Bauhinia della pace

Piazza del Fico

Piazza del Fico

Bauhinia

Bauhinia

 

Il quartiere si chiama Parione ed è il sesto rione di Roma. A due passi da piazza Navona, le strade sono strette, a misura d’uomo e di carretto, più che di autovetture. Non ci sono molti alberi, così che i pochi diventano famosi. Come il fico che dà il nome alla piazza del Fico, che dà il nome al bar del Fico, che se ne sta proprio sotto l’albero.

Bauhinia

Bauhinia

Ma il fico non è solo. Si gira l’angolo in via della Pace e si incontra un grande albero allampanato e un po’ pendente, legato come un salame da un filo di lampadine, che però per ora sono spente. Sorprendentemente si tratta di una bauhinia, specie assai meno familiare del fico.  Originaria dell’Asia, ma ampiamente diffusa in Sud America e nelle zone più calde, quest’albero si riconosce per la forma bilobata delle sue foglie, che ricordano l’impronta di uno zoccolo bovino, da cui il nome “pata de vaca” cioè zampa di vacca, con cui è anche conosciuta. Ma anche il nome scientifico, Bauhinia, discenderebbe dal singolare aspetto delle foglie perchè, si racconta, Linneo l’aveva così battezzata in onore dei due fratelli John e Caspar Bauhin, botanici svizzeri del XVI secolo, associandola a una coppia di persone in analogia con la duplice rotondità.

Dopo averla conosciuta negli orti botanici di Lucca (9 novembre 2009) e nei giardini Hanbury di Ventimiglia, dopo averla incontrata in India (1 marzo 2010) e in Brasile , eccola in una veste decisamente più domestica, mentre staglia le sue foglie contro le persiane di un palazzo d’epoca.
Chissà se questa bauhinia cittadina riesce, o vuole, fiorire, e come lo fa, se i suoi straordinari fiori sono bianchi o rosa, e quanti dei tanti passanti sollevano lo sguardo a guardarla, e riescono a stupirsi di tanta bellezza esotica nel centro di Roma.

Tiglio in largo Lanfranco

Tilia

Tiglio – agosto 2017
Tilia x europaea

Da molti anni conosco questo tiglio, gigante isolato che cresce in una microscopica aiuola in mezzo al selciato, al centro della città. Si trova poco innanzi al palazzo del governo, o meglio della Prefettura e città metropolitana di Genova, il cinquecentesco palazzo Doria Spinola che fa parte del complesso dei Rolli. Ai piedi del tiglio un’edicola, fra le poche sopravvissute alla lenta agonia dei giornali stampati, accanto una banca, e, dalla parte opposta, l’ingresso della Galleria Mazzini, costruita nel 1880, in ferro battuto,  per emulare le gallerie di Parigi e Milano.
Di fronte, lungo la via Roma, transitano automobili e i lunghi e goffi autobus snodati, uno dietro l’altro, in una processione che non conosce soste. Non troppo lontano, nella piazza Corvetto, molti altri alberi si stringono in filari e boschetti e accanto si trovano due fra i più larghi spazi verdi del centro città, la villetta Di Negro, vero parco storico, e la spianata dell’Acquasola.

Tiglio

Tiglio – ottobre 2019

Ma qui, in largo Lanfranco, che di piazza neppure ha meritato il nome, il tiglio è solo.
Da molto tempo lo conosco, due anni sono passati dalla foto di fine agosto in alto a sinistra, e quasi venti da quando lo avevo fotografato la prima volta in questa pagina. Vent’anni sono pochi per un albero, ma forse molti per un albero di città. Le stagioni lo attraversano e in questi giorni già sente l’autunno. Come i passanti frettolosi che lo sfiorano, senza curarsene granchè, oggi con la giacca sulle spalle, perchè l’aria che si sta facendo più fresca, per fortuna.
Il tiglio è un albero robusto, lussureggiante, che regala una magica e profumata fioritura. Indomito ed elegante contempla senza scomporsi le corse e i tumulti,  gli affari e le truffe, i canti e le urla, le risate e le lacrime, gli abbracci e gli addii, teste, braccia, gambe, piedi,  che scivolano fra il suo tronco e le sue radici.

Alberi da autostrade

Lo scotano (Cotinus coggygria), o albero della nebbia, smoke tree in inglese, è un’essenza comune.

