Erbe da muri

Muro a Borgoratti

Muro in via Borgoratti

Muro Ceterach officinarum

Ceterach officinarum

Umbiculus rupestris

Umbiculus rupestris

Che cosa cresce, si arrampica e fiorisce sui muri di città in primavera? Un po’ di tutto, per caso o per scelta, come su questo muro proprio sul ciglio di una trafficata strada cittadina. Fra le larghe foglie di malva e l’insopportabile parietaria, accanto a un ciuffo di ortica e a qualche magro grespino fiorito, scivola un Parthenocissus (vite americana), forse ricadente da qualche giardino.
I moderni progettisti di giardini verticali, costruiti mediante ingegnose impalcature e complicati congegni irriganti, si sono certamente ispirati alla stupefacente capacità di tutte le piante di ancorarsi e crescere con agilità sulle pareti.

Ci sono piante che vivono solo sui muri, come questa piccola felce della famiglia della Aspleniaceae, la cedracca (Ceterach officinarum, sinonimo di  Asplenium ceterach), che sporifica durante tutti i dodici mesi dell’anno e si incontra ovunque, sui muretti a secco che delimitano le ormai celebri “creuze”. E’ chiamata anche felce della ruggine (rustyback in inglese) o spaccapietre; ma questo nomignolo non si riferisce tanto alla sua predilizione per  connessioni e fessure dei sassi calcarei, dove il suo corto rizoma facilmente si accomoda, ma piuttosto alla sua efficacia  come rimedio contro i calcoli renali e per contrastare l’eccesso di ossalato che li provoca. Modesta pianticella dalle molte virtù, le sue parti aeree vengono usate anche per preparare tisane per curare l’pertensione e le infiammazioni del fegato.

Un’altra instancabile scalatrice, che ben si adatta anche sul cemento moderno, è una piccola crassulacea nota come ombelico di Venere (Umbilicus rupestris), nome che deriva certo dalla fossetta centrale che presentano le sue foglie proprio sopra l’attaccatura del picciolo. Però in dialetto savonese questa pianta si chiama ‘gobetto’, come dire che le forme della natura possono suggerire immagini contrastanti. All’inizio della primavera, l’ombelico mette in scena i suoi fiori, disposti a fitto grappolo lungo lo stelo.  E’ curioso, sugli stessi muri, se più umidi, cresce anche il capelvenere (Adiantum capillus-veneris), un’altro attributo della divina bellezza.

Hyoseris radiata

Hyoseris radiata

Fumaria capreolata

Fumaria capreolata

Fra pietra e pietra si incontrano anche piante inaspettate, erbe da prato, per intenderci.  Come questo radicchio (Hyoseris radiata), ottimo nelle insalate e nelle zuppe, che in Toscana si chiama trinette, e non occorre spiegare perchè. Le foglie sono inconfondibili, stracciate in segmenti a dente, che tendono a sovrapporsi. Radicchio, ma non cicoria (Cichoria intybus), che il fiore ce l’ha azzurro, o molto raramente rosa. Anche se i fiori non contano perché quando la pianta è fiorita, le foglie non sono più buone a nulla. Questo radicchio ha un fiore giallo, singolo sullo stelo come il tarassaco, ma più esile di quello.

Ecco la fumaria bianca (Fumaria capreolata), insolita papaveracea dai fiori delicati e dalle foglie grigiaste (da cui il nome). I fiori, solo apparentemente fragili e impalpabili, in alcuni dialetti sono chiamati ‘chicchi di riso’ o addirittura ‘panetti’. Come sua sorella, Fumaria  officinalis, che ha fiori  più scuri di una bel rosa carico, era una pianta molto ricercata per le sue  virtù curative (da usare tuttavia con prudenza perchè entrambe contengono un velenoso alcaloide, la fumarina). Insieme a tante altre piante ‘magiche’, è ormai finita fra le erbe spazzatura.

