Osmanto, fiore d’autunno

<em>Osmanthus fragrans</em>

Osmanthus fragrans

Nella piccola aiuola di via di Francia, quella dove cresce il ginkgo, i brevi arbusti di osmanto sono fioriti.

Osmanthus

Osmanthus fragrans

In novembre? Sì, proprio in novembre. Avevo già mostrato il dimorfismo fogliare dell’osmanto incontrato ai parchi di Nervi nel dicembre 2010. Ma non c’erano fiori e mi ero rammaricata che non fosse primavera. Non sapevo che l’osmanto profumato fiorisce spesso due volte, in primavera e in autunno, per la felicità delle spose di questa stagione. Infatti in Cina, sua terra di origine, l’osmanto è il simbolo dell’amore e del romanticismo, donato dalla sposa alla nuova famiglia per esservi accolta e per garantire la nascita di molti figli.

Una bella sorpresa davvero questa fioritura profumata, circondata dal grigio del cemento, nutrita dall’immondizia dell’aiuola. Ammiro come questo spazio verde prospera e si mantiene bello, anche se l’intervento umano è sporadico. Ma di più non si può, e forse non si deve. Senza nulla togliere ai pur occasionalmente solerti spazzini, il merito è tutto delle piante, della loro grazia, della loro resilienza, del loro coraggio. Ginkgo, osmanto, rovi, nobili e verdi, semplici e indomabili.

Ginkgo, l’immortale

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
via di Francia

In un piccola aiuola ai piedi dei grattacieli, in via di Francia, cresce un albero di Ginkgo biloba, il fossile vivente, specie relitta. Altre pianticelle lo accompaganno, un osmanto, un pruno. Ma è il ginkgo che domina, nonostante le potature. L’ho osservato in tutte le stagioni, nell’inverno spoglio e all’inizio della primavera. Adesso, nel fuoco polveroso dell’estate, le sue preistoriche foglie sovrastano i simboli del nostro presente, o di un passato molto più vicino, come una cabina telefonica.

L’immortalità insegue il gingko come una persecuzione. Albero antichissimo, imparentato con le conifere o gimnosperme senza fiori, la sua origine si perderebbe nella notte di 250 milioni di anni fa. Considerato estinto per secoli, è invece sopravvissuto, si dice, grazie a monaci buddisti, e battezzato Ginkgo dai botanici del settecento, ma per un errore di trascrizione del nome orientale. Ritorna in voga ai nostri giorni, quando gli esseri strani e misteriosi possono avere molto successo.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
orto botanico di Lucca

E’ un albero avvezzo alle resurrezioni.  Un bell’esemplare nell’orto botanico di Lucca porta una  targa con due date di nascita, 1880 e 1950, quando fu colpito da un fulmine e dato per morto. Invece la morbide foglioline bilobate rispuntarono dal moncone e presto l’albero tornò alto e florido.

Specie dioica, porta strutture riproduttive maschili e femminili su piante separate e per lo più si incontrano esemplari maschili, perchè le femmine hanno fama di imbrattare nasi e strade con gli involucri puzzolenti dei semi. A parte questo inconveniente, è ormai una pianta comune nell’arredo urbano in tutto il mondo, perchè il fogliame è molto attraente, e vira al giallo brillante in autunno, prima di cadere (vedi anche 22 novembre 2008).

Fiori sulle rovine in via di Francia

via di Francia
La stazione ferroviaria di via di Francia è una stazione a metà. Esiste solo per i treni diretti a levante, mentre quelli che vanno verso ponente transitano senza fermarsi. E’ una stazione metropolitana, utilizzata soprattutto per il trasporto locale e abbastanza frequentata. Naturalmente solamente su uno dei due binari. L’altro esiste, ma non serve a nulla perchè i treni in transito passano altrove, su diverse rotaie che si trovano in posizione rialzata rispetto alla stazione.

La stazione di via di Francia sta da anni nel bel mezzo di un grande cantiere, che avanza come i ghiacciai, un passo avanti e due indietro. Dietro la stazione, dietro il cantiere, ci sono edifici abbandonati e irraggiungibili che raccontano storie sconosciute.  Imponenti nel loro disfacimento, certe costruzioni conservano intatta l’impronta della loro originaria, rispettabile e quasi gloriosa, destinazione d’uso. Così anche se rovine propriamente non sono, mi affascinano non tanto per il loro abbandono, quanto perchè resti di una vita precedente. via di FranciaDi indistruttibili ruderi, protagonisti loro malgrado di importanti angoli della città, avevo già scritto.

