Via delle Ginestre e il trenino di Casella

via delle Ginestre

Ginestra
(Spartium junceum)
presso la chiesa del SS. Sacramento, via delle Ginestre

Via delle Ginestre non si chiama così per caso. Come scrivevo qualche giorno fa, le ginestre quassù ci sono davvero.

La strada si inerpica dalla valletta di Staglieno verso la collina di piazza Manin. Superata salita della Crosetta, siamo già lungo il percorso del coraggioso autobus n.49 quando si raggiunge la chiesa nuova, dedicata al SS. Sacramento e edificata nel 1913, più o meno nello stesso periodo della casa della società Economica. Proprio a ridosso della chiesa cresce uno dei più bei cespugli di sparzio di tutto il percorso, oggi quasi in piena fioritura.

Lo sparzio, già, altro nome della ginestra maggiore, traduzione del suo nome scientifico, Spartium junceum, che significa qualche cosa come cordicella giunchiforme e suggerisce l’utilizzo dei sinuosi fusti come legacci (vedi anche 27 maggio 2008). Più conosciuto ormai come il giallo della primavera, perchè in questa stagione, nelle nostre terre, basta alzare gli occhi verso le colline e lo vedi brillare, luminoso come il sole.

Ginestre e valeriana

Spartium junceum
Centranthus ruber

La strada sale ancora e confluisce nella via Burlando, storica strada popolare che corre alta lungo la collina, aperta al vento e al mare. Poco prima di piazza Manin, a destra della carreggiata su un ripido incolto,  le ginestre ancora si sporgono, piegandosi verso l’asfalto. I fusti e i fiori sfiorano le macchine in sosta, con il giallo che si mescola al rosa carico della valeriana rossa (Centranthus ruber), che è protagonista assoluta di ogni angolo della città per tutta la bella stagione.

Più in alto, oltre il breve pendio, comincia il tracciato del trenino di Casella, storica  ferrovia a scartamento ridotto che dal 1929 collega Genova con la valle Scrivia. La stazione di partenza si trova proprio alle spalle di piazza Manin, già un po’ in quota rispetto al mare, inizio di un percorso tortuoso, con pendenze e crinali degni di una ferrovia di montagna. Ma, per chi lo sa apprezzare, il panorama è emozionante. Un po’ vecchiotto ormai per adempiere appieno alla sua originaria funzione di mezzo di collegamento fra città e entroterra, il trenino rappresenta oggi soprattutto un percorso turistico e ricreativo, con alterne  fortune e discordi apprezzamenti. Nel 2014, quando è stata scattata la foto qui sotto, la ferrovia viveva una delle sue lunghe chiusure per restauri e il piccolo vagone storico, coperto di disegni e grafiti più o meno gradevoli, sostava inattivo sugli angusti binari. Ancora più su, sopra la stazione, si staglia un piccolo capolavoro dell’architettura di fine ottocento, il castello Mackenzie, opera prima del giovane architetto Gino Coppedè.

Ginestre - Trenino di Casella

Ferrovia Genova-Casella e castello Mackenzie (maggio 2014)

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L’olmo e il verde della città

Olmo Ulmus glabra

Ulmus glabra
Olmo montano

La primavera è calda e assolata, oppure fredda e ventosa, luminosa ed esuberante, ma anche umida e dispettosa. La primavera è tutto e il contrario di tutto, ma non nega mai i suoi colori. Colori generosi e brillanti quelli dei fiori di campo, distese di giallo e di bianco che splendono anche nella nebbia. Colori originali e ricchi quelli delle fioriture eleganti dei giardini. Colori di ogni tipo, dai più tranquilli e timidi, a quelli più improbabili e inattesi. Tutti i colori, anche in città. Ma soprattutto il verde, un’universo di verde. Ogni anno l’inverno cancella il verde dalla nostra vista; sono il rosso, il giallo, il bruno che dominano le stagioni silenziose. Poi, anche sotto uragani e inondazioni, la primavera ci reinsegna il verde.

