre nascono e prosperano fiori e diverse specie vegetali che non si sa più se siano capitate lì per caso o per quale scelta e necessità.

Matthiola incana

Matthiola incana

 

 

Nell’ombra trasparente di radi olivi, i bastioni sono colonizzati da erbe ruvide, su cui si aprono le stelle candide degli asfodeli (Asphodelus fistolosus) e le sgargianti corolle della violacciocca rossa (Matthiola incana), che è sempre perfettamente a suo agio sulle pietre e spesso si incontra fra muraglie e rovine, come sul ponte di Carignano a Genova.

Altre piante mi sorprendono, per il loro aspetto familiare, ma identità misteriosa. Riconosco le foglie di una rampante centaurea e i vuoti capolini, ma non potrei identificarne la specie, mentre brillano al sole le disseccate brattee dello scuderi (Phagnalon saxatile) le cui foglie, sottili come quelle del rosmarino e grigiastre come quelle dell’elicriso, seppure prive di fragranza, denunciano l’inconfondibile vocazione mediterranea.

Centaurea

Scuderi Priamar

Phagnalon saxatile

Steli bruni segnalano che sulle muraglie qualche volta sboccia anche la bocca di leone. Ma per oggi dovrò accontentarmi della fioritura di una delle sue sorelle minori, la gallinetta comune (Misopates orontium), fiore umile e  generoso, che si incontra un po’ dappertutto e si affaccia sul mare con la stessa sfrontatezza con cui colonizza qualche incolto fra città e campagna.

Priamar gallinetta

Misopates orontium

Un viale di felci

PolypodiumLe felci dolci (Polypodium sp) hanno colonizzato i tigli spogli di viale XXI luglio a Sarzana, preziosa città vicino alla Spezia.  Il polipodio è una felce molto comune nei boschi, con tre specie simili (Polypodium vulgare, Polypodium cambricum e Polypodium interjectum) che crescono su rocce e muri umidi, ma anche come epifite su ceppaie, rami e tronchi degli alberi nei boschi. Quindi perché non sugli alberi di un viale? I tigli sono completamente spogli, diligentemente potati alla maniera cittadina, sporgono gli esili rami nudi contro il cielo, nel nitido sole di gennaio. Il tronco possente trova un nuova nobiltà nel verde che gli regala la felce.
Tiglio con polypodium
Il polipodio è una piccola felce dal rizoma squamoso, che striscia a poca profondità nel terreno, costellato dai piccioli delle fronde. In tempi neppure troppo lontani, quando la liquirizia non era sempre a portata di mano, queste radici chiamate con il nome dialettale di reganissu, strappate da muri o tronchi e raschiate bene con le unghie, si succhiavano per gustarne il dolce sapore. Il reganissu veniva anche considerato un lenitivo per le affezioni delle gengive.Polypodium  Per questo si chiama felce dolce e per questo ogni volta che lo incontro mi pare di ritrovare un vecchio amico. Anche abbarbicato sui ruvidi tronchi dei tigli di città, da cui non mi azzarderei mai a staccarlo.

Il viale che dalla stazione ferroviaria di Sarzana si dirige verso la centrale piazza Garibaldi è dedicato a una data che lì per lì non mi dice nulla. Ventun luglio, ma quando? E perché? Cerco informazioni e trovo qualche contrasto. Il ventuno di luglio è certamente un giorno importante perché il 21 luglio 1465 Sarzana, fondata circa 500 anni prima, fu eretta a rango di città con tanto di bolla papale e  questa data rappresenta una specie di compleanno della città. Ma c’è di più perché il 21 luglio 1921 è  la data dei cosidetti ‘fatti di Sarzana‘ ovvero uno dei  più sanguinosi episodi di “guerra civile” prima della marcia su Roma e la presa del potere mussoliniana. Non sembra esistano dubbi sul fatto che viale XXI aprile si chiama così proprio in ricordo di quell’episodio ricordato da varie targhe in città compresa una posta sul muro della stazione ferroviaria nel 90° anniversario. Eppure quando nel 2015 Sarzana festeggiò proprio il 21 luglio i 550 anni dalla sua proclamazione di città i drammatici fatti di 94 anni prima non vennero neppure menzionati.