Ci sono fiori vistosi che i muri li scelgono per vocazione, prima fra tutte la generosa bocca di leone, che è difficile convincere a crescere in campo aperto. Così per estro o per necessità,  si compongono composizioni floreali degne dei giardinieri più attenti.

Muro

Antirrhinum majus
Sedum palmeri
Sedum dasyphyllum

Nobile ed eretta la florida bocca di leone ha conquistato anche qui il suo pugno di terriccio per vivere, contornandosi di borracine coltivate e spontanee. Esuberante nel giallo, la classica borraccina di Palmer (Sedum palmeri) è una pianta che non manca mai su balconi e terrazzini, capitata certo per caso anche su queste pietre incostudite. Quasi invisibile perchè non è ancora fiorita, la timida borracina cinerea (Sedum dasyphyllum); ancora un poco e mostrerà i suoi deliziosi fiorellini bianchi a forma di stella con graziose antere che sporgono sulla sommità degli stami come perle rossicce. Questa borracina ha davvero abitudini assai frugali e vegeta tranquilla e tappezzante anche sui muri aridi, nelle fessure delle rocce, nutrendosi di qualche granello di terra e conservando gelosa tutta l’acqua che le serve nelle grigie foglie carnosette.

Centranthus ruber

Centranthus ruber

Tante e varie sono le piante che crescono sui muri, giardini verticali naturali. Ma nella mia città ce n’è una che domina tutto e colonizza ogni sasso e ogni parete e niente può fermare la sua esuberanza.

Centranthus ruber

Centranthus ruber

Fiorita da aprile a ottobre, la valeriana rossa. ha fiorellini piccoli, ma numerosi e raggruppati in densi corimbi, rosa acceso o rosso porpora, raramente anche bianchi.  Le sue foglie, verde carico, lucide, sembrano sempre giovani e fresche, anche in mezzo ai detriti. Mi ricorda quelle fanciulle delle favole, come Cenerentola, belle e pure e gioiose, nonostante le angherie e gli stenti a cui erano sottoposte. Bella nel fango e sempre nobile e liscia.

E’ una specie di ‘parente povera’ della più celebre valeriana officinale, di cui possiede tutte le proprietà. Più inselvatichita che spontanea, questa pianta viene utilizzata come ornamentale e ciò ne ha certamente aumentato la diffusione, grazie a una straordinaria resistenza e adattabilità. Cresce sui muri nuovi come sui ruderi, spunta sull’alto dei contrafforti di una strada scoscesa e incornicia il portone di un palazzo elegante, la nostra strada sarebbe assai meno colorata senza di lei. Anche se ne ho già parlato altrove, non potevo certo dimenticarla.

Passeggiando per Lucca

Mura di Lucca

Mura di Lucca
(Ornithogalum unbellatum)

Ornithogalum umbellatum

Ornithogalum umbellatum
Bellis perennis

In altri tempi e altre primavere, questa sarebbe stata la stagione per una piacevole visita alla città di Lucca e alle sue mura, in occasione dell’usuale mostra mercato di piante e fiori. Qualche anno fa passeggiavamo sui bastioni, sotto tigli e bagolari ancora spogli, stupiti di contemplare la semplice bellezza dei fiori di campo che sbocciano sul pendio erboso. Tanto comuni e modeste quanto ammirevoli sono le pratoline, Bellis perennis, che in nessun luogo e da nessuna parte si fanno mai desiderare. Accanto, a cespi generosi, sbocciano gruppi compatti di piccoli gigli bianchi, dal curioso nome di latte di gallina (proprio così) o meglio Ornithogalum umbellatum.

