Negundo

acer negundo
Questa fioritura dall’aspetto così esotico e appariscente appartiene a un esemplare maschile dell’acero americano, l’acero negundo. L’albero di questa foto si trova in via Claudio Carcassi (giureconsulto mazziniano), ai piedi dei muraglioni del parco del’Acquasola di piazza Corvetto, e slancia le sue fronde ancora spoglie di foglie, ma cariche oltremisura di amenti rosati verso l’abbandonata e fatiscente salita della Misericordia. Amavo quest’angolo di città fin da quando ci passavo da bambina, una scorciatoia per raggiungere la collina di Carignano da Corvetto. Anche adesso è un angolo appena nascosto dove mi attardo volentieri e, accanto agli immancabili lauri e un meno consueto e meno nobile gelso da carta (broussonetia papirifera, vedi 1 settembre 2009), avevo già notato il negundo, l’unico acero a foglie composte, verde acceso e tenero, ridondante. In questo post, il 9 maggio 2009, si trova l’immagine delle foglie e dei frutti di un esemplare femmina.
Ma per ammirarlo ornato dei ricchi amenti maschili il tempo stringe, abbiamo davvero soltanto un paio di settimane. Via via che la primavera avanza, le foglie si aprono brillanti e gli amenti si riducono a sottili filamenti sfrangiati.

Mahonia

Mahonia aquifolium

Mahonia aquifolium

La pianta è esotica, ovvero americana (vedi 5 gennaio 2009), e certamente messa a dimora, in queste aiuole impolverate di piazza Corvetto, a ridosso del posteggio dei taxi, a pochi metri dallo storico bar Mangini. Le sue foglie coriacee, taglienti come quelle dell’agrifoglio (da cui il nome specifico aquifolium) non sono particolarmente attraenti, verde cupo o rossicce, macchiate di catrame. Ma come non fermarsi almeno un momento ad ammirare i suoi brillanti fiori gialli, che sbocciano all’improvviso, testardi e robusti, alla faccia della polvere e dello smog. Sulla stessa aiuola prosperano le erbacce più sbarazzine, fumaria (9 maggio 2008) e tarassaco (17 marzo 2009), anche loro spavaldamente in fiore

Veronica

veronica cymbalaria
Fra le erbette più sfacciate e precoci, le inarrestabili erbacce vagabonde, timide e discrete, ma inesorabili, capaci di crescere su un nulla di terra di una vaso abbandonato o nel bordo insignificante di un aiuola, ma sempre e dappertutto, e non appena il giorno concede un accenno di primavera, macchè di fine inverno come questo, ancora senza grande convinzione, fra quest’erbe, dicevo, un posto in prima fila spetta alle piccole veroniche, bianche come roselline o blu come gli occhi della Madonna. Questa Veronica cymbalaria (26 febbraio), cosidetta perchè assomiglierebbe alla Cymbalaria muralis, anche se con le moderne classificazioni non è nemmeno sua parente, cresceva proprio in un vaso abbandonato per strada, naturalmente in buona compagnia di graminacee e parietaria. Come non commuoversi di fronte alla sua spavalda fioritura?

Stellaria

Stellaria

Stellaria media

La stellaria è una piccola erbetta infestante, un’assoluta, imbattibile protagonista delle avventizie cittadine. Appartiene alla nobilissima famiglia della Caryophyllaceae, la famiglia dei garofani, o fiori degli dei, e delle sileni, altre colonizzatrici instancabili e attraenti di bordi stradali e aiuole. Questa piccola parente povera è anche molto precoce, e apre i suoi timidi fiorellini bianchi, si direbbe insignificanti, già dal mese di febbraio, incurante anche dei geli residui. Non è davvero una rarità, ma con fiori così microscopici, petali così sottili, passa quasi inosservata.

Stellaria media

Stellaria media

Combattuta come tutte le malerbe, non è però pianta trascurabile, perchè le sue foglie umide e grassocce sono note da secoli agli erboristi campestri antichi e moderni per varie virtù alimurgiche e officinali(1). Inoltre pare che sia particolarmente gradita ai volatili da cortile e viene detta ‘occhio di gallina’ proprio perchè considerata un buon cibo per il pollame(2), addirittura da incrementare la produzione di uova.

Oltre che nel mio giardino, in mezzo alle immarcescibili foglie di Magnolia grandiflora, eccola lungo il muro della prima casa cantoniera della strada statale 45, che collega Genova a Piacenza. Le prime antiche case cantoniere della statale sono ancora dentro la città, ma si fanno notare, lungo il torrente Bisagno, per il loro aspetto bizzarro, quasi uscite dal plastico di un trenino.