Scotano

Cotinus coggygria
autostrada A10

D’estate sbriciola i suoi fiori in nuvole eteree e d’autunno macchia di rosso intenso le pendici delle colline.
Sono stupita, ma non troppo, di incontrarlo qui oggi, proprio sul bordo  di una grande autostrada, in un luogo che, a ben vedere, non è molto più salutare delle città, seppure più aperto e arioso. Qui dove le merci si fermano per far riposare gli uomini,  e gli uomini si alzano dal sedile, talvolta perfino camminanano, ma difficilmente si guardano intorno, qui ci accolgono senza fretta, sonnolente, garbate, dimesse, le piante da autostrada.

Scotano

Cotinus coggygria
autostrada A10

Uomini e merci difficilmente si occupano degli alberi che li circondano, e se lo fanno è probabilmente per lamentarsi dei pollini, delle polveri, o delle foglie morte. Ingombrante appare lo scotano, con quelle macchie polverose e giallognole, che tanto attraenti apparirebbero in un giardino elegante come disordinate e sciatte sembrano qui, in questo posteggio di autotreni.

Che sappiamo di lui? E’ un antico alberello mediterraneo e il suo nome assomiglia a quello che già gli diede Plinio di Vecchio, nel suo Naturalis Historia. Tutta la pianta è ricca di olii essenziali che venivano usati per conciare le pelli, ma anche per medicamento.

Olivagno

Elaeagnus angustifolia
lungo SS1 (29 aprile 2019)

Ma forse meriterebbe più attenzione se mettesse in mostra dei fiori? Come faceva l’olivagno (Elaeagnus angustifolia), nello scorso aprile, appena fuori un’area di sosta della superstrada Aurelia SS1.

Piccole Koelreuterie crescono

Le Koelreuterie sono comparse, minute e lucenti, su un lato del viale corso Paganini, fra ponte Caffaro e Castelletto in Circonvallazione a monte, messe a dimora da poche settimane in sostituzione delle sofore del Giappone (Styphnolobium japonicum).

Koelreuterie

Koelreuteria paniculata
corso Paganini – luglio 2019

Sull’altro lato della strada, prospicienti un alto muraglione, dominano, austeri e negletti, i pini. Ma lungo il marciapiede di accesso ai palazzi di abitazione, alte e nobili costruzioni ottocentesche, ci vuole qualche cosa di più arioso e cangiante.
Le sofore avevano sofferto parecchio,  regolarmente soggette a drastiche potature, o meglio barbaramente capitozzate (vedi anche 8 dicembre 2008) e forse non hanno retto allo stress. Spesso gli alberi di città hanno un’esistenza grama, perchè devono sacrificare le loro esigenze di radici, rami e chiome in spazi costretti e malati.

Sofora

Sofora japonica
(Styphnolobium japonicum )
corso Paganini – dicembre 2008

Auguro vita migliore alle nuove arrivate, piccole Koelreuterie, che allietano la nostra estate, torrida e tempestosa, con i loro grappoli di palloncini dorati a forma di cuore. Le hanno sistemate per bene, in eleganti gabbiette di tubo verniciato che potrebbero proteggerle, almeno per un po’, dagli insulti dei mezzi motorizzati.

Se il nome, Koelreuteria paniculata, non sembra uno dei più semplici da pronunciare e memorizzare(1), possiamo salvarci chiamandolo semplicemente albero della lanterne cinesi; e uno sguardo fugace alla sua chioma d’estate spiega il perchè.
Introdotto in Europa dalla Cina settentrionale già nella seconda metà del 1700, questo snello alberello è oggi spontaneizzato in diverse regioni d’Italia come alloctona casuale e addirittura alloctona naturalizzata in Toscana. Ma non in Liguria, dove non si vede frequentemente; ed è stata una graziosa sorpresa scoprirla qui

Koelreuteria

Koelreuteria paniculata
corso Paganini – luglio 2019

(1)Non è difficile immaginare che questo nome sia stato attribuito in omaggio al grande botanico tedesco Joseph Kölreuter (1733–1806), membro dell’Accademia di Pietroburgo. Kölreuter è uno studioso molto importante non solo per la botanica, ma anche per l’agricoltura, perchè è stato il primo a studiare scientificamente i fenomeni dell’ibridazione, un processo usato anche per ottenere nuove varietà o specie vegetali.