Proprio gigli non sono, essendo la famiglia quella delle Asparagaceae, che comprende anche monocotiledoni commestibili, e non sono certo fioriture rare, anche se la stagione e l’habitat è più ristretto di quello delle pratoline.
Passeggiando per Lucca, in una mattina di aprile, gli incontri botanici sono tanti e diversi, ma è ancora un’altra asparagacea a incrociare la mia strada, Muscari neglectum (o forse botroydes).
Il suo vistoso ciuffo di corolle azzurre, dalla singolare forma a cilindretto ovale segnava, secondo la tradizione, e ovviamente insieme a molti altri fiori, l’inizio della primavera. Qui sbocciava slanciata, circondata dai verdi trifogli di Medicago lupolina.

Muscari neglectum

Muscari neglectum


Anche il Muscari è un genere commestibile. Il più celebre è il Muscari comosum, spesso riferito come Leopoldia comosa, che tuttavia sembra essere sinonimo, e più conosciuto come lampascione o cipollaccio, uno dei più antichi bulbi ad essere consumati fin dall’antichità. Certamente anche questa falsa cipolla, negletta o ignorata per antonomasia, può essere mangiata (previa cottura, talvolta si legge), certamente non quando è in fiore, certamente non estirpandola da un’aiuola urbana.

 

 

 

Fiori da parcheggio

Parcheggio AnagninaLa primavera riserva sorprese ovunque, anche ai margini dei parcheggi, dove d’inverno si trovano soltanto erbacce incatramate e un po’ di spazzatura. Nei pressi della stazione Anagnina, capolinea della linea A della metropolitana di Roma, una prato di tarassaco e malva contende la vista alla sterminata  distesa di automobili in sosta. Ammiro il coraggio e la saggezza di questi prati urbani.
Da sempre occhieggio nei quadratini di terra, che vorrebbero essere aiuole, di qualche centro commerciale alla ricerca dei più temerari fiori di campo. Dopo aver scoperto la draba primaverile (Erophila verna) e la sua breve fioritura, più a lungo si possono incontrare i becchi di gru (Erodium sp), stretti parenti dei gerani, piccoli fiori a corolle delicate e frutti appuntiti che assomigliano al becco di trampoliere.
Il becco di gru comune, Erodium cicutarium, così detto perchè le foglie hanno l’aspetto prezzemoloso della cicuta, ha un modo di propagazione geniale e potente; la pianta lancia i semi fino a mezzo metro di distanza ed essi possono seppellirsi letteralmente scavando nel terreno, torcendosi e srotolandosi in risposta ai cambiamenti di umidità. Non c’è da stupirsi se sia così diffuso anche in ambienti abbastanza ostili come i margini polverosi delle piazzole di sosta.

Erodium malacoides

Erodium malacoides
con Urtica dioica

Più gentile, ma altrettanto rampante, suo fratello il becco di gru malvaceo, Erodium malacoides, si contende lo spazio con la purissima ortica (Urtica dioica) e già mostra mazzetti di frutti appuntiti. Tutte le specie di Erodium utilizzano irruenti metodi  di dispersione dei semi, che sono dotati di peluria uncinata che si attacca al pelo degli animali e favorisce anche la penetrazione nel terreno.

Galium aparine

Galium aparine

In questa stagione, anche le aiuole urbane più trascurate si ricoprono di verde intenso, quasi impenetrabile.  In mezzo all’erba cresce il gallio attaccaveste (Galium aparine), parente povero e un po’ volgare del caglio zolfino (Galium verum) a fiori gialli, che si dice venisse usato nei tempi passati per cagliare il latte. Nonostante l’aspetto esile, l’attaccaveste è veramente appiccicoso e aggressivo, un’alta strategia vincente per fronteggiare la dura lotta per l’esistenza.

Campanula medium

Campanula medium

Ma sullo spartitraffico, fra le auto che fuggono troppo in fretta anche per un’occhiata furtiva, talvolta si scopre qualche cosa di veramente inaspettato. E bisogna fermarsi, scendere dal cavallo di latta, avventurarsi per le impervie strade moderne, dove osano solo gli pneumatici, per cercare di vedere, capire, immortalare il miracolo, seppure da debita distanza. Un grappolo di grandi campanule azzurre (Campanula medium), che starebbero davvero meglio al margine di un bosco, sbocciano all’ombra dei rigidi cespugli di pittosporo, accanto a qualche immancabile grespino della strada, trascinate da chi e da che cosa fin qui davvero non saprei.

