Lauroceraso

Prunus laurocerasus

Prunus laurocerasus

Una siepe dalle grandi foglie coriacee, che regala ombra e intimità e, a primavera, dispensa una profusione di fiori bianchi disposti in pannocchie. Foglie simii a quelle dell’alloro (da cui lauro) e frutti tondi e neri (da cui ceraso), il lauroceraso non è particolarmente attraente, nè fastidioso. Piuttosto tollerante, e generoso.
Qui in piena fioritura presso l’antica casa di riposo ed educazione di Genova Doria, oggi sede di ambulatori e residenza sanitaria assistita. L’edificio, ampio e vetusto, con larghissimi corridoi e alti soffitti, fu costruito, nel 1911 nella proprietà, ceduta al pubblico utilizzo, di Antonio Doria, da cui appunto il nome della circoscrizione.

Moresco - di Giulio Monteverde

Moresco – di Giulio Monteverde

Pastorino

Luigi Pastorino

L’investimento aveva richiamato proventi da molti magnati della città, che per questo sono ricordati nelle sculture marmoree di celebrati artisti dell’epoca, come Giulio Monteverde e Luigi Orengo, gli stessi che hanno lasciato tante opere nel cimitero monumentale di Staglieno

Castagnola_Orengo

GioBatta Castagnola di Luigi Orengo

Un orto sui binari

Stazione di Genova Quarto dei Mille

Stazione di Genova Quarto dei Mille

Stazione di Genova Quarto dei Mille, sull’ultimo binario, quello più a monte, dove transitano i treni diretti a levante, crescono, tutti arruffati fra erbacce e spazzatura, numerose piante di pomodoro. Proprio Solanum lycopersicum, quello che si usa per condire gli spaghetti. Non mi sorprende, il pomodoro cresce dappertutto ed è l’infestante più diffusa nei terreni concimati con il compost domestico. Quando semino i fagioli, impiego le prime settimane a ripulirli dalle piante di pomodoro. Qualche pianta alla fine la lascio sempre, abbandonandola a crescere a cespuglio incolto sul bordo dell’orto, strisciante e selvatica. Qualche frutto finisce per marcire nel fango, ma per lo più maturano, tranquilli e saporiti, come quelli curati e riveriti, sulle piante diligentemente legate alle canne.

Solanum lycopersicum

Solanum lycopersicum

Anche alla stazione di Genova Quarto i frutti sono maturati, ma le loro foglie sono mescolate e quasi soffocate da un parente povero, autoctono e volgare, Solanum nigrum o morella (vedi post del 15 ottobre 2008), un’erbaccia della peggior specie. Crescono entrambe in buona compagnia di intrusi di vario genere, fra cui anche qualche piccola conifera, non meglio identificata. In realtà i pomodori veri e propri sono quasi irraggiungibili, oltre l’ultimo binario, e si vedono bene soprattutto dal treno. Poco male, non credo che avrei poi così voglia di coglierli e assaggiarli. Anche se la fame, si sa, potrebbe suggerirne a qualcuno la raccolta.

Solanum lycopersicum

Solanum lycopersicum

Daucus carota

Carota selvatica
Daucus carota

 

Nell’orto ferroviario non poteva mancare la carota, pianta per altro comunissima sia in campagna che in città, ma che con la croccante e saporita radice arancione ha in comune soltanto il nome. Come tutte le piante di cui si mangia la radice, la raccolta avviene di norma ben prima della fioritura, quando la radice è ancora ricca di sostanze nutritive che non si sono ancora trasferite al fiore e al frutto. Daucus carota è pianta biennale e quando la estraiamo dalla terra per mangiarla, le strappiamo la vita nel primo anno, mentre soltanto le poche fortunate che eventualmrnte destiniamo a semenza completeranno il loro ciclo vegetativo. Quindi non è sorprendente che non conosciamo i fiori delle carote dell’orto; ma se mai li incontrassimo, non sarebbero diversi dalle bianche ombrelle, spesso con il puntino nero al centro,  di questa carota selvatica che cresce, elegante ed impudente, in mezzo ai binari. La carota commestibile discende da una selezione fatta diversi secoli fa. La radice della carota selvatica, cresca essa sulla massicciata o in un campo, è pallida e legnosa, ricca di principi officinali, ma poco appetibile.

