Lauroceraso

Prunus laurocerasus

Prunus laurocerasus

Una siepe dalle grandi foglie coriacee, che regala ombra e intimità e, a primavera, dispensa una profusione di fiori bianchi disposti in pannocchie. Foglie simii a quelle dell’alloro (da cui lauro) e frutti tondi e neri (da cui ceraso), il lauroceraso non è particolarmente attraente, nè fastidioso. Piuttosto tollerante, e generoso.
Qui in piena fioritura presso l’antica casa di riposo ed educazione di Genova Doria, oggi sede di ambulatori e residenza sanitaria assistita. L’edificio, ampio e vetusto, con larghissimi corridoi e alti soffitti, fu costruito, nel 1911 nella proprietà, ceduta al pubblico utilizzo, di Antonio Doria, da cui appunto il nome della circoscrizione.

Moresco - di Giulio Monteverde

Moresco – di Giulio Monteverde

Pastorino

Luigi Pastorino

L’investimento aveva richiamato proventi da molti magnati della città, che per questo sono ricordati nelle sculture marmoree di celebrati artisti dell’epoca, come Giulio Monteverde e Luigi Orengo, gli stessi che hanno lasciato tante opere nel cimitero monumentale di Staglieno

Castagnola_Orengo

GioBatta Castagnola di Luigi Orengo

Capperi di città

Capparis spinosa

Capparis spinosa

Credo che sia noto a tutti, i capperi crescono, e prosperano, sui muri. Ma anche sulle rocce, e sugli scogli in riva al mare. Si infrattano praticamente dovunque e poi ricadono, formando rigogliose cascate verdi. Non pare davvero che abbiano bisogno di molta terra, sembra viceversa che amino l’aridità e l’aria salmastra. Tuttavia la propagazione dei capperi ha aspetti alquanto bizzarri. Pare che i semi aspettino anni per germinare dal momento in cui si staccano dalla pianta, mettendo a dura prova la pazienza dei coltivatori. Si dice che sia necessario introdurli proprio in fondo alle spaccature dei muri, e spingerli più dentro possibile. E’ consigliato l’uso di una cerbottana.  Molti raccontano di aver messo a dimora semi e di essersene dimenticati, avendo infine perduto le speranza di vedere un germoglio. Finchè, dopo anni di immobilità, nel bel mezzo di altre piante più giovani, e come obbedendo a una segnale antico e mai sopito, il cappero era esploso, incontenibile.

Capparis spinosa

Capparis spinosa
Strada Aldo Moro (sopraelevata)

Se però si lascia fare tutto a loro, coi i soliti metodi naturali, quali vento insetti vari, uccelletti e formichine o quant’altro, i capperi ce li ritroviamo più o meno dappertutto, in mezzo ai calcinacci che prediligono, sui muri a fianco di strade e autostrade, se abbastanza vicini al mare e ben esposti a sud, pronti a far sbocciare in ogni estate i loro straordinari fiori bianchi.
La pianta della foto in alto cresce sul muro della torre di Vernazza, parte del sito UNESCO delle Cinque Terre. Ma altrettanto a loro agio e rigogliose, anche se un po’ più impolverate, sono le piante di cappero che crescono sui muraglioni della strada sopraelevata che attraversa Genova da levante a ponente costeggiando il mare. E i sorprendenti frutti pendono a grappoli  sui muri esterni del giardino dell’Acquasola, un parco cittadino recentemente scampato a un progetto di parcheggio.

Capparis spinosa (frutti)

Capparis spinosa (frutti)
Mura dell’Acquasola

I capperi crescono allegramente anche nel mio giardino, versante occidentale delle colline liguri, lontano dal mare.Che poi i germogli, o i frutti siano commestibili e gradevoli è un altro discorso. Per la buona tavola magari sarà meglio affidarsi ai capperi di Pantelleria.