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Ginkgo, l’immortale

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
via di Francia

In un piccola aiuola ai piedi dei grattacieli, in via di Francia, cresce un albero di Ginkgo biloba, il fossile vivente, specie relitta. Altre pianticelle lo accompaganno, un osmanto, un pruno. Ma è il ginkgo che domina, nonostante le potature. L’ho osservato in tutte le stagioni, nell’inverno spoglio e all’inizio della primavera. Adesso, nel fuoco polveroso dell’estate, le sue preistoriche foglie sovrastano i simboli del nostro presente, o di un passato molto più vicino, come una cabina telefonica.

L’immortalità insegue il gingko come una persecuzione. Albero antichissimo, imparentato con le conifere o gimnosperme senza fiori, la sua origine si perderebbe nella notte di 250 milioni di anni fa. Considerato estinto per secoli, è invece sopravvissuto, si dice, grazie a monaci buddisti, e battezzato Ginkgo dai botanici del settecento, ma per un errore di trascrizione del nome orientale. Ritorna in voga ai nostri giorni, quando gli esseri strani e misteriosi possono avere molto successo.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
orto botanico di Lucca

E’ un albero avvezzo alle resurrezioni.  Un bell’esemplare nell’orto botanico di Lucca porta una  targa con due date di nascita, 1880 e 1950, quando fu colpito da un fulmine e dato per morto. Invece la morbide foglioline bilobate rispuntarono dal moncone e presto l’albero tornò alto e florido.

Specie dioica, porta strutture riproduttive maschili e femminili su piante separate e per lo più si incontrano esemplari maschili, perchè le femmine hanno fama di imbrattare nasi e strade con gli involucri puzzolenti dei semi. A parte questo inconveniente, è ormai una pianta comune nell’arredo urbano in tutto il mondo, perchè il fogliame è molto attraente, e vira al giallo brillante in autunno, prima di cadere (vedi anche 22 novembre 2008).

Alberi da tetti

Alberi da tetti

Alberi da tetti
Fraxinus ornus

Sono di moda i giardini pensili. Non da oggi, ma oggi più che mai. Si chiamano tetti verdi e richiedono piante resilienti, che vivono con poca acqua e sono disponibili a lasciarsi arroventare dal sole. Come tappeti fioriti, pare che funzionino bene le margherite australiane, Chrysocephalum apiculatum  oppure qualche pianta grassoccia, aizoacea come Carpobrutus  (12 maggio 2009), o meglio Disphyma crassifolium.
Ma gli alberi? In generale, ben piantati nella terra, hanno bisogno di meno acqua dei fiori. Il che non vuol dire che non ne abbiano bisogno per niente. Certamente hanno bisogno di terreno, ma sui tetti possono crescere, o almeno cominciare.
Fra i più famosi alberi da tetti, ci sono i lecci che prosperano sulla sommità della  torre Guinigi a Lucca. Il leccio è  albero resiliente per eccellenza, avvezzo alla calura mediterranea, con foglie coriacee e asciutte.

Alberi da tetti

Fraxinus ornus

Anche l’orniello, Fraxinus ornus, ci prova, su questo tetto del castello De Albertis, affascinante edificio che si erge su una collinetta, Montegalletto, prospiciente il porto di Genova. Sotto di lui domina il denso verde degli immancabili pini, e sullo sfondo gli alveari da crociera ricoprono il mare. Per ora è davvero piccolo, poco più di un germoglio, una fraschetta affacciata in una crepa del cornicione, che spinge per salire, anche se sarà davvero difficile che diventi grande.
Verrà, temo, divelto quanto prima, perchè l’estetica del luogo è perfetta e lui un passeggero clandestino. Potrebbe persino, se ci si mette d’impegno, danneggiare l’integrità della costruzione. Non si può prevedere quale sarà la sua sorte perchè, anche lasciato a se stesso, per incuria più che per pietà, forse non sarà mai simile ai suoi simili che crescono nella terra piena. Ma l’orniello è un albero testardo e vagabondo, capace di riempire di fiori e profumi anche gli angoli più spogli e grigi della città e potrebbe riservare delle sorprese.

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Vita da pino

Pino

Pinus pinea
Pino domestico, corso Firenze

In un piccolo belvedere in circonvallazione a monte, sull’ultima curva di corso Firenze, il lungo viale alberato che sovrasta e circonda Genova dall’alto, un robusto pino è cresciuto storto. Che più storto di così non si può.