Ancora Chaenomeles

Chaenomeles

Chaenomeles, via Struppa 250

Nel quartiere di Struppa, in una qualsiasi mattina di fine inverno, un po’ più grigia e lenta del solito, le persone si tengono a distanza, ma esplodono (c’è chi li chiama fuochi di artificio) le nuvole rosse dei cotogni da fiore. Ne scopro uno all’ingresso di un cortile, un parcheggio con basse costruzioni coperte di timidi murales colorati, dove forse in tempi migliori si svolgevano feste di quartiere. Siamo quasi a Prato, l’estremità più interna della val Bisagno genovese e nel vicino campo da tennis qualcuno si sta esercitando (il tennis è uno sport quasi individuale). Il cielo è irregolarmente nuvoloso, ma il sole dolcemente caldo. Sono cespugli quasi anonimi, tranne per la loro breve stagione di fioritura; ma molti si riscattano producendo anche frutti profumati, simili a mele cotogne, commestibili soltanto dopo la cottura (proprio come le mele cotogne). Sono uno degli altri appuntamenti che la primavera riserva, anche in città, e davvero bisogna stare attenti a non lasciarselo sfuggire.

Vedi anche :
Primavera in gabbia
Cotogno da fiore

Quando fiorisce la mimosa

 

Mimosa in val Bisagno

Acacia dealbata
val Bisagno

Non è certo una pianta originale, ma passa inosservata per la maggior parte dell’anno, finchè, fra gennaio e marzo, le sue nuvole gialle esplodono ad ogni angolo di strada. Febbraio è sempre stata la sua stagione. Qui sul bordo del Mediterraneo, molto prima di primavera, appar dovunque la mimosa effimera(1).

Ci sorprende quanto ne abbiamo bisogno, proprio adesso, di questo colore caldo, spesso, dolciastro. In quest’inverno fradicio e nebbioso, sono sempre i fiori a salvarci.

Mimosa in via San Vincenzo

Acacia dealbata
via San Vincenzo

Si incontra dappertutto, nella crosa che corre alta sulla val Bisagno, sopra il cimitero di Staglieno, come nel campo Rom della val Polcevera, e poi di fronte all’arco di ingresso di una corte nella centrale via San Vincenzo. Pronto a sbocciare perfino un gracile alberello,  alloggiato in una giara di coccio, sul retro di un palazzo di edilizia popolare. Effimera, ma resiliente, già poco dopo Natale, i rami verdolini cominciavano ad impallidire verso il paglierino. Sopporta grandine e vento, talvolta anche la neve, e il suo colore brilla.

Mimosa

Acacia dealbata

Spesso viene accusata di essere arrivata troppo presto, di essere, con la sua fioritura anticipata, uno scherzo del clima impazzito. Ma a torto, perchè non è vero. Da gennaio fiorirà fino a marzo per poi andarsene, in sordina, tornarsene in un anonimo letargo per dieci lunghi mesi. Oggi è il suo tempo e il suo colore è oro.

(1)Vincenzo Cardarelli ‘Liguria

I fiori del nespolo

Eriobotrya japonica - nespolo del Giappone

Eriobotrya japonica – Fontanegli

Diversi anni fa, in primavera, i miei gentili vicini, due fratelli d’altri tempi, veri appassionati di orti e giardini, mi portarono in regalo una cassetta di frutti singolari: piccole nespole dalla polpa quasi bianca, morbide e saporite, una vera rarità dalle nostre parti. Era stato un anno particolarmente mite e loro erano i primi ad essere stupefatti di quell’abbondante raccolto. Le nespole che si trovano al mercato già a marzo provengono dalla Spagna o dal Sud Italia, mentre è raro che i nespoli portino frutti a maturazione alle nostre latitudini. Invece fiori se ne vedono tanti, da novembre a febbraio, carnosi e profumati in pannocchiette bianche fra le foglie lucide e spesse. I fiori dell’inverno.
Il nome volgare dell’albero è nespolo del Giappone e già qui si incespica in due inesattezze che confondono un poco.