Siamo sulle pendici della collina che sovrasta il greto del Bisagno, il cimitero di Staglieno e lo stadio di Marassi. La strada si chiama via delle Ginestre, e grandi ginestre (Spartium junceum), quelle gialle e cariche,  ce ne sono davvero. Qui la città si arrampica su per una costa scoscesa e tutte le costruzioni hanno dovuto adattarsi alla pendenza. Come un singolare edificio in salita della Crosetta, costruito nei primi decenni del Novecento dalla Società Economica, imitando le case popolari di pianura, detta ‘a ringhiera’, con lunghi balconi di ingresso e una vasta corte interna. Ma per seguire il ripido andamento della valle, questo palazzo si allunga come una scala, con una successione di tetti spioventi a gradini che lo fanno assomigliare a una costruzione fantastica.

Olmo - Ulmus glabra

Ulmus glabra

Arrampicandomi su per queste strade, strette e ripide per le automobili, ma ancora più impervie per il malcapitato pedone, sulle terrazze cementate fra gli alti condomini, crescono piante incredibili, e coraggiose. L’indomita robinia, il fico, ma anche il caprifoglio arrampicatore. L’olmo montano, Ulmus glabra, si riconosce per le foglie grandi e appuntite, i piccioli corti, nascosti dai lobi delle foglie. Qui si contende lo spazio con i tubi del telefono e certamente riceve molte visite.

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Parietaria, storia di una pianta magica finita nella spazzatura

Parietaria officinalis

Parietaria officinalis

La parietaria, che in genovese si chiama canigêa, è una delle prime piante che ho imparato a conoscere. Le sue foglie hanno interessanti proprietà. Sono un semplice ed efficace antidoto per le irritazioni causate dall’ortica. Le due erbe si trovano spesso vicine e sono tutte e due ricche di virtù officinali; ma l’ortica brucia la pelle, mentre le foglie di parietaria, sfregate sulla parte offesa, calmano il bruciore. Le foglie della parietaria sono appicicaticce e da bambine le usavamo per creare rustiche e improvvisate decorazioni sui vestiti, scrivere il nostro nome, fare piccoli disegni. Nei trattati di erboristeria, l’elenco degli usi della parietaria è lunghissimo. Il nome popolare di vetriola deriva dal fatto che è molto efficace per tirare a lucido il vetro macchiato o opacizzato.

Oggi la pianta è caduta in disgrazia. Certo, è la peggiore infestante che esista, infatti cresce praticamente dappertutto, nei campi, nei buchi dei muri, in mezzo all’immondizia, nelle fessure, fra il cemento ed l’asfalto, fino a formare in men che non si dica cespi robusti e voluminosi. Molte persone sono allergiche al polline che, data la diffusione, rappresenta un vero e proprio tormento per tutta la bella stagione. Non sorprende che queste persone non la amino. Io non sono allergica, ma la strappo con violenza ovunque la trovo, certa che non avrà problemi a ricrescere più forte e rigogliosa di prima. Vorrei odiarla, ma non posso. Credo che se non ci fosse, un po’ ne sentirei la mancanza.

Questo post ripropone parola per parola un post del vecchio blog ‘fiori e foglie’ del 14 maggio 2008. Credo che la canigêa in fondo se lo meriti.

Biancospino rosa alla Garbatella

Crataegus laevigata Paul Scarlet

Crataegus laevigata Paul Scarlet
Biancospino rosa
Garbatella, Roma

A spasso per la Garbatella, mi imbatto in questi graziosi alberelli carichi di fiori rosa. Sono molto diffusi nelle zone urbane, e avrò occasione di notarli ancora in altri quartieri di Roma in questa stagione, che è quando sono più appariscenti.
Questa varietà di  biancospino, Crataegus laevigata Paul Scarlet, è quasi tutto il contrario del suo nome. E’ poco spinoso e porta fiori rosa carico, doppi e corposi. Ma sono fiori sterili e raramente producono bacche. Quindi l’alberello è destinato a trasformarsi in un qualsiasi arbusto verde scuro quando la fioritura è terminata.
Molto resistente all’inquinamento, di dimensioni modeste e poco esigente in fatto di terreno, è un’essenza ideale per i degradati bordi delle vie cittadine.