Ancora sulla carota selvatica 12 luglio 2008

Capperi di città

Capparis spinosa

Capparis spinosa

Credo che sia noto a tutti, i capperi crescono, e prosperano, sui muri. Ma anche sulle rocce, e sugli scogli in riva al mare. Si infrattano praticamente dovunque e poi ricadono, formando rigogliose cascate verdi. Non pare davvero che abbiano bisogno di molta terra, sembra viceversa che amino l’aridità e l’aria salmastra. Tuttavia la propagazione dei capperi ha aspetti alquanto bizzarri. Pare che i semi aspettino anni per germinare dal momento in cui si staccano dalla pianta, mettendo a dura prova la pazienza dei coltivatori. Si dice che sia necessario introdurli proprio in fondo alle spaccature dei muri, e spingerli più dentro possibile. E’ consigliato l’uso di una cerbottana.  Molti raccontano di aver messo a dimora semi e di essersene dimenticati, avendo infine perduto le speranza di vedere un germoglio. Finchè, dopo anni di immobilità, nel bel mezzo di altre piante più giovani, e come obbedendo a una segnale antico e mai sopito, il cappero era esploso, incontenibile.

Capparis spinosa

Capparis spinosa
Strada Aldo Moro (sopraelevata)

Se però si lascia fare tutto a loro, coi i soliti metodi naturali, quali vento insetti vari, uccelletti e formichine o quant’altro, i capperi ce li ritroviamo più o meno dappertutto, in mezzo ai calcinacci che prediligono, sui muri a fianco di strade e autostrade, se abbastanza vicini al mare e ben esposti a sud, pronti a far sbocciare in ogni estate i loro straordinari fiori bianchi.
La pianta della foto in alto cresce sul muro della torre di Vernazza, parte del sito UNESCO delle Cinque Terre. Ma altrettanto a loro agio e rigogliose, anche se un po’ più impolverate, sono le piante di cappero che crescono sui muraglioni della strada sopraelevata che attraversa Genova da levante a ponente costeggiando il mare. E i sorprendenti frutti pendono a grappoli  sui muri esterni del giardino dell’Acquasola, un parco cittadino recentemente scampato a un progetto di parcheggio.

Capparis spinosa (frutti)

Capparis spinosa (frutti)
Mura dell’Acquasola

I capperi crescono allegramente anche nel mio giardino, versante occidentale delle colline liguri, lontano dal mare.Che poi i germogli, o i frutti siano commestibili e gradevoli è un altro discorso. Per la buona tavola magari sarà meglio affidarsi ai capperi di Pantelleria.

Giglio di San Giuseppe

 

Hemerocallis fulva detto Giglio di San Giuseppe

Giglio di San Giuseppe
Hemerocallis fulva

Ogni giglio ha il suo santo. Per il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum) la ragione di tale attribuzione è ovvia, dato che i fiori sbocciano verso la fine di giugno, proprio in corrispondenza del giorno dedicato al celebre santo. Invece questo  falso giglio, che giglio non è, ma un lilioasfodelo o Hemerocallis (famiglia Asphodelaceae), fulvo perchè di acceso colore rosso arancio, la dedica a san Giuseppe è quantomeno bizzarra. Hemerocallis fulva sboccia alla fine della primavera, quando la ricorrenza del santo, 19 marzo, è trascorsa da tempo.  La confusione aumenta quando si scopre che le Hemerocallis si chiamano anche gigli di san Gaetano (Thiene da Vicenza), che si festeggia il 7 agosto, non lontano dalla loro stagione di fioritura. Ma San Giuseppe? Questo santo spesso viene rappresentato con il bambinello in braccio e un giglio in mano (a lui o al bambino), ma ahimè il giglio è sempre bianco, quel Lilium candidum, giglio propriamente detto, che si chiama anche giglio di San Pietro e fiorisce anche lui alla fine di giugno. Pare quasi che ogni santo esiga il suo giglio, e fra santi e gigli non ci si raccapezza facilmente.