Ortiche sulla Cristoforo Colombo

Roma, via Cristoforo Colombo 444. La larga aiuola di fronte alla banca è ornata di piante rigogliose, sempreverdi, che anche nell’umido inverno si ostinano a riempire di colore il grigio livido della città. Sul terreno macerano lentamente le larghe foglie dei platani, giganti ostinati e pazienti, ormai spogli e gelati. Ma per terra, fra lantane, piracante, fotinie, nandine, e persino qualche gelsomino, il verde più verde, magico e luminoso, è quello delle ortiche. Randagie e clandestine, vittoriose sulla fradicia pacciamatura che dovrebbe tenere a bada le erbacce, le ortiche sfoggiano le pannocchiette variopinte dei loro fiori, giallo verdi e rossicci.

Ortiche fiori

Urtica dioica

Tecnicamente l’infiorescenza dell’ortica è un racemo e i fiori maschili e femminili crescono su piante diverse, da cui l’attributo specifico di dioica; si distinguono ad occhio per il portamento, un po’ penzolanti quelli delle piante femminili, generalmente patenti, cioè a squadra con il fusto in quelle maschili, anche se più intima e importante è la differenza anatomica e fisiologica. Slanciati e rigidi, azzardo che questi siano fiori maschili.

Lantana & ortiche

Lantana camara
Urtica dioica

Nandina & ortiche

Nandina domestica
Urtica dioica

 

Non c’è angolo di strada che non sia invaso dalle ortiche, rinvigorite e ubriache della pioggia abbondante di dicembre. Questa pianta ha abili armi di autodifesa e  non tollera di essere colta distrattamente, neppure quando è bagnata, lasciando fastidiosi bruciori sulla pelle di chi si azzarda a farlo. Solo le donne di medicina quando la usano per frizionare muscoli doloranti, hanno salve le mani. In tutti gli altri casi basta sfiorarla per sapere a che deve la sua cattiva fama. Eppure è una pianta alimurgica, officinale, terapeutica e magica e i suoi impieghi alimentari, medici e pratici  sono infiniti. Cibo e concime, medicina e insetticida,  l’ortica è la pianta degli orti, cresce su suoli arricchiti dal pascolo delle bestie. Preziosa, questa semplice pianta, che cavalca gli inverni. Eppure se la vedi la estirpi, con le mani guantate, strappandola senza pietà dalla terra.
Ma in città cresce incontrastata, vagabonda inutilizzabile, ma meravigliosamente trionfante.

Molto prima dell’inverno

Bouganville via FoscoloL’inverno si sta avvicinando. Arriva inaspettato, dopo un’estate infinita, che ci ha deliziato e torturato da maggio a ottobre, calda come una promessa, inesorabile come una profezia. Eppure l’inverno sta arrivando, con il suo grigiore gelato, e anche gli alberi ormai si rassegnano a cambiare colore.
Ma non proprio, non ancora.
Questa piccola strada che sale dal ponte monumentale verso la piazza Corvetto, via Ugo Foscolo, è ripida e poco trafficata, ma affollata di giovani studenti universitari che frequentano il Dipartimento di Scienze della Formazione.
Lungo il muro si arrampica una Bougainvillea rosso fuoco, si allunga, incornicia e supera il cancelletto di ingresso di un palazzo, accompagnata con discrezione da un roseto ancora fiorito. Esplosione di colori invincibili e vagamente inebrianti.

Erodium malacoides

Erodium moschatum

Cammino con gli occhi bassi scrutando fra le pietre del selciato. Gli erodi, o becco di gru, sono fra i protagonisti della flora da marciapiede in questa città, parenti poveri dei gerani e dei pelargoni, come loro dotati di frutti lunghi e affusolati come il becco di un trampoliere. Non è più stagione di frutti, né di abbondanti fiorellini, e le piante si sfogano con ciuffi di nuove foglie, rinvigorite dalle recenti piogge finalmente abbondanti, e contendono il posto e la scena all’immancabile parietaria. Erodium malacoides, becco di gru malvaceo, ha foglie leggermente lobate, mentre Erodium moschatum, becco di grù aromatico, ha foglie pennate e finemente frastagliate. Ma tutte verdi, molto verdi e felici di verdeggiare anche  fra i massi e l’asfalto.