Biancospino rosa

Crataegus laevigata Paul Scarlet
Biancospino rosa
Garbatella, Roma


La Garbatella è uno storico quartiere popolare nella parte Sud di Roma, qualche tempo fa quasi una borgata, oggi divenuto una zona residenziale di tutto rispetto. Il nome, che venne dato al quartiere negli anni ’30, è di origine controversa. La storia più graziosa è quella che si riferisse a una ragazza bella e gentile che gestiva una locanda nella zona. Questa garbata ostessa sarebbe raffigurata in un rilievo sopra un edificio ad angolo nella piazza Bonomelli.
Nella contigua via Brollo si trova una famosa scritta murale, che risale alle elezioni politiche del 1948, e incita a votare Garbaldi, il simbolo del Fronte Popolare PSI-PCI. Poco più di un mese fa, nonostante fosse protetta da una copertura che ne testimoniava la cura con cui si voleva preservarla dal degrado, era stata cancellata perchè scambiata per un qualsiasi sfregio sul muro; ma gli abitanti hanno preteso che fosse ripristinata come memoria storica del quartiere.

La GarbatellaLa Garbatella

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Soltanto la robinia ..

Robinia pseudoacacia

Robinia pseudoacacia
Sampierdarena Novotel

Il cantiere, dove solo pochi mesi fa avevo scovato fiori ed erbe tenaci, è sempre più vorace e soffoca nel cemento e nella polvere tutto il verde possibile. Ma sul ripido pendio che scende dal fianco vitreo del Novotel di Sampierdarena, mi sorprende indomabile una fioritura bianca. Non può essere che lei, soltanto la robinia (Robinia pseudoacacia), imprudente pioniera di scarpate e rovinose pendenze. Ovunque l’opera umana crea un dirupo, prima o poi spuntano le robinie.
Piante estranee, che Alessandro Manzoni, dopo averle piantate con entusiasmo nel proprio giardino, disprezzò per l’invadenza del fogliame (24 aprile 2009), piante temerarie, di cui ho già celebrato il coraggio, anche se effimero (la giovane pianta che cresceva fra muro e finestra è stata presto estirpata), a metà aprile le robinie fanno il loro ingresso trionfale con esuberanti fioriture, che nei boschi nutriranno vasti stuoli di magiche api.

Robinia pseudoacacia

Robinia pseudoacacia
via Rosa Raimondi Garibaldi, Roma

L’albero non è bello, il suo tronco è contorto e fessurato, la chioma disordinata e rozza, la polpa delle foglie troppo sottile e il loro verde nitido, ma insipido. Eppure la fioritura è straordinaria, dappertutto grappoli di fiori sbucano in mezzo ai viali, negli spazi incolti, oltre i cancelli e le recinzioni e dietro i muri, in campagna e in città, pacifica esplosione bianca dal profumo intenso e inebriante.
Naturalmente si incontrano anche esemplari un po’ più aggraziati ed eleganti, le ragazzacce sanno fare di tutto, come questo bel campione a ombrello che campeggia di fronte al palazzo della Regione Lazio, via Rosa Raimondi Garibaldi (la madre di Giuseppe), fra la Garbatella e la via Cristoforo Colombo. Anche lui, tuttavia, un po’ storto.