Hemerocallis fulva detto Giglio di San Giuseppe

Hemerocallis fulva

Meno male che questo bellissimo fiore, che spopola nei giardini perché è anche facile da coltivare, ha il suo nome scientifico, preciso, e volgarmente si può chiamare anche giglio turco, il che concorda con la sua origine asiatica. Emerocallide significa bellezza del giorno, o di un giorno, un nome che sembra suggerire il fatto che i fiori durano poco e velocemente appassiscono.  Neofita naturalizzata, in questo angolo di strada, che corre sulle sponde del torrente Bisagno, davanti a una cabina elettrica, questi gigli sono stati probabilmente piantati per ingentilire la lapide di ricordo di uno dei tanti sacrifici partigiani.

Ailanto fiorito

Ailanthus altissima

Ailanthus altissima

Ancora ailanto! Il più prepotente invasore degli spazi verdi di città e periferie, ora ribattezzato addirittura killer dei boschi. Di lui è stato detto di tutto, e di più, e anch’io ho dato il mio contributo. Ma i fiori, quelli non li fa vedere nessuno. Forse perché mostrare i fiori, come mostrare i cuccioli, intenerisce gli animi e rischia di creare simpatia nei confronti di una pianta, o di una razza, che si vorrebbe bandita per sempre. Eccoli i fiori bianchi dell’ailanto, sbocciati su un bell’albero sul ciglio della strada, in via Mogadiscio, appena sopra la chiesa di Montesignano di cui parlavo l’altro giorno, in direzione di sant’Eusebio. Un bell’albero che ha già sparso germogli in giro, senza ritegno, fra asfalto e marciapiede. Che coraggio impudente!

Ailanthus altissima

Ailanthus altissima

Il leccio di Montesignano

Leccio Quercus ilex

Quercus ilex
Leccio  di Montesignano

Il leccio (Quercus ilex), albero ampio e robusto, semplice, ma di nobile animo, è raramente fotogenico. Di questo non mi capacito bene e ne ho discusso anche nelle foto pubblicate in passato, il 10 novembre 2008, con foglie e ghiande, e il 28 aprile 2010, con gli straordinari fiori. Il leccio è uno dei miei alberi custodi, così vicino alla natura della mia vita, in questa assolata, umida e ariosa striscia di terra di fronte al mare. Per questo quando mi sono trovata davanti questo bell’esemplare sul sagrato della chiesa di Montesignano, poche decine di metri sopra il greto del Bisagno, non mi sono lasciata sfuggire la voglia di fotografarlo. Mi piaceva la luce, mi piaceva l’ambiente, mi piaceva soprattutto lui e il suo portamento massiccio, anche se vagamente scapigliato (raramente il leccio si fa spettinare dal vento).
La chiesa di Montesignano mi porta ricordi di gioventù, quando studentessa del primo anno di superiore (allora si chiamava quarta ginnasio) facevo un semplice doposcuola a ragazzini delle elementari in quella parrocchia di un quartiere che si definirebbe ‘difficile’. Era un po’ fuori mano quella chiesa, ma piacevole la trasferta, un piccolo viaggio di libertà. Non mi ricordo molto in verità, soltanto il profilo slanciato della chiesa, oggi simile ad allora, anche grazie a una recente ristrutturazione, quel piazzale ordinato, appena sopraelevato sulla strada, il campanile eretto e nitido fra casermoni di case popolari.
Poco prima della chiesa, c’è una breve aiuola con qualche cespuglio di pittosporo, dietro a uno spesso recinto di legno. Tre cartelli invitano a non gettare immondizie, specificando che si tratta di un’aiuola, non di un immondezzaio. Non si riesce neppure a vedere se l’invito sia stato rispettato.
Non so se la mia foto rende giustizia alla bellezza del leccio, continuo a pensare che sia poco fotogenico. Ma sono contenta che ci sia, alto e folto, compatto e pulito.