Giardino per gli acquisti

Mercato Corso SardegnaC’era una volta il mercato generale dove tutti i fruttivendoli, o meglio i besagnini, di Genova si rifornivano ogni giorno, il mercato di corso Sardegna, dal 1926 presenza storica e ingombrante in quartiere affollato e  congestionato. Così nel 2009 fra esitazioni e polemiche, incertezze e necessità, il mercato all’ingrosso si è trasferito altrove, in una sede più ampia e decentrata, lasciandosi dietro uno spazio ampio, nel cuore più attivo della città, vuoto e buio per quasi dieci anni. Finché è stato ristrutturato completamente e riaperto al pubblico come giardino, ovviamente un giardino per gli acquisti.

Mercato Corso Sardegna

Prunus serrulata

Il vecchio cancello in ferro battuto, proprio quello originale, conduce adesso in una vasta piazza assolata, con aiuole e panchine, un campo da gioco, un parchetto per bimbi e spazio per passeggiare. Protagonisti i potenti operatori del consumismo, non botteghe, ma atelier di commercio, ristorazione soprattutto, e grande distribuzione. Tutt’intorno aiuole e alberelli che compongono un giardino piuttosto freddo, quasi finto, sorta di installazioni botaniche, accurate e pulite, potate e irrigate, di indefinibili colori che variano dal verde al rosa al marroncino.
Queste essenze ricercate e straniere sono creature capitate per caso in un luogo non scelto, e fra i visitatori nessuno ci fa caso. Sono una presenza necessaria, ma senza importanza, che andranno e verranno come le pozzanghere e le nuvole.

Giardino marassi

Westringia fruticosa

Cornus sericea

Cornus sericea

Già avevo fatto conoscenza con il falso rosmarino Westringia fructicosa, pianta australiana della famiglia della Lamiaceae, adatta a climi miti e salmastri, che ricopre generosamente la prima aiuola che si incontra con i suoi luminosi fiorellini bianchi.
Bianchi sfavillanti sono anche i fiori dell’arbusto nell’aiuola accanto, Cornus sericea, corniolo serico, che viene dall’America del Nord. I cornioli sono piante sempre molto attraenti e gioiosamente robuste, una garanzia per i progettisti di giardini per gli acquisti.
Veri e propri alberi non ce ne sono, ma forse val bene attendere. Come per la Koelreuteria paniculata, il coraggioso alberello delle lanterne cinesi, che già ho visto crescere in un viale di città. Similmente diritti e costretti nella forma scelta dall’architetto, i ciliegi ornamentali (Prunus serrulata) forse fioriranno a primavera con tutta la grazie straordinario della loro volontà. Mi piace sperarlo, fosse soltanto perché in quell’occasione più di uno sguardo si alzerà finalmente ad osservarli.

Koelreuteria paniculata

Koelreuteria paniculata

 

La vita del piccolo centro commerciale scorre ai piedi dei sottili aceri variopinti di qualche varietà che ha avuto in sorte foglie più rossicce che verdi, con le antocianine quasi sempre vincenti sulla clorofilla, almeno quando la luce è abbondante. D’autunno si colorano di elegante rossiccio anche le foglie del nobile Liquidambar styraciflua e il colore si accende anche nelle bacche rossicce di qualche ibrido del biancospino.

Sorbo

 Crataegus crus-galli  (ibrido)

Le piante rimangono oggetti incompresi in un ambiente come questo, come testimonia la scelta di un ristoratore (no, non ho guardato neppure che locale fosse, e in ogni caso non lo direi), che ha scelto di guarnire le fioriere di orride piante finte per non rischiare di dover perder tempo e denaro ad accudire degli esseri viventi. Sotto i contenitori di plastica, sul tappeto dell’aiuola, cercano la loro strada serpentelli verdi che assomigliano  a qualche cotoneaster. Loro hanno conquistato quel posto dopo aver fornito innumerevoli referenze di resistenza a ogni sorta di avversità, prima fra tutte l’incuria e l’indifferenza.

Giardino Marassi

Liquidambar styraciflua

Piante finte e piante vere

 

Per piacere, non fotografate gli epilobi

Sul margine delle creuze vicino a casa, fra campagna e città, sbocciano caparbi fiorellini tardivi, o forse solo in ritardo. Creuze molto asfaltate, ma pur sempre creuze, costellate di cancelli chiusi e presidiate da cani molto solerti. Il cane non sa tacere e denuncia la mia presenza sempre. Faccio finta di niente, accelero il passo.