Il pino domestico, Pinus pinea, chiamato anche pino ad ombrello o pino da pinoli, è forse l’albero più diffuso e conosciuto nel nostro paese (vedi 27 gennaio 2010).  Le alte fronde verdastre, compatte eppure sfuggenti, la sua corteccia che si sfalda in larghe squame, le grandi pigne, costruite come uno scrigno per racchiudere i semi legnosi, piccole noccioline dolcissime, tutto di lui ci è familiare e nella nostra immaginazione pino è sinonimo di albero. Troppo familiare e troppo ovvio, troppo familiare e troppo trascurato.
La sua vasta chioma è uno dei sui misteri. Tutti i suoi più vicini parenti, le conifere, si assottigliano verso l’alto; lui, invece, si allarga, e il perchè di questo rovesciamento non è ovvio. Sembra che questa forma sia dovuta alla  competizione per lo spazio con altri alberi nel suo ambiente originario. Ipotesi lecita, ma insoddisfacente. Neppure è certo qual era il suo ambiente originario; mentre quello che si sa è che il pino cresce prevalentemente su ambienti sabbiosi e non alimenta quasi alcun sottobosco.
La sua bella forma è anche una sua debolezza. Imponente e fragile, è la vittima più frequente dei venti maligni e per questo talvolta guardato con sospetto per il potenziale pericolo che rappresenta.  In realtà è instabile perchè non ha quasi mai abbastanza posto per le radici, letteralmente soffocato da asfalto e cemento. O peggio, obbligato a crescere in posizioni scomode e improbabili. Come questo esemplare, così robusto e così deformato, quasi penzolante dalla ringhiera di una terrazza.

Pino

Pinus pinea

Se l’albero della prima foto rappresenta l’esempio estremo di contorto adattamento, nessuno dei pini di questo scampolo di giardino ha un portamento naturale, tutti un po’ vittime dell’urbanizzazione dei fusti e delle radici. Il suo compagno nella foto a destra, selvaggiamente capitozzato, ha cresciuto un fusto ausiliario, più sottile, che si è anch’esso inevitabilemte piegato, sospinto da chissà quali urgenze, venti, o necessità, sempre alla ricerca di un migliore spazio vitale.

Sulla capitozzatura degli alberi (tree topping) riprendo quanto scrivevo il giorno 8 dicembre 2008, dal sito di Plant Amnesty, un’organizzazione internazionale no profit dedicata alla promozione delle corrette tecniche di giardinaggio e potatura.
– La capitozzatura è il danno più serio che si possa infliggere a un albero. Essa provoca la carie del legno e affama la pianta, rimuovendo la fonte di cibo, cioè le foglie, che sintetizzano il suo nutrimento. Oltre ad essere fortemente nociva, questo sistema non funziona quasi mai per contenere le dimensioni dell’albero. Infatti l’albero, dopo la mutilazione, aumenta disperatamente il ritmo di crescita dei rami nel tentativo di rimpiazzare rapidamente la superficie fogliare perduta. Inoltre non può in nessun caso essere efficace per contenere le dimensioni di una grande pianta: un acero giapponese o un maggiociondolo potranno crescere da tre a nove metri, mentre una quercia e un frassino raggiungeranno comunque 25, 30 metri e non è possibile fermarli capitozzando. Se ci si riesce, allora si è ucciso l’albero. Infatti, solo se l’albero è così danneggiato da essere prossimo alla morte, la drastica potatura arresta per sempre la sua crescita.
Inoltre la capitozzatura è costosa, per la necessità di continue correzioni dei succhioni (nuovi germogli lunghi e magri) e, se causa, come spesso accade, la morte dell’albero, per la sua rimozione.
La capitozzatura è brutta. Branche e rami appena tagliati ricordano moncherini di gambe e braccia amputate. L’albero perde per sempre la sua linea e non riacquisterà più l’armonica forma naturale.
La capitozzatura è pericolosa: la carie causa la perdita dei rami, la fame lo rende suscettibile di marciume radicale, causa comune del crollo, i nuovi rami sono più deboli e non hanno l’integrità strutturale di quelli originali; inoltre la densa ricrescita dei succhioni rende la chioma molto pesante e molto meno permeabile ai venti e ciò aumenta la possibilità di schianti in caso di tempeste. –

Purtroppo passano gli anni e continuiamo ad assistere a questi scempi ad ogni stagione.