Stupefacenti, è ovvio, le piante che li popolano, li hanno colonizzati e non li abbandonano. Come questa bignonia,  Campsis radicans  (vedi anche 14 luglio 2008), incontenibile arrampicatrice, con le sue fronde sgargianti e con le inconfondibili trombe rosso arancio.  Mi avventuro nei pressi del cantiere per fotografarla, nella canicola del torrido pomeriggio. La costruzione gialla scrostrata su cui si abbarbica sembra davvero un’antica stazione, ma purtroppo io non ne so nulla. Forse occorrerebbe intervistare qualche vecchio sampierdarenese attento alle modificazioni urbanistiche e architettoniche del suo quartiere. Esisteva anche in passato una stazione da queste parti? Non siamo lontani dalla villa Grimaldi, La Fortezza, e neppure dalla cinquecentesca villa Scassi. Le rovine a metà si mescolano con nuovi colossi, già a loro modo fatiscenti, come il grattacielo di 24 piani denominato Torre Cantore, di un improbabile cemento rosa, costruito nel 1968.

La bignonia è una pianta americana che d’inverno perde le foglie e quasi scompare, sorprendendoci con il suo ritorno, anche molto lontano da dove l’avevamo lasciata all’inizio dell’inverno, sempre più esuberante, sempre più temeraria.

Soltanto la robinia ..

Robinia pseudoacacia

Robinia pseudoacacia
Sampierdarena Novotel

Il cantiere, dove solo pochi mesi fa avevo scovato fiori ed erbe tenaci, è sempre più vorace e soffoca nel cemento e nella polvere tutto il verde possibile. Ma sul ripido pendio che scende dal fianco vitreo del Novotel di Sampierdarena, mi sorprende indomabile una fioritura bianca. Non può essere che lei, soltanto la robinia (Robinia pseudoacacia), imprudente pioniera di scarpate e rovinose pendenze. Ovunque l’opera umana crea un dirupo, prima o poi spuntano le robinie.
Piante estranee, che Alessandro Manzoni, dopo averle piantate con entusiasmo nel proprio giardino, disprezzò per l’invadenza del fogliame (24 aprile 2009), piante temerarie, di cui ho già celebrato il coraggio, anche se effimero (la giovane pianta che cresceva fra muro e finestra è stata presto estirpata), a metà aprile le robinie fanno il loro ingresso trionfale con esuberanti fioriture, che nei boschi nutriranno vasti stuoli di magiche api.

Robinia pseudoacacia

Robinia pseudoacacia
via Rosa Raimondi Garibaldi, Roma

L’albero non è bello, il suo tronco è contorto e fessurato, la chioma disordinata e rozza, la polpa delle foglie troppo sottile e il loro verde nitido, ma insipido. Eppure la fioritura è straordinaria, dappertutto grappoli di fiori sbucano in mezzo ai viali, negli spazi incolti, oltre i cancelli e le recinzioni e dietro i muri, in campagna e in città, pacifica esplosione bianca dal profumo intenso e inebriante.
Naturalmente si incontrano anche esemplari un po’ più aggraziati ed eleganti, le ragazzacce sanno fare di tutto, come questo bel campione a ombrello che campeggia di fronte al palazzo della Regione Lazio, via Rosa Raimondi Garibaldi (la madre di Giuseppe), fra la Garbatella e la via Cristoforo Colombo. Anche lui, tuttavia, un po’ storto.

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Piante da cantiere

La città è grigia, polverosa, sporca. la città è caotica, rumorosa, soffocante. La città è compressa, stritolata dal cemento, che ogni tanto la accartoccia in una morsa mortale. Anche se, per sua fortuna, Genova è una città aperta, perchè ha un lato spalancato verso il mare. Ma quante piante possono crescere, prosperare, fiorire e riprodursi in un ambiente apparentemente così inospitale? Nei pressi di un cantiere stradale, alla fine di una strada a scorrimento veloce, la sopraelevata Aldo Moro, all’inizio del quartiere di Sampierdarena, fra rottami, plastica e cemento, vivono tante piccole piante dimenticate. Le ho osservate, abbastanza stupefatta, e le ho fotografate nel febbraio dell’anno scorso, 2018, e ora provo a riconoscerle, a dar loro un nome, a immaginarne la storia.

Piante da cantiere Brassica fruticulosa

Piante da cantiere
Brassica fruticulosa

Piante da cantiere Brassica fruticulosa

Brassica fruticulosa

Sopra il muraglione transennato, fa capolino un’abbagliante fioritura gialla. Colore dominante e possessivo, non si fa certo intimidire, il giallo, neppure dall’inverno che non è ancora proprio finito. La maggior parte dei fiori vagabondi, quelli che fioriscono in tutte le stagioni, sono gialli. Questa è una Brassica, azzardo Brassica fruticulosa, che incontro anche subito oltre la rete di ferro che delimita il cantiere. Come tutti i cavoli, è specie commestibile, tipica dell’area mediterranea e nei suoi luoghi di origine, il Sud della penisola e soprattutto la Sicilia, viene raccolta con impegno e chiamata cavolicello o con vari nomi dialettali come qualeddu.