Epilobium hirsutum

Epilobium hirsutum

Ma poi invariabilmente c’è un fiore che attira la mia attenzione. In fondo sono qui per questo, per osservare e immortalare i fiori, anche e soprattutto quelli semplici e randagi. La macchina fotografica è ancora nello zaino, forse l’ho appena riposta, ma eccola di nuovo pronta all’inquadratura migliore, o almeno la meno peggio.

L’epilobio irsuto è una pianticella slanciata e modesta, presente dappertutto in Italia, vicino ai fossati e ai ruscelli, ovunque dove scorre una vena d’acqua. Non ha nulla della sfacciata eleganza di altri epilobi, l’epilobio a foglie sottili, l’epilobio di Dodonaeus o a foglie di rosmarino e l’alpino epilobio di Fleischer, specie protetta. Tutti e tre questi nobili parenti sono stati trasferiti nel genere Chamaenerion, diventando rispettivamente Chamaenerion angustifolium, C.dodonaei e C. fleischeri. L’irsuto no, è rimasto Epilobium, nome che deriva dalla fusione di tre radici greche e significa che il fiore (violetta) sta sopra al frutto e credo derivi dal fatto che questo fiore, come tutte le onogranaceae, ha ovario infero.

Reichardia picroides

Reichardia picroides

Il cane continua ad abbaiare, anzi ora sono due, si rincorrono oltre la cancellata, saltano e mi puntano con aggressività. Anche loro sono qui per questo. Al terzo scatto, la cagnara allerta la padrona che si affaccia guardinga dalla porta di casa e poi esce decisa verso il cancello. Dapprima sembra scusarsi, si sorprende che io stia fotografando i fiori, neppure i fiori di casa sua, dei volgarissimi fiori di strada. Cerco di essere cordiale, di renderla partecipe dei miei interessi. Ma niente da fare. Mi liquida con un “Beh sa, quando si vede una macchina fotografica, uno si allarma un po’ “. Allora sbotto “E’ una macchina fotografica, mica una mitragliatrice.” Che di questi tempi non sarebbe neppure tanto esotica.

E mi allontano, non senza bofonchiare qualche inutile rimostranza sul fatto che quando uso con il cellulare nessuno si scompone o preoccupa. Per fortuna la Reichardia, esuberante colonizzatrice di sterrati e orli di muretti, l’avevo già fotografata.

Scarpata ferroviaria

” … quasi triste come i fiori e l’erba di scarpata ferroviaria”

Scarpata ferroviaria

Trigonella officinalis
Papaver rhoeas

In primavera accade che persino le scarpate ferroviarie non siano affatto tristi, ma coperte di sfavillanti colori. Qui siamo a Chiavari, non lontano dalla foce del fiume Entella, fra la strada statale Aurelia e i binari. Mi corre incontro una distesa di erbe e fiori, fra i quali all’inizio riconosco gli steli glabri di equiseto immaturo, le spighe invadenti dell’avena selvatica (Avena fatua) e di qualche forasacco rossiccio che non riesco a identificare.
Nel bel mezzo dell’erba alta, che presto diventerà sterpaglia, si alzano i cespi di meliloto giallo, Melilotus officinalis, recentemente rinominata Trigonella officinalis, pianta dalle accreditate virtù medicinali. Come suggerisce il nome originale, si tratta di una pianta mellifera e, come molte fabaceae, ottima foraggera. Utilizzata tradizionalmente come antiinfiammatorio, diuretico e sedativo, la pianta contiene cumarina, che le conferisce un odore tipico, ma la rende anche leggermente tossica e quindi deve essere somministrata con cautela perché può causare nausea e mal di testa. L’uso esterno invece non ho controindicazioni e l’estratto della pianta è utile per contrastare l’invecchiamento della pelle(1).
Sul limitare della ferrovia, il meliloto si sbraccia aperto e felice, con il suo pallido giallo, sovrastando il prorompente scarlatto dei papaveri.