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Nel greto del Bisagno

Greto del Bisagno

Silybum marianum
nel greto del Bisagno

Nel greto del Bisagno crescono piante, qualcuno li chiamerà fiori selvatici, qualcuno erbacce.
Occasionalmente ripulito, si ripopola velocemente e le specie cambiano. Capita a volte di non ritrovare i fiori che ricordavi negli anni precedenti, e vederne prosperare altri, che non si sa da dove siano venuti. Ma il ritmo della nostra giornata mal si addice ad osservazioni intense. Chi ha il tempo di starsene sulla riva del fosso a guardare le piante per ore, giorni, settimane? Certamente le specie cambiano e si avvicendano in modo incontrollato, ma è soprattutto la la nostra attenzione ad essere carente e molto sempre ci sfugge.

Nell’aprile di qualche anno fa, fra la spazzatura e una straccio di bandiera della pace, scopro il cardo mariano, pregiata specie officinale, neanche tanto comune negli incolti liguri, rosseggiante carciofo selvatico in mezzo ai broccoletti gialli.

Malva multiflora

Malva multiflora
nel greto del Bisagno

Poco più in là la malva, che potrebbe essere Malva sylvestris, la specie di gran lunga più comune, ma non sono convinta. Guardo e riguardo queste fotografie un po’ vaghe, poco nitide e poco a fuoco, certamente non adatte per apprezzare i particolari. Penso a  Malva nicaeensis, la malva scabra, specie mediterranea non molto diffusa. Ma non è neppure quella. Piuttosto credo che sia Malva multiflora, una lavatera diventata malva (si legga qui per capire perchè), pianta eretta e slanciata, fino a più di un metro, con fusti solidi, verde rossastri e pelosi, che abita gli incolti e i ruderi. Ancora non mi capacito tuttavia che ci faccia nel greto di un torrente, pur alquanto asciutto. Si dovrà andare a controllare i famosi segmenti dell’epicalice, se siano o no fusi. Un’occasione per scovare qualche cosa di nuovo nel torrente.

Il salicone va in città

Salicone Salix caprea

Salicone – Salix caprea

Le sorprese della Casa del soldato di via Sturla 3 (ex Casa del Fascio, anno 1938, vedi il post di ieri) non sono ancora finite. Nell’angolo fra l’impiantito e il muretto che limita il terrazzo d’ingresso è cresciuto un altro germoglio straordinario. Ha lunghi ramoscelli eretti e flessibili, che già mostrano mazzetti di foglie verdissime, tante gemme traslucide e argentate e un paio di  fiori maschili, amenti già maturi, con sfavillanti antere giallo-oro.

Salicone Salix caprea

Salix caprea

Foglie, gemme, amenti maschili sono quelli del salicone o salice delle capre, nome volgare di Salix caprea (22 marzo 2009), un audace alberello che vegeta dalla pianura fino alla montagna, anche nei pressi di zone antropizzate. La definizione di “specie pioniera molto rustica” lascia intendere come sia pianta capace di adattarsi su detriti e scarpate.  Come altre essenze selvatiche, non è usuale in città, ma forse ce n’è qualche esemplare nei giardini qui sotto, i giardini di Vernazzola, un’area verde proprio dietro all’edificio. Altrimenti non mi spiegherei da dove e perchè sia arrivato fino a qui.

Sopra il piccolo salice e le mattonelle divelte del terrazzo, campeggia un singolare edificio, il cui aspetto è insieme inquietante e affascinante. Inquietante perchè questo modello di fabbricato richiama fin troppo il pesante fardello politico sociale del periodo storico in cui fu edificato. Affascinante perché rappresenta egregiamente un pezzo di storia dell’architettura, e anche dell’arte, di cui fra non molto potremo celebrare il centenario. Disturba forse l’apparenza e la fragilità del cemento, l’intonaco giallino, gli angoli squadrati (e potevano essere altrimenti?). Ma la forma è originale, fantasiosa, con quella torretta da astronave, quell’abbaino da sommergibile, le sottili colonne cilindriche e la vetrata a quadratini della colonna centrale. Come altri edifici pubblici d’epoca (vedi per esempio la gloriosa villa Posalunga di cui ho parlato qui) è da anni al centro di polemiche e discussioni riguardo al suo possibile reimpiego per la collettività, utilizzo che sarebbe naturalmente auspicabile. Purtroppo la sua, anche sommaria, ristrutturazione sarà morte certa per il piccolo salicone.