Eriobotrya japonica

Eriobotrya japonica – Castelletto

Eriobotrya japonica è soltanto lontano parente di quel Mespilus germanicus a cui si deve più correttamente il nome di nespolo (vedi 5 ottobre 2009).
Certo, appartengono alle stessa famiglia delle rosaceae, e certo i frutti hanno una vaga somiglianza; ma nulla di più. Il ‘falso nespolo’ poi non è neppure giapponese, ma cinese. Una storia complicata, e lunghi viaggi, hanno imbrogliato le sue vere origini.
Se in Campania e in Sicilia, nel sud della Spagna e in Algeria, Eriobotrya japonica ha trovato una seconda patria, adattandosi perfettamente e producendo ottimi frutti, nei giardini della città gli alberi di nespolo sembrano un po’ spaesati, con le loro lunghe foglie persistenti, sferzate e macchiate dalle intemperie, con quei fiori invadenti, eppure invisibili nella nebbia invernale, miracolo sprecato, sempre troppo ‘fuori stagione’.

L’invasione delle libellule

mareggiata a Celle LigureDa qualche giorno ne parlano tutti. Giornali, social media, tv. La Liguria è pacificamente invasa dalle libellule che ordinatamente sciamano a favore di vento. C’è chi le ha viste dirigersi verso Nord, quando tutti si sarebbero aspettati che andassero a Sud, chi ne ha ammirato le ali argentate, chi quelle dorate. Tutti le hanno salutate con allegria, fantastiche predatrici di molti generi di insetti molesti.

E’ finita che le ho viste anch’io, sulla costa sferzata dalla mareggiata, con vento birichino che voleva convincerle a fermarsi un po’. Siamo sul litorale di Celle Ligure e il gioco delle onde sta pian piano rallentando la sua forza.

LibellulaEcco una o due libellule, ma soprattutto una, appoggiata su uno stecco di finocchio marino, proprio a  due passi da me. Riesco a vederla fra luce ed ombra perchè le sue ali traslucide riflettono il sole. Fa un piccolo volo in tondo e torna sullo stecco. Il vento le impedisce per un po’ di migrare lontano. Solo per questo, credo, sono riuscita a fotografarla.

Per noi sempre frettolosi e approssimativi, le piante sono più facili, così tranquille e docili, sempre accondiscendenti. I fiori in questa stagione scarseggiano, ma il litorale è ancora generoso di colori.

Carpobrotus edulis

Carpobrotus edulis

Il fico degli ottentotti (Carpobrotus edulis) è ormai diventato uno di casa sulle nostre coste. Ne ha fatta di strada, dalla sua terra di origine, il Sud Africa, la patria degli ottentotti, che è il nomignolo vagamente canzonatorio dato dagli olandesi agli indigeni del luogo. Ora è neofita invasiva, ma ormai naturalizzata, fico di mare dal sapore acidino, si può assaggiare quando è maturo perchè, appunto come dice il nome C.edulis, è commestibile. Ringrazio questo fiore tardivo, e le sue foglie grassocce che non temono i venti salmastri e gli aridi declivi delle scogliere.

(vedi anche il mio primo blog 12 maggio 2009)

Bagolari

Li conosciamo come grandi alberi dal fusto diritto e la corteccia liscia, così come appaiono in filari maestosi sulle mura di Lucca (7 settembre 2009) e infinite volte fotografati, rigogliosi o barbaramente mutilati, verdi e folti o colorati d’autunno, anche loro abitanti della città in tutte le stagioni.

