Caprifoglio

lonicera caprifolium

Lonicera caprifolium

Il caprifoglio (Lonicera caprifolium, caprifoliaceae) è una rampicante da giardino, dall’elegante e profumata fioritura. E’ una pianta resistente, coraggiosa, esuberante. Questo caprifoglio è forse stato messo a dimora sul limitare di un giardino, stretto fra le case, ma vorace com’è si è spinto più in alto ed è arrivato alla cancellata superiore.

Erba viperina

Echium plantagineum

Echium plantagineum

La primavera si sbizzarrisce nelle aiuole cittadine, in questi fazzoletti di terra ai piedi dei lecci di fronte al cimitero di Staglieno. L’erba viperina è una piantaccia da strada, ma ha dei fiori graziosi e intensi nei loro colori lilla, violetto, azzurro, che si mescolano. Perchè si chiami ‘viperina’ è uno dei soliti misteri della storia popolare. Il nome scientifico, Echium, è sinonimo, dal greco εχισ che significa vipera. C’è chi dice che sia perchè il suo fiorellino (guardatelo più grande qui) assomiglia alla testa triangolare della vipera; ma storicamente il nome deriva dalla leggenda, raccontata anche dal botanico Rembert Dodoens, degli eroi mitologici Nicandro e Alcibiade che, morsi da una vipera e conoscendo la pianta, la masticarono, inghiottendone i succhi, trattarono il morso con il resto della poltiglia e in tal modo guarirono. Le due interpretazioni si incontrano estrapolando un po’ la ‘dottrina della segnatura’, l’antichissima teoria che attribuisce poteri medicamentosi alle piante in base alla loro forma.
Più che il nome qui mi interessa come l’erba viperina colonizza le città, crescendo svettante e rigogliosa all’ombra dei pneumatici dei bus e nell’aura infame dei tubi di scappamento. Personaggio interessante perchè stretta parente di varietà da giardino, come Echium candidans, Orgoglio di Madeira. Con un pizzico di cura e minimo sforzo potrebbe accompagnare gli dei anche in queste aiuolette polverose di un viale di città.

Orzo selvatico e finocchio

    Hordeum murinum & Foeniculum vulgare

    Hordeum murinum & Foeniculum vulgare

    Di fronte alle severe mura del cimitero di Staglieno, una delle meraviglie segrete della città di Genova, fiancheggiano il marciapiede delle aiuole ordinate che ospitano dei giovani lecci. Un leccio in ogni aiuola, e ai piedi del leccio, erbacce. Erbacce? Se le guardo meglio, mi appaiono molto nobili come erbacce, in questa assolata primavera. Cresce selvaggio il finocchietto, verdeggiante e saporito. E cresce anche l’orzo selvatico, questo sì un’erbaccia, ma luminosa.

Dove osano i fichi

Ficus carica Dove osano i fichi

Ficus carica – Bisagno

Il fico è un albero rampante, zingaresco, indomabile. La città, senza accorgersene, ne è piena. Li ho incontrati sul bordo del torrente, addossati alle muraglie più antiche, abbarbicati sopra la sopraelevata. Su e su, per crose e scale, i fichi non hanno paura di niente e crescono dappertutto. Spavaldo e spoglio,  in un piccolo giardino, ancora offriva due piccoli frutti rinsecchiti nel gelo di febbraio (3 febbraio 2009).

Ficus carica - BisagnoDove osano i fichi

Ficus carica – Bisagno

Il fico è un albero rozzo e popolare. Le sue radici si allungano attraverso pietre e travi, penetrano nel cemento, distruggono, come poche altre sanno fare, muri e palizzate. Così il tenero, e soltanto apparentemente gracile, germoglio di fico che immancabilmente fa capolino fra le rughe del selciato non è una sorpresa piacevole e viene prontamente estirpato. Ma rinasce, vorace e altero, con le piccole foglie, già palmate e ruvide, già aggressive. Le foglie dei fichi, larghe e spesse, hanno un odore pungente e acre, quasi marcescente. Forse sono state davvero loro a coprire “le vergogne” di Adamo ed Eva?