Piazza Sturla 3

Piazza Sturla 3

Uno spazio privo di terzo paesaggio sarebbe come uno spirito privo di inconscio — Gilles Clement “Manifesto del Terzo paesaggio”

Paulownia testarda

Paulownia

Paulownia tomentosa
30 aprile 2016

Le erbe da crepe crescono fra le mattonelle del selciato,  in ogni microscopica falla delle coperture. Non solo le erbe, anche gli alberi.
Qui siamo in piazza Sturla 3, Genova ovviamente, non molto lontano dal mare. Nel cortile piastrellato di questo singolare edificio, la primavera popola le fenditure. E’ la vecchia  Casa del Fascio, edificio “Nicola Bonservizi” del 1938, poi divenuta proprietà dello stato e sede di varie associazioni, ma ormai da decenni in stato di abbandono. Lungo una larga fessura piena di svariate erbacce, proprio al centro del terrazzo davanti all’ingresso principale, un robusto virgulto di Paulownia tomentosa ha trovato la strada verso la luce, facendosi spazio fra le mattonelle. La prima fotografia (a sinistra) è stata scattata alla fine di aprile di 3 anni fa (2016). Mi aveva colpito la determinazione con cui quest’albero aveva occupato il cortile. Mi chiedevo quanto e come sarebbe sopravvissuta e così oggi sono tornata a vedere

Paulownia

Paulownia tomentosa
15 aprile 2019

Il germoglio di Paulownia c’è ancora, più piccolo di quello di tre anni fa, e non solo perchè la stagione è più indietro. Non sembra la stessa pianta, ha un tronco più sottile ed è più vicino all’inferriata di ingresso.  E’ difficile osservarlo e soprattutto fotografarlo bene oltre la spessa cancellata. Altri virgulti di Paulownia, ancora più esili del primo, si intravedono lungo tutta la crepa dell’impiantito.  C’è ormai tutta una selva di piante che popola Il selciato della vecchia Casa del Soldato, sempre più compromessa e sempre più abbandonata.

Presto i grandi alberi di Paulownia si copriranno, anche se per breve tempo, di fiori magnifici. Spero di riuscire a vederne qualcuna in città. Ma i giovani getti e i cespugli piccoli come questi devono accontentarsi di crescere le larghe foglie cuoriformi, e sono probabilmente destinati a  non diventare mai adulti. La loro caparbietà spacca la pietra, ma non può trovare fra queste pietre di cemento le condizioni per una vita piena e dignitosa.

Una frase al giorno …
Il Terzo paesaggio non evolve secondo curve temporali semplici ma secondo le modalità biologiche dell’ambiente ” — Gilles Clement “Manifesto del Terzo paesaggio”

Fiori da rotonda

Rotonda con bocche di leone

Antirrhinum majus  
San Benigno

Le rotonde stradali, o rotatorie, sono diventate in pochi decenni una presenza costante nelle città, come in periferia e nelle strade extraurbane, sostituendo molti semafori, e con qualche vantaggio per il traffico, ora che finalmente la maggior parte degli automobilisti ha imparato come funzionanano. Dove ci sono ampi spazi, le rotatorie si susseguono vaste e regolari. Negli spazi angusti della Liguria e soprattutto in città, talvolta le rotonde sono quasi invisibili ed è problematico comprendere chi è fuori e chi è dentro, con complicazioni e intoppi per la circolazione.
Ma anche le nostre microscopiche rotonde hanno al centro il loro cerchio di ghiaia e terriccio dove possono o vogliono trovar posto delle piante. Talvolta sono disposte ad arte, anche se non sempre curate a dovere.  Talvolta l’abbandono incombe e allora, se la terra resiste, le piante scelgono da sole dove andare. Nella rotonda di via di Francia nei pressi di san Benigno (foto sopra) ha trovato riparo l’immancabile pianta di bocche di leone, già incontrata altrove come pioniera (vedi mura della Malapaga, ma anche altri muri).