Comme un arbre dans la ville…

Comme un arbe dans la ville

Via Mogadiscio – aprile

Comme un arbre dans la ville
Je suis né dans le béton
Coincé entre deux maisons
Sans abri sans domicile
Comme un arbre dans la ville

J’ai grandi loin des fûtaies
Où mes frères des forêts
Ont fondé une famille

Entre béton et bitume
Pour pousser je me débats
Mais mes branches volent bas
Si près des autos qui fument
Entre béton et bitume

J’ai la fumée des usines
Pour prison et mes racines
On les recouvre de grilles

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
via di Francia – febbraio


Ginkgo biloba

Ginkgo biloba
via di Francia – aprile


J’ai des chansons sur mes feuilles
Qui s’envoleront sous l’oeil
De vos fenêtres serviles

Carpinus betulus

Carpinus betulus
via di Francia – aprile



Entre béton et bitume
On m’arrachera des rues
Pour bâtir ou j’ai vécu
Des parkings d’honneur posthume
Entre béton et bitume

Comme un arbre dans la ville
Ami fais après ma mort
Barricades de mon corps
Et du feu de mes brindilles
Comme un arbre dans la ville

Ailanthus altissima

Ailanthus altissima
porto di Genova – maggio

Come un albero in città
Sono nato nel cemento
Costretto fra due case
Senza rifugio senza domicilio
Come un albero in città

Sono cresciuto lontano dalle fustaie
Dove i miei fratelli delle foreste
Hanno messo su famiglia

Celtis australis

Celtis australis
Via Mogadiscio – dicembre


Cercis siliquaster

Cercis siliquaster
via Isonzo – aprile


Fra cemento e catrame
Per crescere devo lottare
Ma i miei rami volano bassi
Così vicino ai fumi delle auto
Fra cemento e catrame

Il fumo delle fabbriche
È la mia prigione e le mie radici
Vengono coperte da griglie


Sulle mie foglie ho canzoni
Che si alzeranno in volo sotto gli occhi
delle vostre servili finestre

Fra cemento e catrame
Mi strapperanno dalle strade
Per costruire dove io vivevo
Parcheggi postumi in mio onore
Fra cemento e catrame

Comme un arbre dans la ville

Paulownia tomentosa
Terminal Traghetti – maggio

Come un albero in città
Amici dopo la mia morte
Fate barricate del mio corpo
E falò con i miei ramoscelli
Come un albero in città

Maxime le Forestier

Noci e cachi in Salita degli Angeli

Salita Angeli

Salita degli Angeli
Pizzeria degli Angeli (chiusa)

Salita degli Angeli è una strada antica. Parte dalla chiesa di San Teodoro, a ridosso del porto, e sale, sale, ripida e stretta, vera creuza di montagna, più che di mare. Proprio all’inizio una targa ricorda che “fino al 17° secolo questa strada costituiva il percorso principale per raggiungere la val Polcevera, dove incrociava la via Postumia, che saliva a valicare l’Appennino.”
Un pezzo di centro storico fuori dal centro che appare oggi ferito dal degrado e dall’incuria, invaso dalle erbacce, troppe, e sfregiato dall’asfalto, irregolari chiazze di bitume nero che soffocano la mattonata.

Salita degli Angeli - Anagallis arvensis

Anagallis arvensis

Ma non importa, salgo. La ‘montata’ si inerpica. A Genova le vie si chiamano tutte ‘salite’, da qualsiasi parte le si guardi. Perchè il punto di partenza è sempre in basso, perchè è dal mare che ci si mette in cammino(1). O meglio ‘montate’, perchè dal mare si arriva subito ai monti. Salgo, e in pochi passi sono già in alto, con il porto sullo sfondo.

Salgo guardandomi intorno, alla ricerca di qualche incontro significativo. Ecco un grande albero che si affaccia dal muro. Il portamento fiero, il verde regale delle foglie e delle drupe non lasciano dubbi, è un noce (Juglans regia), con le sue “ghiande care agli dei”.

Salita degli Angeli <em>Juglans regia</em>

Salita degli Angeli 
Juglans regia

Salite Angeli - Juglans regia

Juglans regia

Narra ancora la targa che “questa strada era la direttiva principale verso la Val Polcevera perchè la via della Lanterna non era che un piccolo sentiero scavato nel vivo sasso che aggirava con un tortuoso percorso il Colle di San Benigno. Più ampia delle altre crose e capace di sopportare il traffico nelle due direzioni di marcia, aveva ai lati costruzioni diverse, delle quali si riconoscono i segni fra gli edifici moderni che successivamente si sono aggiunti. Case rurali, palazzi con portoni e edicole sacre, muri di semplice recinzione con tracce evidenti di porte e portici, testimoni di facciate di case di pregio che riportano al tardo medioevo.”