Giglio di San Giuseppe

 

Hemerocallis fulva detto Giglio di San Giuseppe

Giglio di San Giuseppe
Hemerocallis fulva

Ogni giglio ha il suo santo. Per il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum) la ragione di tale attribuzione è ovvia, dato che i fiori sbocciano verso la fine di giugno, proprio in corrispondenza del giorno dedicato al celebre santo. Invece questo  falso giglio, che giglio non è, ma un lilioasfodelo o Hemerocallis (famiglia Asphodelaceae), fulvo perchè di acceso colore rosso arancio, la dedica a san Giuseppe è quantomeno bizzarra. Hemerocallis fulva sboccia alla fine della primavera, quando la ricorrenza del santo, 19 marzo, è trascorsa da tempo.  La confusione aumenta quando si scopre che le Hemerocallis si chiamano anche gigli di san Gaetano (Thiene da Vicenza), che si festeggia il 7 agosto, non lontano dalla loro stagione di fioritura. Ma San Giuseppe? Questo santo spesso viene rappresentato con il bambinello in braccio e un giglio in mano (a lui o al bambino), ma ahimè il giglio è sempre bianco, quel Lilium candidum, giglio propriamente detto, che si chiama anche giglio di San Pietro e fiorisce anche lui alla fine di giugno. Pare quasi che ogni santo esiga il suo giglio, e fra santi e gigli non ci si raccapezza facilmente.

Hemerocallis fulva detto Giglio di San Giuseppe

Hemerocallis fulva

Meno male che questo bellissimo fiore, che spopola nei giardini perché è anche facile da coltivare, ha il suo nome scientifico, preciso, e volgarmente si può chiamare anche giglio turco, il che concorda con la sua origine asiatica. Emerocallide significa bellezza del giorno, o di un giorno, un nome che sembra suggerire il fatto che i fiori durano poco e velocemente appassiscono.  Neofita naturalizzata, in questo angolo di strada, che corre sulle sponde del torrente Bisagno, davanti a una cabina elettrica, questi gigli sono stati probabilmente piantati per ingentilire la lapide di ricordo di uno dei tanti sacrifici partigiani.

Erba dei cantori

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Erbaccia da strada, come tutte le sue simili passa inosservata e negletta per la maggior parte dell’anno; ma nella bella stagione si impreziosisce, umile e sfacciata, di gialli fiorellini a crocetta, stretti in un’infiorescenza alla sommità di aerei steli sottili, che ne rivelano inequivocabilmente l’appartenenza alla famiglia della crucifere, ovvero brassicaceae, ovvero cavoli. Il suo nome scientifico, quello vero, è Sisymbrium officinale e gode anche di ottima fama, essendo erba riconosciuta benefica da molti secoli, buona per la voce e per questo indicata per risolvere qualche inconveniente alla gola dei giovani cantori. Il suo nome comune più frequente ne svela l’origine umile, erba cornacchia, un uccello dalla voce non proprio dolce. Oppure erisimo, generando una di quelle confusioni tanto frequenti in botanica, essendo Erysimum un altro genere delle brassicaceae diverso da Sisymbrium. Quest’erba cornacchia in città si trova proprio bene e si infila dappertutto, dalle aiuole ai bordi dei marciapiedi, a suo agio nei posteggi e davanti ai portoni, ma anche negli anfratti più rovinati delle costruzioni umane. Stento a credere che da questi esemplari, saturi di polvere e piombi, si possano ottenere medicamenti per il cavo faringeo; ma mi inchino al coraggio delle praterie di erba cornacchia e dell’esplosione delle loro timide pupille gialle, a frotte, come fuochi d’artificio.

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Sisymbrium officinale

Erba dei cantori
(Sisymbrium officinale)

Dell’erba cornacchia, più nobilmente detta erba dei cantanti, avevo già parlato qui

Gladiolo spartitraffico

Gladiolus italicus

Gladiolus italicus

La strada a scorrimento veloce che corre parallela al Bisagno è intitolata ai primi cittadini ‘storici’ della città di Genova, prima Gelasio Adamoli, e poi, in questo ultimo tratto, Augusto Pedullà. Il ponte vicino ricorda invece Nicholas Green, un bambino americano che correva verso le vacanze ed è stato ucciso per sbaglio,  in Calabria, da un piccolo criminale in odore di ‘ndrangheta, ma sopravvive ancora nelle numerose persone che hanno ricevuto tutti, ma proprio tutti i pezzi di lui che ancora potevano funzionare. E non molto lontano da quel ponte, così defilato e scarno, sull’aiuola spartitaffico di via Augusto Pedullà sono nati dei gladioli. Non i gladioli da fioraio che i contadini liguri coltivavano ai bordi dell’orto o nel giardinetto sottocasa per farne grandi mazzi da offrire alle feste estive della Madonna.