Rotonda con reseda

Reseda luteola
San Martino

Un’altra rotonda, piccola e abbandonata, ma trafficatissima,  poco lontano dall’ingresso del pronto soccorso e dell’ospedale di San Martino, è invasa dalla reseda biondella, pianta ruderale, amante dei terreni di riporto e dei calcinacci. A ben guardare si scopre che su questa rotonda la reseda non è sola, ma si accompagna a un’altra pianticella notevole, la sanguisorba minore, Poterium sanguisorba, specie alimurgica e officinale, ma già osservata spesso negli spartitraffico.

Fiori da rotonda

Reseda luteola
Poterium sanguisorba
San Martino

Tutt’e due queste rotonde, in tempi più recenti delle fotografie, sono state, per così dire, ripulite dalle erbacce per accogliere esemplari da vivaio, palme per lo più, quelle piante cioè che ostentano staticità stagionale. Ma non a lungo sono piante felici; coperte dalla polvere e soffocate dagli scarichi, ho notato come difficilmente resistano allo stress. A quelle condizioni estreme invece meglio si adattano piante mutevoli e vagabonde. Disordinate e fiere, se riprenderanno il sopravvento, il verde della rotonda sarà salvo.

Un albero fiorito per L’Aquila

Cercis siliquastrumUn albero cresce sopra la scarpata. Un albero solo in mezzo ai detriti di una frana, che dal monte è scesa verso la gola e si vede, lontano, dalla strada. Un albero qualsiasi, sconosciuto, uguale a tutti gli altri alberi, spogli d’inverno e verdi d’estate. Sta solo sul dirupo della montagna e si distingue appena.
Finchè, all’improvviso all’inizio di aprile, ti accorgi che non è un albero qualsiasi, perché all’improvviso in aprile, si copre di fiori. Appare, per lo spazio di un attimo, scendendo con l’auto lungo la strada, la strada di casa, alzando la testa a guardare i monti, una nuvola di rosa sul grigio della roccia. Cercis siliquastrumSuperata la gola, già non si vede più.
Non so come è arrivato quell’albero lassù, seme portato da uccelo o vento, da qualche giardino. Lassù si è trovato bene, sono molti anni che fiorisce, unico e fiero.

Quest’albero, che si dice di Giuda perchè viene dalla Giudea, è inconfondibile. Il suo nome vero è Cercis siliquastrum, dal greco “kerkis”, spola del tessitore, come la forma dei suoi baccelli. Per tutto l’anno si può dimenticare, ignorare che sopra il dirupo cresca un albero solitario. Ma all’inizio di aprile torna la flebile nuvola rosa a gridare la primavera.

Del Cercis siliquastrum, in città in questa giornata di primavera, ho già parlato in un altro post. Come allora anche oggi, voglio ricordare quello che ho scritto dieci anni fa, il  6 aprile 2009  giorno del grande terremoto:

“Questa notte in Abruzzo è avvenuto un grande terremoto. La nobile e antica città de l’Aquila è ferita e distrutta. Le immagini restituiscono macerie, polvere grigia. Pure dovevano esserci, fino a ieri, alberi fioriti. Pure dovrebbero esserci, anche oggi, alberi fioriti, stretti alle loro radici, resistenti alla terra che trema. Per distogliere lo sguardo dalle rovine, spero che qualcuno li veda, spero che qualcuno li guardi. Quando la vita è sospesa in un attesa, tragica o dolorosa, fa molto bene guardare gli alberi in fiore.”

Di nuovo sempre per L’Aquila e i suoi paesi vicini, perchè anche i terremoti
“Podrán cortar todas las flores, pero no podrán detener la primavera” (P.Neruda)