piante da cantiere Sisymbrium erysimoides

Sisymbrium erysimoides

Poco più in là, ecco un’altra brassicacea, manco a dirlo gialla, si chiama volgarmente erba cornacchia. Ma non si tratta della specie più comune Sisymbrium officinale, che già ho mostrato anche in città. Le silique patenti, descritte da Daniela Longo in questo post mi fanno invece supporre che si tratta della specie Sisymbrium erysimoides, frequente e quasi invasiva nel ponente ligure. Questa pianta cresce ai bordi del cantiere, sul limitare del marciapiede e l’ho incontrata anche dall’altra parte della strada, verso le rampe del porto. Se il cavolicello è commestibile, e pare anche prelibato, l’erba cornacchia ha virtù officinali e, come la sua specie consorella più comune, è un toccasano per la raucedine.

piante da cantiere Fumaria capreolata

Fumaria capreolata
Ailanthus altissima

piante da cantiere Valeriana e asparago

Centranthus ruber
Asparagus acutifolius

Ed ecco la comune fumaria (Fumaria capreolata, 9 maggio 2008), affascinante papaveracea da strada, appressata ai giovani virgulti dell’ailanto, Ailanthus altissima, altro celeberrimo infestante delle aree urbane. Come le precedenti, anche la fumaria è pianta officinale , indicata nei disturbi gastrici e intestinali. Tuttavia non voglio davvero incoraggiare nessuno a raccoglierla per quell’uso qui sul bordo della carreggiata, fra il catrame e la spazzatura.
Accanto, due vecchie conoscenze, foglie di valeriana rossa, Centranthus ruber, stranamente non in fiore, e l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius, 20 agosto 2008), un sempreverde della macchia mediterranea. La valeriana rossa, ‘parente povera’ della più celebre valeriana officinale, di cui possiede tutte le proprietà, si incontra ovunque in città ed ha una lunghissima stagione di fioritura. Non so se questo cespuglietto ce la farà mai a fiorire, ma se lo farà non passerà inosservata. Invece per raccogliere gli appetitosi asparagi selvatici occorrerebbe scovarne i germogli, i primi getti primaverili che si chiamano turioni e che non devono essere ancora spuntati. Ecco, mi spiace ripetermi, ma sconsiglierei la raccolta degli asparagi in questa località.

piante da cantiere Lobularia maritima

Lobularia maritima

piante da cantiere Urtica dioica Pistacia lentiscus

Urtica dioica
Pistacia lentiscus

Non poteva mancare la lobularia, Lobularia maritima, volgarmente chiamata alisso, che, come indica il nome, se ne sta proprio bene nelle vicinanze del mare ed è pure fiorita, come sempre d’altronde, lei bianca bianca nonostante i fumi (per una sua sorella più fortunata, vedi 17 aprile 2010).
Termino in bellezza con l’ortica, Urtica dioica, che qui ha un aspetto veramente appetitoso, e un inaspettato cespuglio di lentisco (Pistacia lentiscus, 23 settembre 2008 ), senza fiori nè frutti, ma rigoglioso e tenace.

Naturalmente io non sono una professionista, errori e strafalcioni sono sempre in agguato, ma ho incontrato piante sorprendenti e anche se sbaglio nell’attribuzione, sarei comunque contenta di aver attirato su di loro un briciolo di attenzione.
Per altre piante da cantiere si può vedere anche questo post.

Il cedro di villa Scassi

Cedro del Libano

Cedrus libani
Villa Imperiale Scassi

Il cedro del Libano (Cedrus libani) è una pianta elegante e maestosa. Così regale che i suoi rami non sono semplici rami, ma si chiamano palchi, perchè si aprono ampi, quasi paralleli al terreno. Le sue pigne, ovvero i coni, sono gioielli verdi finemente cesellati.
Assai ricercato per parchi e giardini, soffre in città come tanti altri alberi urbani, non solo aria mefitica, ma anche mutilazioni e capitozzature. Mi accade a volte di osservarne con qualche preoccupazione dignitosi esemplari maltrattati e negletti, costretti in uno spazio troppo angusto per mostrare la loro forma.
Non questo cedro, che si erge agile e sontuoso di fronte a un’altrettanto sontuosa villa di nobili origini. Villa Scassi è conosciuta a Genova come ‘l’ospedale di Sampierdarena’, ma la sua storia meriterebbe più attenzione e interesse, perchè in realtà la villa con l’ospedale non c’entra granchè ed in comune hanno quasi soltanto il nome e l’ubicazione. La villa, detta più precisamente Imperiale Scassi, sorge nella zona centrale del quartiere, lungo l’asse viario che dalla Lanterna conduceva verso la Val Polcevera e il Ponente e lungo il quale, nel XVI secolo, sorse un imponente complesso di ville, oggi immiserito e degradato, ma ancora riconoscibile. Edificata nel 1560 da Vincenzo Imperiale, venne acquistata nel 1800 dall’illustre medico e studioso Onofrio Scassi e dei suoi due proprietari ha mantenuto il nome. Fu progettata da discepoli o emuli del grande architetto Galeazzo Alessi, con alle spalle un vasto giardino digradante, un parco rinascimentale disegnato per farle da corona e areola. La ristrutturazione della città ha spezzato l’incanto, da quando negli anni ’30 del secolo scorso, il giardino e la villa sono divisi da una rumorosa e ingombrante arteria cittadina, via Antonio Cantore. Nel frattempo la villa veniva sempre più soffocata in mezzo all’edilizia residenziale di un quartiere in disordinata espansione e alla sommità del  giardino, fu costruito l’ospedale  che dalla villa oggi prende il nome. Ma il parco è rimasto ed è sollievo per chi ascenda o scenda da qualche padiglione, ambulatorio o day hospital, due passi in mezzo all’eleganza di un verde antico, che accusa il degrado, ma a testa alta.