Celtis australis

Celtis australis a villa Croce

Un piccolo virgulto è cresciuto vicino alla grata di una cantina, nella nobile villa Croce, che fu donata, con l’annesso giardino, da Andrea Croce nel 1951 alla città di Genova perchè ospitasse un museo, oggi il museo di arte contemporanea. Il piccolo rametto si allunga, illudendosi forse di raggiungere i giganti che lo sovrastano, il maestoso canforo e gli aerei pini domestici. O forse non si illude affatto, esiste e basta, piccolo o grande che sia. Senza presunzione e aspettative, per lui la vita è semplicemente esserci, respirare, o meglio convertire nel sole anidride carbonica in ossigeno.

Celtis australis

Celtis australis sul greto del Bisagno

Celtis australis

Celtis australis sul greto del Bisagno

Il bagolaro è  specie frugale e pioniera, che ha meritato addirittura il nome di spaccasassi, e non serve spiegare perchè. Più divertente è pensare che Linneo lo chiamò australis e non perchè provenga all’altro emisfero, ma soltanto perchè abitava le regioni del sud. Il nome comune invece deriva dalle sue bacche, piccole drupe gialline che virano al nero.
Eccole quasi mature su questo esemplare che cresce  nel greto del torrente Bisagno, già appetibili per gli uccellini di passaggio. Il greto è ancora piuttosto asciutto, anche se la minaccia delle sue piene già incombe, e l’albero allunga nel sole le sue lucide, libere fronde. Finalmente un bagolaro felice.

 

Il Bisagno, prima della pioggia

In attesa delle rovinose piene che sempre contraddistinguono la stagione autunnale e non solo, il greto del Bisagno viene sistematicamente ripulito non solo di carcasse e rifiuti della civiltà, ma anche di ciò che vi cresce, libero e spontaneo, un po’ troppo esuberante. Senza acqua diventa una strada grigia, ma velocemente ripopolata dalle frasche. Con il passare degli anni però, e gli studiosi di erbe pioniere potranno spiegarci perchè, le varietà di piante che crescono e prosperano nella ghiaia appena inumidita sono sempre meno diversificate.

All’inizio dell’autunno, l’inula, Dittrichia viscosa, la fa da padrona e colora di giallo intenso ogni angolo, arrivando anche a oscurare il morbido violetto della Buddleja. Ci sono altri fiori nascosti nel fogliame disordinato, saponaria (vedi 1 agosto 2009) certamente, e qualche malcapitata bella di notte (Mirabilis jalapa, vedi 18 settembre 2009), sfuggita da qualche giardino.

Xanthium strumarium

Xanthium strumarium

Ha larghe foglie palmate la nappola minore (Xanthium strumarium), cosidetta perchè i suoi frutti spinosi sono di dimensioni più piccole di quelli di Xanthium italicum, nappola italiana. E’ una pianta ruderale, pioniera, di nessuna utilità, nè avvenenza. Solo una bella macchia di verde sul grigiore polveroso del pietrisco. (Ma in Sardegna, nel distretto di Sarrubus, una specie affine, Xanthium spinosum, veniva impiegata dalla medicina tradizionale per curare la diarrea).

Persicaria maculosa

Persicaria maculosa

Poco più in là è fiorita la persicaria (Persicaria maculosa, vedi 13 agosto 2009), con le sue spighe rosa. Lei infestante irriducibile, abitatrice dei bassifondi, parente povera e sfrontata di specie nobili come la bistorta (Bistorta officinalis) e appetitose come il grano saraceno (Fagopyrum esculentum).

L’altra strada di casa

La strada da casa a Genova Prato è una ripida discesa di qualche chilometro su un dislivello di circa 200 metri. Cammino sulla via asfaltata, dedicata a San Colombano, il leggendario vescovo paleocristiano di Bobbio.

altra strada di casa Allium ampeloprasum

Allium ampeloprasum  ( A. polyanthum)

Sul ciglio della carreggiata è fiorito un porraccio (Allium ampeloprasum(1)). Le sue ingombranti teste rosate dondolano al vento, mentre cimici nere e gialle lo pascolano instancabili. Il porraccio è pianta commestibile, come tutto il genere Allium, si può raccogliere tutto l’anno, tranne che d’estate e se ne consuma la pianta intera sia cruda in insalata che cotta. Sconsiglio gli esemplari che crescono troppo vicini agli scappamenti delle auto.