Casa cantoniera

Casa cantoniera  N.1  SS45

(1)Fukalova et al. Five undervalued edible species inherent to autumn-winter season: nutritional composition, bioactive constituents and volatiles profile. PeerJ. 2021 9:e12488.
(2)De Feo et al. Traditional phytotherapy in the Peninsula Sorrentina, Campania, southern Italy. J Ethnopharmacol. 1992  36(2):113-25.

Mirabolano di periferia

Prunus cerasifera Pissardi
Lungo via Struppa, subito dopo il Giro del Fullo, bizzarra ansa del torrente Bisagno, fra i condomini di cemento c’è ancora una campagna testarda, fitta di alberelli dolci ed aggraziati. Come il mirabolano (Prunus cerasifera pissardii) troppo rosa per essere un semplice prugno, troppo traboccante di fiori per essere un timido pesco. Albero più ornamentale che da frutto, ha foglie, quando spuntano, rossicce (vedi 23 marzo 2009, quanta nostalgia).

Corinoli, il sedano antico

Smyrnium olusatrum

Smyrnium olusatrum

Un’altra pianticella gialla, dalle foglie verdissime che cresce nelle aiuole della strada portata chissà da dove. E’ alta ed ha il fusto robusto, parente com’è del sedano e del finocchio. Ed è una pianta commestibile, e anche buona, tanto da essere consumata nei tempi antichi proprio come oggi consumiamo il sedano. Perchè la civiltà abbia poi riservato un successo maggiore all’Apium graveolens (sedano comune) piuttosto che allo Smyrnium olusatrum (corinoli comune, nella foto), credo sia a causa di qualche legge di mercato. Come dire, l’Apium si è rivelato più addomesticabile e, forse anche un po’ più appetibile. Senza nulla togliere al parente rustico Smyrnium.
Questo corinoli ha colonizzato diverse aiuole di corso Solferino, viale della circonvallazione a monte (Genova), spingendosi anche nella vicina via Cesare Corte. Le sue ombrelle gialle si stagliano orgogliose e sprezzanti contro i tronchi degli ippocastani ancora spogli, fra un tombino e l’altro, addossate alle macchine in sosta, che se ne stanno pavide tutte entro le rigorose linee azzurre (2€ all’ora, prendere o lasciare).

Celidonia

Chelidonium majus

Chelidonium majus

Mentre curiosavo in qualche pagina in rete la corretta ortografia del nome latino di questa pianta (Chelidonium majus), mi imbatto con sorpresa in una pagina di un forum contenente una appello disperato, purtroppo datato maggio 2004 “Qualcuno può procurarmi la pianta celidonia? Sono disposta a pagare qualunque prezzo … ” Qualsiasi prezzo per questa umile pianticella da strada? E’ un peccato che la signora violett68 sia ormai sparita nei meandri della rete. Ed è un vero peccato che non abiti nella mia città, Genova. Perchè facilmente oggi le avrei potuto spiegare come trovare la pianta celidonia in una verdeggiante aiuola che si trova nei pressi del capolinea della funicolare Sant’Anna, in cima alla centrale via Bertani. Cominciamo con la funicolare. E’ la più antica e la più corta (370 m) della città e fino al 1978 (e me lo ricordo …) funzionava mediante un meccanismo ad acqua, basato sul semplice principio della gravità; la vettura in alto veniva caricata di acqua e scendeva a causa del suo peso, trascinando su l’altra, il cui serbatoio era vuoto. Dopo varie ristrutturazioni, incendi, ricostruzioni e via dicendo, la funicolare continua la sua corsa fra alcuni dei palazzi liberty più belli della città.
E ora la celidonia. La conosco da tanto tempo, e la riconoscerei ovunque, con i suoi piccoli fiori gialli e il lattice arancione, vagamente sinistro ed appunto tossico, che sanguina da ogni sua parte se spezzata. Appartiene alla famiglia delle papaveracee e viene anche chiamata erba dei porri perchè proprio quel lattice è molto efficace per la rimozione di porri e verruche, oltre che per altri usi alquanto controllati data la sua tossicità. Proprio per questo credo che l’amica Violetta la cercasse e non voleva credere a chi tanto le assicurava che si può trovare anche in città. Infatti è davvero pianta da ruderi e discariche, ma è dolce scoprila così luminosa, gialla di sole e sfacciatamente verde, contro il grigiore livido del cemento d’inverno.
(vedi anche sul vecchio blog  26 aprile 2009)