Ficus carica - via Quadrio

Ficus carica – via Quadrio

Il legno dei fichi, tenero e poco innervato,  è considerato infido.Tanto che l’avvertimento di non arrampicarsi mai su un albero di fico mi ha accompagnato per tutta l’infanzia e l’adolescenza, quando salire sugli alberi era uno dei giochi preferiti. I rami del fico, mi dicevano i grandi, sono traditori, capaci di spezzarsi di colpo, senza preavviso, senza inclinarsi nè piegarsi. Ma ironia della sorte, era proprio un fico l’albero sui cui rami possenti più sovente trascorrevo i pomeriggi a chiacchierare con un’amica, protette da una chioma fittissima che formava una capanna naturale e ci nascondeva agli sguardi indiscreti. Era veramente un albero maestoso e, malgrado la fama, non ci ha mai tradite.

Ficus carica - Strada Aldo Moro

Ficus carica – Strada Aldo Moro

Questo albero rozzo e volgare, è anche singolarmente prezioso, perchè, a differenza di altra frutta che ha conquistato il mercato di vaste zone del mondo, il fico si presta poco a conservazione e trasporto come frutto fresco ed si può consumare soltanto in regioni dal clima caldo e secco, come quello mediterraneo, assetato e dolce come la sua polpa zuccherina. Altrove, si possono gustare soltanto i fichi secchi, che però sono tutt’altra cosa.
Albero magico e ambiguo, per lungo tempo, l’impollinazione del fico era avvolta da un’aura di mistero. Infatti l’albero che produce le dolci infruttescenze (siconi) non possiede fiori maschili, e quindi polline, e dipende da un’altra pianta, il caprifico, per la fecondazione, compiuta per intervento di un insetto, un moscerino in cerca di un luogo idoneo per deporre le uova. Ormai il problema è superato, perchè sono state selezionate le varietà che non necessitano della fecondazione per produrre frutti e la storia del piccolo insetto e del ‘doppio’ fico è entrata nell’aurea della leggenda.

ficus carica

Ficus carica – via Burlando

Ficus carica - piazza Sturla

Ficus carica – piazza Sturla

 

In città i fichi si ostinano a crescere negli angoli più negletti, abbandonando i pesanti, dolcissimi frutti al marciume dei marciapiedi. Che spreco!

 

 

 

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Il coraggio della robinia

Robinia

Robinia pseudoacacia

Tutti conoscono la robinia, albero rozzo e sgargiante, con foglie appetitose e verdissime, che si copre a primavera di profumati grappoli bianchi, visitati dalle api che ne ricavano un miele semplice e dolce. Anche se tutti, chissà perchè,la chiamano acacia, che sarebbe il nome della mimosa. Pseudoacacia è il suo nome specifico, e non ci si può sbagliare.
Della robinia ho già detto un bel po’ (vedi per esempio 24 aprile 2009 e questa pagina).
Uno dei più antichi immigrati dal nuovo mondo, invadente e perseguitata, qui è cresciuta veramente audace fra il marciapiede e un palazzo, addossata alle persiane di una casa. E si è alzata spudoratamente, senza guardare in faccia nessuno. Credo che la combatteranno, la estirperanno almeno un paio di volte, e se alla fine molto probabilmente avranno ragione di le, avrà combattuto strenuamente, con tutto il suo coraggio.

Viva l’amaranto

 Amaranthus

Amaranthus — Amaranto

All’ingresso del garage sotto la mia casa di Fontanegli, pianta vagabonda o avventizia casuale, sfuggita alla coltivazione di cui era oggetto per lo sgargiante colore (amaranto) e diventata invadente, infestante, erbaccia.
Da lontano il suo portamento flessuoso e le sue forme lussureggianti la fanno apparire pianta nobile,ma se osservata da vicino si trasforma in erba ispida e ruvida.
Da anni cerco di farla seccare, all’ombra, con l’illusione di poter conservare il rosso vino delle sue spighe. L’essicatura lo sbiadisce inevitabilmente, e tinge di grigio. Ma forse è colpa mia che non sono capace. Di nuovo lo appenderò in sacchi scuri negli angoli della serra, sperando che sia la volta buona.