Erba dei cantori

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Erbaccia da strada, come tutte le sue simili passa inosservata e negletta per la maggior parte dell’anno; ma nella bella stagione si impreziosisce, umile e sfacciata, di gialli fiorellini a crocetta, stretti in un’infiorescenza alla sommità di aerei steli sottili, che ne rivelano inequivocabilmente l’appartenenza alla famiglia della crucifere, ovvero brassicaceae, ovvero cavoli. Il suo nome scientifico, quello vero, è Sisymbrium officinale e gode anche di ottima fama, essendo erba riconosciuta benefica da molti secoli, buona per la voce e per questo indicata per risolvere qualche inconveniente alla gola dei giovani cantori. Il suo nome comune più frequente ne svela l’origine umile, erba cornacchia, un uccello dalla voce non proprio dolce. Oppure erisimo, generando una di quelle confusioni tanto frequenti in botanica, essendo Erysimum un altro genere delle brassicaceae diverso da Sisymbrium. Quest’erba cornacchia in città si trova proprio bene e si infila dappertutto, dalle aiuole ai bordi dei marciapiedi, a suo agio nei posteggi e davanti ai portoni, ma anche negli anfratti più rovinati delle costruzioni umane. Stento a credere che da questi esemplari, saturi di polvere e piombi, si possano ottenere medicamenti per il cavo faringeo; ma mi inchino al coraggio delle praterie di erba cornacchia e dell’esplosione delle loro timide pupille gialle, a frotte, come fuochi d’artificio.

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Dell’erba cornacchia, più nobilmente detta erba dei cantanti, avevo già parlato qui

Bagolaro potato

Celtis australis

Bagolaro (Celtis australis) potato, anzi capitozzato

Ti abbiamo tagliato,
albero!
Come sei spoglio e bizzarro.
Cento volte hai patito,
finché tutto in te fu solo tenacia
e volontà!
Io sono come te. Non ho
rotto con la vita
incisa, tormentata
e ogni giorno mi sollevo dalle
sofferenze e alzo la fronte alla luce.
Ciò che in me era tenero e delicato,
il mondo lo ha deriso a morte,
ma indistruttibile è il mio essere,
sono pago, conciliato.
Paziente genero nuove foglie

Da rami cento volte sfrondati
e a dispetto di ogni pena
rimango innamorato
del mondo folle.

(Hermann Hesse, Quercia potata – traduzione di Adriana Apa)

Wie haben sie dich, Baum, verschnitten
Wie stehst du fremd und sonderbar!
Wie hast du hundertmal gelitten,
Bis nichts in dir als Trotz und Wille war!
Ich bin wie du, mit dem verschnittnen,
Gequälten Leben brach ich nicht
Und tauche täglich aus durchlittnen
Roheiten neu die Stirn ins Licht.
Was in mir weich und zart gewesen,
Hat mir die Welt zu Tod gehöhnt,
Doch unzerstörbar ist mein Wesen,
Ich bin zufrieden, bin versöhnt,
Geduldig neue Blätter treib ich
Aus Ästen hundertmal zerspellt,
Und allem Weh zu Trotze bleib ich
Verliebt in die verrückte Welt.
(Hermann Hesse, Gestutzte Eiche – 1919)

Gladiolo spartitraffico

Gladiolus italicus

Gladiolus italicus

La strada a scorrimento veloce che corre parallela al Bisagno è intitolata ai primi cittadini ‘storici’ della città di Genova, prima Gelasio Adamoli, e poi, in questo ultimo tratto, Augusto Pedullà. Il ponte vicino ricorda invece Nicholas Green, un bambino americano che correva verso le vacanze ed è stato ucciso per sbaglio,  in Calabria, da un piccolo criminale in odore di ‘ndrangheta, ma sopravvive ancora nelle numerose persone che hanno ricevuto tutti, ma proprio tutti i pezzi di lui che ancora potevano funzionare. E non molto lontano da quel ponte, così defilato e scarno, sull’aiuola spartitaffico di via Augusto Pedullà sono nati dei gladioli. Non i gladioli da fioraio che i contadini liguri coltivavano ai bordi dell’orto o nel giardinetto sottocasa per farne grandi mazzi da offrire alle feste estive della Madonna.