Scarpata ferroviaria

Papaver rhoes
Echium vulgare

I papaveri sono dappertutto. Ma anche l’azzurro vuole la sua parte, l’azzurro cupo, quasi violaceo, dell’erba viperina (Echium vulgare). Il nome di questa pianta deriverebbe dalla forma del fiore, triangolare come la testa della vipera e per conseguenza la leggenda tramanda che essa contenga un antidoto al veleno della pericolosa serpe. Certamente è specie alimentare e officinale, anche se come al solito non sarebbe una buona idea raccoglierla in un territorio così urbanizzato.
E’ difficile immaginare una scarpata ferroviaria più colorata, ma non c’è da sorprendersi, perché questo miracolo si chiama primavera. Fra un mese o poco più, fra queste pietre e questo cemento rimarrà forse soltanto qualche ciuffo scomposto di erba secca e la scarpata tornerà alla tristezza che ci ha cantato il poeta. La sua sorte non è diversa da quella di qualsiasi giardino, bisogna goderla adesso, non lasciarsela sfuggire, anche se è soltanto un lurido bordo di strada.

(1) Pastorino G et al. (2017). Biological activities of the legume crops Melilotus officinalis and Lespedeza capitata for skin care and pharmaceutical applications. ICP, 96:158-164

Asfodelo alla riscossa

Asfodelo fistoloso

Asphodelus fistulosus

E’ passato solo un anno da quando l’avevo incontrato sul bordo di una strada in collina e ora l’asfodelo fistoloso è arrivato nel cuore della città. Non so quanto gli piaccia crescere i suoi steli sottili e aprire le candide corolle immerso nei miasmi del traffico urbano. Ma qui è germogliato e, da vegetale obbediente, qui è cresciuto. Affonda le sue radici nello spartitraffico di corso Europa, poco lontano dal pronto soccorso dell’ospedale San Martino e dalla sede regionale della RAI, fra due inarrestabili correnti di veicoli rumorosi e puzzolenti. Divide con i gialli e impudenti grespini un’insignificante striscia di terra che neppure i piedi umani osano calpestare.

Un po’ stupefatta, lo contemplo sfidare, eretto e rigoglioso, autobus e camion, le brusche sterzate delle motociclette e gli ingombranti pneumatici dei suv di passaggio. Ma le sue corolle stellate passano inosservate perché la città non lo vede e soprattutto non lo guarda. L’anno scorso ho già parlato delle infinite storie e tradizioni che circondano i fiori di asfodelo. La sua è una bellezza algida, tetra. Fiore degli inferi per Omero, il suo rigido stelo fiorito consacrò Giuseppe sposo di Maria e padre putativo di Cristo. Sfuggito ai campi e agli inferi, si riscopre, in questa calda primavera, novello fiore di città.

(Per vederlo un po’ meglio, aprite l’immagine qui sopra)

Anticipi di primavera

Mandorli

Prunus dulcis

Ormai divampa la fioritura dei mandorli di Borgoratti, sulle terrazze sopra la strada, via Cadighiara, nei pressi di una strettoia così angusta che ha richiesto l’installazione di un semaforo. Divampa a ridosso di uno scosceso pendio, da anni squarciato dalle ruspe e guardato a vista dalle gru, senza che i lavori per la costruzione di fantomatici garage avanzino ancora.  Divampa sotto il colossale viadotto dell’autostrada, le sue zampe grigie fanno sembrare il cielo ancora più lontano.

Via Cadighiara

mandorli

Prunus dulcis

Sono nuvole di rosa questi alberi, tanto che sospetto si tratti di una varietà da fiore, tipo Prunus triloba. Per averne la certezza bisognerebbe osservarli quando la stagione avanza e vedere che frutti producono. Il Prunus triloba produce piccole ciliegie non appetibili, mentre il vero mandorlo Prunus dulcis le note drupe con mandorla, cioè il seme con guscio legnoso ricoperto da un mallo verde. Essendo ormai un boschetto, può anche darsi che queste piante, che richiedono l’impollinazione incrociata, fruttifichino .

Bergenia cordifolia

Ma non solo solo i mandorli, da fiore o da frutto che siano, a riempire di luce e colore questo angolino dimenticato di città, infossato fra le ripide colline e i pilastri di cemento. Testarda fiorisce ancora l’euryops, macchie di giallo per tutte le stagioni, mentre dietro i mandorli fanno capolino i pomi dorati degli agrumi.
Alla base di una scaletta è fiorita la bergenia, una pianta che vive proprio in questo periodo dell’anno la sua breve, esuberante stagione. I fiori sono copiosi e di colore acceso, ma terminato lo spettacolo rimarranno, dopo, solo le larghe foglie grassocce, anonime e per lo più ignorate .

Oggi ho più immagini che parole, la primavera non si farà attendere.