Pianta americana, inserita un tempo fra le chenopodiaceae (come bietole e spinaci), oggi vanta una famiglia a sè, le amaranthaceae, e possiede generosi parenti che forniscono cereali andini, non particolamente appettitosi, ma assai salutari.

Rosso d’inverno

Cinorroidi Le bacche vermiglie della rosa (cinorrodi) sono uno dei gioielli di cui si veste l’inverno. E li fa risplendere come soltanto lui sa fare in quelle giornate terse e smaltate di azzurro in cui l’aria è più leggera ed elettrizzante dei sogni. Quest’ampia rosa cresce presso il distributore ERG di via Struppa, poco dopo il giro del Fullo. Quanto è più vero il rosso dei suoi frutti rispetto alla vernice dell’insegna.

Fratello sconosciuto

Celtis australis

Celtis australis (forse)

Nei pressi della chiesa di San Pietro di Fontanegli sorgono alberi abbastanza imponenti, bagolari e pini domestici. Uno di loro è stato tagliato, forse era malato, perchè nessuno degli altri è stato toccato. Sul ceppo abbandonato, hanno scolpito la buffa faccia di una specie di folletto o troll dei boschi, ma alquanto pacifico e buonaccione. Un modo dolce e creativo per ricordare il fratello sconosciuto che ci ha lasciato soltanto un’impronta del suo passaggio.

La stagione dell’inula

Dittrichia viscosa

Dittrichia viscosa

Il suo nome scientifico è Dittrichia viscosa o Inula viscosa, ma i suoi nomi comuni sono tanti, ceppica, inula, ceppitoni. Le sue sfacciate margherite gialle dominano incontrastate gli incolti di città in questa stagione.
Qui l’ho incontrata su una curva della ripidissima via Giovanni da Verrazzano, la strada che da Prato porta a Fontanegli, cioè a casa mia. Accanto, un melo inselvatichito ha abbandonato le sue inutili mele per terra. Nessuno le raccoglie, peccato. Sono convinta che siano buonissime.

Inula viscosaPianta della famiglia delle Asteracee, è diffusissima nella regione mediterranea dove cresce sui bordi delle strade e nei prati abbandonati. Vive quasi in incognito, un’erbaccia qualsiasi, per gran parte dell’anno, fino più o meno alla fine di agosto. Allora, quando i boccioli si aprono, è davvero difficile non notarla perché i suoi fiori gialli, smaglianti e intensi, non hanno niente da invidiare a quelli di altre margherite gialle più nobili. Dicono di lei: “pianta intensamente aromatica, glandoloso-appicicosa”, oppure “pianta dall’odore repellente, untuosa e appiccicaticcia”, e ancora “coperta di ghiandole estremamente appiccicose e con un odore simile alla resina”. In Liguria, queste piante vengono dette nasche, un nome che è sinonimo di pianta scaccia insetti, a ricordare il fatto che venivano usate per allontanare le mosche. Dato che sono così comuni nei campi abbandonati e negletti, c’è un vecchio modo di dire ligure “u nu ghe cresce manco e nasche”, non ci crescono neanche le nasche, per indicare luogo, ma anche persona, arido e sterile, dove è impossibile germogli alcunché.

Inula viscosaHo raccolto le inule fiorite in questi giorni e le conservo pressate dentro un libro. Trovo l’odore più aromatico che repellente. Le foglie sono ruvide e resistenti, gli steli robusti. E’ vero, poiché crescono sui bordi delle carreggiate e nei declini inariditi, le inule, come la parietaria e la nepetella, e tante altre umili erbe ed erbacce, sono spesso coperte di polvere e catrame, grigie e secche, troppo alte e raspose, prive di forma e di morbidezza. Ma quelle margherite gialle, brillanti soli che sbocciano a grappoli all’inizio dell’autunno, sono il loro riscatto, l’abito fatato della notte di Cenerentola, che le trasforma nelle piante più sgragianti e appariscenti nei prati di ottobre.