Gladiolus italicus

Gladiolus italicus

Questi sono gladioli selvatici, e davvero non mi pare concepibile che qualcuno ce li abbia piantati apposta, sono arrivati proprio da soli, nel bel mezzo di questa aiuola quasi inaccessibile, accanto a silene bianca e sanguisorba, e tanta tanta valeriana rossa. Che commozione incontrare un fiore così delicato e selvaggio in mezzo ai rumori e ai fumi della città. Un’altro gladiolo era nato sulle sponde ripide della collina alle spalle di piazza Rotonda a Borgoratti, sponde squarciate da un progetto di garage interrati che da mesi avanza lentamente, fra smottamenti e voragini impreviste. Quel gladiolo non sono riuscita a fotografarlo, troppo breve la sua stagione e troppo affannato il mio tempo.Invece avevo fotografato su quel dirupo le distese bianche degli agli (Allium neapolitanum), più rampanti e tenaci. Per non farmeli scappare, a questi gladioli ho dedicato una deviazione nell’assolata domenica e un intero servizio fotografico. Meno male perchè oggi, ormai giovedì, sono già scomparsi.

Sanguisorba minor

Poterium sanguisorba

Allium neapolitanum

Allium neapolitanum

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(cliccate sulle fotografie per vederle più grandi, in un’altra scheda)

Il profumo dell’orniello

Fraxinus ornus

Orniello Fraxinus ornus

Che bello questo orniello, tutto coperto di fiori bianchi, mentre si eleva spavaldo sul muraglione di corso Europa, dal lato opposto della strada rispetto al platano di qualche giorno fa (cliccate sulla fotografia per vederla in formato intero in un’altra scheda). L’orniello è un albero coraggioso e quando disperde i semi, grazie alle piccole samare alate rosso brune, non guarda in faccia nessuno e germoglia dappertutto, anche sui muri di città. La sua stagione è naturalmente la primavera, quando si copre di fiori bianchi e teneramente profumati grazie ai quali ha meritato l’appellativo di frassino fiorito. Ma anche d’autunno riesce a inventare colori interessanti (vedi 29 dicembre 2008 e 23 novembre 2009)
Tuttavia è un albero assai misconosciuto. Mi capita di nominarlo, di parlare della sua fioritura, e ricevere in risposta occhiate perplesse, come se avessi nominato qualche pianta esotica, oppure sentirmi rispondere che non ne hanno mai sentito parlare. Come scrivevo già il 5 maggio 2008, mentre dire che i ciliegi o i peschi sono fioriti colpisce la sensibilità di molta gente, dire che sono fioriti gli ornielli lascia indifferenti quasi tutti. Ed è un peccato perchè di questa meravigliosa fioritura si può godere non soltanto nei boschi, ma anche, incredibilmente, nel bel mezzo della città, persino lungo le strade più polverose e trafficate. L’orniello è un piccolo frassino, raramente arriva a 20 metri di altezza, mentre i suoi fratelli maggiori sono molto più alti, come il frassino comune, Fraxinus excelsior, che può raggiungere i 40 metri. Anche le foglie dell’orniello sono più piccole, composte al massimo di 9 foglioline, più corte e ovali di quelle del frassino comune, che arrivano fino a 15. Ci sono altre differenze botaniche per riconoscerlo, ma quello che importa a noi è che l’orniello è di gran lunga il frassino più diffuso dalle nostre parti. Si propaga con voluttà, germoglia avido, cresce velocemente, si accontenta di terreni poveri (e che c’è di più povero per un albero del muraglione di un’arteria cittadina?), non lo trovo però classificato come specie invasiva, al pari di ailanto (25 agosto 2008) e robinia (24 aprile 2009) per intenderci, probabilmente perchè naturalizzato da molto più tempo. Specie autoctona, non immigrante, tanto da passare, quasi, inosservato.

… cliccare sulle immagini per aprirle più grandi in un’altra pagina ..

L’acero del rabbino

Acer pseudoplatanus

Acer pseudoplatanus

L’acero di monte della foto si trova proprio davanti al tempio israelitico o sinagoga di Genova, in via Bertora, una traversa di via Assarotti. L’acero è un albero imponente e aggraziato. Se ha foglie palmate e fiori penduli è quasi certamente Acer pseudoplatanus, detto acero di monte, acero fico o sicomoro (per la descrizione vedi anche 1 maggio 2009). Questa è senza dubbio la stagione in cui da il meglio di sè, con le nuove foglie tenere e brillanti e i grappoli di fiori luminosi; in autunno, le larghe foglie palmate assumeranno colori piacevoli, anche se non così emozionanti come quelli degli aceri americani. La città è ricca di grandi alberi di bosco, alcuni felici, altri un po’ meno, tutti rinvigoriti dalla bella stagione; e in mezzo al verde cupo di pini e lecci, è piacevole scoprire questo fresco colore di primavera. La sinagoga di Genova è un edificio maestoso e severo, abbastanza blindato per comprensibili motivi; ma la pittura sulla facciata e le iscrizioni in alfabeto ebraico la arricchiscono di un vago fascino esotico, addomesticato dall’albero, così domestico, europeo, nostrano.
Salendo oltre la sinagoga, attraverso un breve intrico di scale, si raggiunge velocemente corso Solferino, circonvallazione a monte.