Jasminum officinale

Jasminum officinale

Dall’altra parte della strada, nel canneto di Arundo donax, spunta un gelsomino, uno di quelli veri (Jasminum officinalis, 18 maggio 2009). Ormai sono rari, quasi preziosi, soppiantati dal sosia asiatico, Trachelospermum jasminoides, a foglia coriacea sempreverde, con la sua prorompente e inebriante fioritura (vedi 13 giugno 2009). Il gelsomino, quello vero, mi ricorda l’infanzia, quando cresceva rigoglioso lungo una scaletta di campagna, delicato, con una fioritura meno aggressiva e un profumo gentile. Che nostalgia.

Viburnum odoratissimum

Nei pressi della chiesa di San Pietro di Fontanegli, nel giardino dove d’estate si radunano i soci SOMS per raviolate e tombole, scopro un arbusto che non avevo mai notato e mi sorprende per le foglie robuste e lucide, ancora inumidite dal violento acquazzone di questa notte. E’ un viburno (Viburnum odoratissimum), ma ormai è tardi per verificare se il suo attributo specifico sia ben meritato. I fiori, forse odorosissimi, sono ormai sfioriti per lasciar posto a grappoli di bacche, verdi, poi rosse, e infine nere.
Questa volta nella discesa evito la parte più scoscesa della creuza, via alla Chiesa di Fontanegli, che dopo la pioggia è insidiosamente scivolosa. Scelgo la strada lunga, via Giovanni da Verrazzano, esploratore del 15° secolo.

Centaurea calcitrapa

Di fronte alla scuola materna, nei pressi della villa Ferretto, cresce in mezzo alle cancellate arrugunite una pianta spinosissima, coperta di rustici fiori. E’ la calcatreppola stellata, ovvero Centaurea calcitrapa, un fiordaliso molto spinoso, il cui nome significa qualche cosa come ‘trappola per il calcagno’, perchè le lunghe spine del capolino possono ferire le zampe o i piedi di chi la calpesta.

Da queste parti, al confine fra città e campagna, ogni fazzoletto di terra può diventare un orto casalingo. Proprio sull’orlo della strada, fra un nespolo del Giappone e un campetto di ortaggi, un buffo spaventapasseri difende il raccolto; ma forse è stato costruito più per divertire i bambini più che per scacciare gli uccelli.

Solanum tuberosum

Bisagno

 

Lungo la discesa più ripida, che avevo già mostrato in un post di tanti anni fa, accanto a costruzioni anonime, con curati e freddi giardini all’inglese, ecco una casupola con l’aria familiare di cascina, e davanti un rigoglioso campo di patate. Il cane avvisa la padrona che, come al solito, si informa preoccupata di perchè stia fotografando la sua casa.
“Perchè sa, di questi tempi, se ne sentono tante. ..”
No, non so. Ma penso sia tutta colpa della D90, un cellulare avrebbe dato meno nell’occhio.

Ed eccomi a fondo valle, dove scorre il torrente Bisagno, ingrossato dalle piogge, ma sempre molto molto diverso da un vero fiume. Sulle sponde, dragate e pulite alla bell’e meglio, crescono salici e pioppi e fiorisce lo sparzio.

E io sono arrivata in città.

(1)Secondo altri autori, questa specie sarebbe Allium polyanthum, mentre il vero Allium ampeloprasum sarebbe presente in Italia solo in Emilia Romagna e Lombardia come alloctona casuale o naturalizzata. Le due specie sono molto simili e l’attribuzione è controversav. Vedi scheda IPFI di actaplantarum.