Gladiolus italicus

Gladiolus italicus

Questi sono gladioli selvatici, e davvero non mi pare concepibile che qualcuno ce li abbia piantati apposta, sono arrivati proprio da soli, nel bel mezzo di questa aiuola quasi inaccessibile, accanto a silene bianca e sanguisorba, e tanta tanta valeriana rossa. Che commozione incontrare un fiore così delicato e selvaggio in mezzo ai rumori e ai fumi della città. Un’altro gladiolo era nato sulle sponde ripide della collina alle spalle di piazza Rotonda a Borgoratti, sponde squarciate da un progetto di garage interrati che da mesi avanza lentamente, fra smottamenti e voragini impreviste. Quel gladiolo non sono riuscita a fotografarlo, troppo breve la sua stagione e troppo affannato il mio tempo.Invece avevo fotografato su quel dirupo le distese bianche degli agli (Allium neapolitanum), più rampanti e tenaci. Per non farmeli scappare, a questi gladioli ho dedicato una deviazione nell’assolata domenica e un intero servizio fotografico. Meno male perchè oggi, ormai giovedì, sono già scomparsi.

Sanguisorba minor

Poterium sanguisorba

Allium neapolitanum

Allium neapolitanum

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(cliccate sulle fotografie per vederle più grandi, in un’altra scheda)

Il profumo dell’orniello

Fraxinus ornus

Orniello Fraxinus ornus

Che bello questo orniello, tutto coperto di fiori bianchi, mentre si eleva spavaldo sul muraglione di corso Europa, dal lato opposto della strada rispetto al platano di qualche giorno fa (cliccate sulla fotografia per vederla in formato intero in un’altra scheda). L’orniello è un albero coraggioso e quando disperde i semi, grazie alle piccole samare alate rosso brune, non guarda in faccia nessuno e germoglia dappertutto, anche sui muri di città. La sua stagione è naturalmente la primavera, quando si copre di fiori bianchi e teneramente profumati grazie ai quali ha meritato l’appellativo di frassino fiorito. Ma anche d’autunno riesce a inventare colori interessanti (vedi 29 dicembre 2008 e 23 novembre 2009)
Tuttavia è un albero assai misconosciuto. Mi capita di nominarlo, di parlare della sua fioritura, e ricevere in risposta occhiate perplesse, come se avessi nominato qualche pianta esotica, oppure sentirmi rispondere che non ne hanno mai sentito parlare. Come scrivevo già il 5 maggio 2008, mentre dire che i ciliegi o i peschi sono fioriti colpisce la sensibilità di molta gente, dire che sono fioriti gli ornielli lascia indifferenti quasi tutti. Ed è un peccato perchè di questa meravigliosa fioritura si può godere non soltanto nei boschi, ma anche, incredibilmente, nel bel mezzo della città, persino lungo le strade più polverose e trafficate. L’orniello è un piccolo frassino, raramente arriva a 20 metri di altezza, mentre i suoi fratelli maggiori sono molto più alti, come il frassino comune, Fraxinus excelsior, che può raggiungere i 40 metri. Anche le foglie dell’orniello sono più piccole, composte al massimo di 9 foglioline, più corte e ovali di quelle del frassino comune, che arrivano fino a 15. Ci sono altre differenze botaniche per riconoscerlo, ma quello che importa a noi è che l’orniello è di gran lunga il frassino più diffuso dalle nostre parti. Si propaga con voluttà, germoglia avido, cresce velocemente, si accontenta di terreni poveri (e che c’è di più povero per un albero del muraglione di un’arteria cittadina?), non lo trovo però classificato come specie invasiva, al pari di ailanto (25 agosto 2008) e robinia (24 aprile 2009) per intenderci, probabilmente perchè naturalizzato da molto più tempo. Specie autoctona, non immigrante, tanto da passare, quasi, inosservato.

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