L’ippocastano di piazza Manin – capitolo secondo

Aesculus x carnea

Ippocastano rosa
Aesculus x carnea

In piazza Manin è cominciato il rimboschimento. Al posto del vecchio ippocastano abbattuto (vedi post precedente del 7 febbraio 2015), e anche di altri che evidentemente hanno avuto lo stesso destino, sono stati messi a dimora piccoli ippocastani rosa, varietà assai piacevole alla vista, per lo meno per il tempo che durano i suoi fiori lucenti. Credo si tratti dell’Aesculus x carnea, ibrido fra l’appocastano comune A.hippocastanum e la specie a fiori rossi A.pavia (anche chiamata Pavia rubra). Questi alberelli hanno l’aspetto minuto, il fusto esile, quasi affaticato dal peso del lussureggiante fogliame e dei vistosi coni fiorali. Alla loro ombra acerba, contrasta quella terza età umana che si gode il meritato riposo sulle panchine della piazza.

Aesculus x carnea

Aesculus x carnea

Villa Posalunga

Villa Posalunga

Il glicine di Villa Posalunga

Almeno in primavera ritorna grande, con la fioritura del glicine che le restituisce un briciolo della perduta nobiltà. Villa Posalunga fu dimora secondaria del giovane Giuseppe Mazzini, la sua casa di campagna si direbbe. Ora giace abbandonata e in rovina sotto il viadotto dell’autostrada Genova-Livorno, in via Cadighiara 36 – 38, la strada che attraversa la valle Sturla verso San Desiderio e Bavari. E’ stata scuola materna e elementare, poi abbandonata al degrado, invisibile e irriconoscibile, lungo l’angusta salita fiancheggiata da casermoni di cemento. Il nome si legge appena sulle colonne portanti del cancello, la facciata lascia immaginare decori, forse uno stemma, e una targa, purtroppo ormai completamente scolorita. Eppure, pur senza saperne nulla, avevo intuito che quella casa antica, alta e nascosta, costudiva una storia segreta. Leggo che dovrebbe essere convertita in alloggi sociali, dati in affitto agevolato; ma i lavori che, a quanto si dice, dovrebbero essere partiti nel 2014, non sembra siano progrediti in modo evidente.

Invece prospera la grande Wisteria sinensis, il lussureggiante glicine in fiore, che la adorna come un manto regale e si allunga in ogni anfratto, splendido ed esuberante, a medicarle le ferite.

Villa Posalunga

Villa Posalunga – febbraio 2015

Villa Posalunga

Villa Posalunga – aprile 2015

Mandorlo a Borgoratti

Mandorlo

Prunus dulcis

Il mandorlo è il primo a fiorire. Degli alberi da frutto, intendo. I mandorli fioriscono quando ancora non ci siamo accorti che sta per arrivare la primavera, non ci stiamo pensando proprio. Il mandorlo di questo terrazzino non è da meno. L’avevo ricordato, insieme ad altri, già in questa pagina, e poi il giorno di San Valentino, 14 febbraio 2009. Proprio qui, ferma al semaforo di via Cadighiara, sorveglio il mandorlo che si sveglia, su una stretta fascia, sotto una casa appesa sul pendio. Immerso nell’ombra, è un piccolo albero da nulla capace di esplosioni straordinarie.

La mandorla è uno dei primi frutti ‘addomesticati’ dall’uomo. Quella primitiva è molto velenosa, perchè contiene un discreta quantità di amigdalina, una specie di cianuro. Ma a poco a poco, forse osservando gli animali o forse dopo ripetuti errori fatali, ne è stato selezionata una varietà dolce, a basso contenuto di amigdalina, commestibile e delicata, dal gusto raffinato. Non è al sapore delle mandorle che penso quando contemplo il miracolo di quei fiori bianco rosati che sbocciano quando è ancora inverno. Mi piacerebbe che durassero di più, forse penso, ed ho fretta di vederli sul mio ciliegio.