Diospyros kaki

Diospyros kaki  –

Diospyros kaki

Diospyros kaki  –
(a destra un cespo di canigea)

Salgo. Piccole stradine senza sbocco intersecano il nobile tracciato, via San Fermo, via Melegari. Erbacce, sempre troppe, lo sfrontato centonchio, detto anche mordigallina (Anagallis arvensis, vedi foto sopra e 29 maggio 2009),  la coraggiosa malva (Malva sylvestris) e la spudorata e incontenibile canigea (Parietaria officinalis, 14 maggio 2008). Ma nei giardinetti sbocciano le rose. Un bucato è steso attraversa l’angusta via e, fra muri antichi e ponteggi moderni, un albero di cachi (Diospyros kaki) si fa spazio fra le antenne paraboliche. C’è posto per tutti, anche per i suoi fiori.

Cerco in rete notizie sulle ville di salita degli Angeli e trovo un lungo elenco, anche se la più significativa dovrebbe essere, al n.70, villa Tomati Cicala, residenza quattrocentesca parzialmente conservata.

Salgo. A un certo punto si arriva in cima, si attraversa la Porta degli Angeli verso le mura degli Angeli. Allora si apre il paradiso. Ma questo lo racconterò un’altra volta.

(1)Corinna Praga – A proposito di antica viabilità genovese, Fratelli Frilli Ed. 2008

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Paulonia fiorita in via di Fassolo

Paulonia in via di Fassolo

Fiori e foglie di Paulownia tomentosa

La Paulonia, Paulownia tomentosa, è un albero di origine giapponese dalle grandi foglie a forma di cuore. Fu importato in Europa all’inizio dell’ottocento dal botanico Carl Peter Thunberg e battezzato in onore di Anna Paulownia, figlia dello zar di Russia Paolo I. Ha avuto molto successo come albero ornamentale per il fogliame generoso e la fioritura abbondante e appariscente. Bella, ma effimera, volubile come il sole di questa primavera. A causa della breve durata, è abbastanza difficile vedere una paulonia fiorita. In pochi giorni spuntano sui rami i frutti, caspule ovate prima verdi e poi nere, in grappoli pesanti, ma non molto attraenti. Così l’avevo fotografata in altre occasioni in città, vicino al parcheggio della stazione Brignole (21 agosto 2009) e  in un giardino della circonvallazione a monte, ormai sfiorita dall’inverno

Paulonia

Paulownia tomentosa in via di Fassolo

Qualche tempo fa c’erano molto paulonie nella zona fra la stazione marittima e il terminal traghetti. Nuvole del colore della lavanda comparivano in primavera, fra le Mura degli Zingari e la piazza Di Negro, repentine e inconfondibili. Negli ultimi anni quasi tutti gli alberi sono scomparsi, forse costretti a soccombere dalle ristrutturazioni dell’area portuale. Una paulonia tuttavia è rimasta, nella defilata via di Fassolo, uno stretto vicolo che corre sotto la ferrovia, parallelo alla via Bruno Buozzi. L’avevo osservata in marzo, mentre passeggiavo per la zona in cerca di qualche germoglio (e avevo infatti scoperto un boschetto di carpini in accrescimento), riproponendomi di coglierne la vistosa fioritura. PauloniaPerò sono arrivata un po’ tardi, troppo confidando sulla stagione lenta, che, nonostante pioggia e temperature rigide, tanto lenta non è. Ed eccola, stretta fra bastioni e muraglie, un po’ spellacchiata, ma audace, ancora sfoggia qualche trombetta violazzurra sulla sommità dei rami, già appesantiti dai frutti. Fa quello che può in questo angolino negletto dove veramente in pochi alzeranno il capo a guardarla e godranno dei suoi colori e della sua ombra. Eppure i fiori lambiscono le finestre del palazzo di fronte e le sue fronde verdi si specchiano su un vetro sul muro dirimpetto. Quanto durerà ancora quest’albero estraneo, ora che tutti i suoi compagni sono scomparsi? Certo in questo angolino buio non dà molto fastidio e posso augurarmi di ritrovarlo fiorito il prossimo anno, cercando di essere più tempestiva. Ricordo un altro esemplare di paulonia lungo una via popolare, via Camozzini, a Voltri. Piuttosto fuori mano per me, ma la fioritura di una paulonia urbana val bene un viaggetto.