Sampierdarena è un quartiere di contrasti, dall’apparenza squallido e anche un po’ sudicio, percorso da fermenti opachi. Ma fra le vie incolori nasconde angoli particolari, incontri, tesori e storie. Oggi la villa presenta la sua facciata posteriore alla rumorosa strada principale, mentre il prospetto anteriore si trova in una via minore, più vicina al cuore antico di Sampierdarena, via Nicolò D’Aste. Provenendo per questa via da ponente, attraverso carugi angusti, la villa appare alta e bianca, pulita. E da questa parte, da dove il parco non si immagina neppure, il cedro, solo, è il suo albero custode, ornamento e sostegno della sua storia e della sua eleganza.

Cedro del Libano coni

Cedrus libani, coni
foto agosto 2008

Onore ai cedri del Libano e al loro immutabile fascino. Guardandone dal basso gli stupendi palchi, si vorrebbe essere un uccelletto qualsiasi per potersi accovacciare un po’ su quelle solide fronde.

cliccando sulle immagine, le fotografie in formato 800×600 px si aprono in un’altra pagina

Ailanto

Ailanto

Ailanthus altissima

L’ailanto (Ailanthus altissima) viene dalla Cina ed è uno dei più esuberanti colonizzatore dei piccoli spazi verdi urbani e suburbani. Chiamato albero del Paradiso, forse perché sale così in alto, è anche noto come l’albero di Brooklin, dal fortunato romanzo di Betty Smith, che citavo in questa pagina.
Spunta e cresce ovunque con grande facilità, nei cortili, ai bordi delle strade di grande traffico, nelle zone poco curate, fra gli edifici abbandonati e fra le macerie. Si riproduce velocemente grazie ai rizomi che corrono sottoterra e ai semi che sono racchiusi in
samare alate. E’ considerata una pianta esotica invasiva, e quindi addirittura un pericolo per l’ambiente naturale.
Fu importato in Europa, certo contro la sua volontà, per ragioni economiche (lo si voleva impiegare per l’allevamento di un baco simile al filugello della seta, ma l’esperimento non ebbe fortuna) e la sua unica colpa è quella di avere successo nella lotta per l’esistenza. Da decenni ormai è un ricercato speciale, vituperato, odiato, insultato, braccato, sterminato, distrutto. Lo si accusa di impedire la crescita delle specie autoctone a causa dell’ampia ombra delle sue foglie; di avere un cattivo odore e di contenere sostanze irritanti. Ma successo continua ad averne davvero molto, perché nonostante la persecuzioni insistere a prosperare, sempre più rigoglioso. La sua crescita è veloce e inarrestabile, tanto che in brevissimo tempo sorgono boschetti di ailanti praticamente dappertutto.

Ailanto

Ailanthus altissima

Come albero non è per niente brutto. Ha un portamento snello e lunghissime foglie composte, morbide e affusolate. In questa stagione, sfoggia gruppi di frutti giallo rossicci (vedi foto a destra) che si muovono graziosamente alla brezza. Certo, a volte, preferirei vedere altri alberi al suo posto, un magico tiglio o un solido ippocastano. Ma quale di loro sopravviverebbe in uno spazio angusto, fra inferriate arrugginite e copertoni di camion, fra fumi di scappamenti e rifiuti speciali? Vedo soffrire i platani urbani, grigi di malattia; piegarsi persino i pittospori, neri di catrame.
Tutto sommato sto dalla parte dell’ailanto, della sua rozza bellezza e spavalderia, un albero che tutto può sopportare, rimanendo verde e continuando a fiorire e a riprodursi.

Questo post è riproposto dall’originale del 25 agosto 2008