La stagione dell’inula

Dittrichia viscosa

Dittrichia viscosa

Il suo nome scientifico è Dittrichia viscosa o Inula viscosa, ma i suoi nomi comuni sono tanti, ceppica, inula, ceppitoni. Le sue sfacciate margherite gialle dominano incontrastate gli incolti di città in questa stagione.
Qui l’ho incontrata su una curva della ripidissima via Giovanni da Verrazzano, la strada che da Prato porta a Fontanegli, cioè a casa mia. Accanto, un melo inselvatichito ha abbandonato le sue inutili mele per terra. Nessuno le raccoglie, peccato. Sono convinta che siano buonissime.

Inula viscosaPianta della famiglia delle Asteracee, è diffusissima nella regione mediterranea dove cresce sui bordi delle strade e nei prati abbandonati. Vive quasi in incognito, un’erbaccia qualsiasi, per gran parte dell’anno, fino più o meno alla fine di agosto. Allora, quando i boccioli si aprono, è davvero difficile non notarla perché i suoi fiori gialli, smaglianti e intensi, non hanno niente da invidiare a quelli di altre margherite gialle più nobili. Dicono di lei: “pianta intensamente aromatica, glandoloso-appicicosa”, oppure “pianta dall’odore repellente, untuosa e appiccicaticcia”, e ancora “coperta di ghiandole estremamente appiccicose e con un odore simile alla resina”. In Liguria, queste piante vengono dette nasche, un nome che è sinonimo di pianta scaccia insetti, a ricordare il fatto che venivano usate per allontanare le mosche. Dato che sono così comuni nei campi abbandonati e negletti, c’è un vecchio modo di dire ligure “u nu ghe cresce manco e nasche”, non ci crescono neanche le nasche, per indicare luogo, ma anche persona, arido e sterile, dove è impossibile germogli alcunché.

Inula viscosaHo raccolto le inule fiorite in questi giorni e le conservo pressate dentro un libro. Trovo l’odore più aromatico che repellente. Le foglie sono ruvide e resistenti, gli steli robusti. E’ vero, poiché crescono sui bordi delle carreggiate e nei declini inariditi, le inule, come la parietaria e la nepetella, e tante altre umili erbe ed erbacce, sono spesso coperte di polvere e catrame, grigie e secche, troppo alte e raspose, prive di forma e di morbidezza. Ma quelle margherite gialle, brillanti soli che sbocciano a grappoli all’inizio dell’autunno, sono il loro riscatto, l’abito fatato della notte di Cenerentola, che le trasforma nelle piante più sgragianti e appariscenti nei prati di ottobre.

Il ninfeo di palazzo Lomellino

Piante del n infeo

Begonia e capelvenenre

Palazzo Nicolosio Lomellino è uno dei palazzi più rappresentativi fra i cosidetti palazzi dei Rolli, sito che fa parte del patrimonio Mondiale UNESCO. Edificato intorno al 1570, il palazzo Nicolosio Lomellino si trova proprio accanto al municipio (Palazzo Tursi). Essendo proprietà privata, non si può visitare sempre, ma sempre si può occhieggiare dalla via Garibaldi, attraverso l’atrio e i suoi mirabile stucchi, verso il cortile interno, fino all’imponente ninfeo settecentesco, il ninfeo di Fetonte. Dove c’è acqua, le piante prosperano, e questo luogo non fa eccezione, nonostante gli sforzi dei manutentori di liberarlo dalle intruse. Pare, mi hanno raccontato, che dopo essere state estirpate con violenza, mettendo anche a repentaglio la pietrosa superficie del ninfeo, queste siano tutte tornate, come prima e più di prima. Per lo più si tratta di capelvenere, la morbida felce dei muri umidi, e poi qualche altra intrusa, di quelle che stanno dappertutto come la Conyza o Erigeron che dir si voglia . Infine ci sono queste belle foglie, grassocce, cuoriformi, con picciolo e venature rossicce. Subito ho pensato a una begonia, e continuo a pensarci. La somiglianza più stretta è con Begonia evansiana, che produce graziosi fiorellini rosa a fine estate. Io credo che queste foglie siano un abbellimento per il prezioso ninfeo e spero non vengano estirpate troppo presto, che rimangano ancora un pochino e sia loro permesso di fiorire. Magari a fine estate potrò avere una conferma della mia determinazione.

Lavori in corso

Bituminaria bituminosa

Bituminaria bituminosa

Su uno sbancamento della collina dove è in costruzione una nuova casetta, la primavera non si è fermata. Fa quel che può e forse non resisterà a lungo, ma in fondo alle piante non interessa se la ruspa ha aperto varchi a pochi centimetri dalle loro radici, magari travolgendo altre piante. Alle piante non interessano le recinzioni e neppure le reti arancioni che delimitano il cantiere. Non importa nulla di nulla, fintanto che conservano lo spazio vitale per crescere un poco, dissetarsi ogni tanto e aprirsi sempre alla luce. Sono piante umili, il trifoglio bituminoso odora così profondamente di catrame che sulla strada sembra proprio dover essere a suo agio, con la tempra robusta dei suoi fusti e il verdo carico delle sottili foglioline. Cresce dappertutto, nelle cunette, al bordo del selciato e sugli sterrati, e il fiore è quello dei trifogli e dell’erba medica.

Anche la borragine è una pianta di poche pretese. Da giovane ha foglie verdissime, morbide e saporite. Poi quando le foglie cominciano a guastarsi, molto spesso si macchiano di bianco a causa di un fungo, esplodono i fiorellini azzurro viola, come caramelle stellate. Eccola qui, intrappolata sul bordo del baratro. La fotografia, scattata attraverso la rete arancione che delimita il cantiere, non rende l’idea della posizione scomoda in cui si era trovata perchè la distanza era troppa e io uso quasi niente i teleobbiettivi. Copiosamente fiorita si alzava, con piglio deciso, proprio sul ciglio dello scavo appena aperto, dentro una terra gialla che forse già stasera non ci sarà più.

borrago officinalis

Borrago officinalis

A proposito di papaveri

Papaveri

Papaver dubium

Scartabello fra vecchi quaderni (alcuni non li ho mai gettati via) alla ricerca di qualche pensiero antico e trovo questa piccola poesia intitolata ‘Papavero’, scritta nel giugno 1972, quando cioè avevo, ebbene sì, 16 anni

Costruito con petali sottili
che la bufera strapazza,
per il sole di un campo di grano
a greggi fiorisce, per poco.
E come me, fiore senza profumo,
dal cuore verde di foglia,
troppo rosso ardente
troppo fragile.

I papaveri davvero hanno sempre esercitato un fascino particolare su di me. Già ne parlai nel mio vecchio blog il 24 maggio 2008, ingannandomi però sulla specie che credo non sia quella più conosciuta di Papaver rhoeas (rosolaccio), ma piuttosto il papavero più selvatico, anche se altrettanto comune, chiamato papavero a clava, Papaver dubium. Oggi incontro ancora gli stessi papaveri lungo le crose che guidano le mie passeggiate nei giorni di semifesta, sono papaveri pallidi, perchè il loro colore non è il rosso acceso, ma il rosso aranciato, ormai quasi sfioriti, ma eretti spingono alte le loro capsule di semi, presto maturi. Un ciuffo ribelle nel mezzo alla stradina, via Casale, una mulattiera quasi parallela a via alla Chiesa di San Giorgio di Bavari.

Ancora papaveri in Non solo città, accanto al rosso, c’è anche il rosa carico del Papaver somniferus, proprio quello dell’oppio.

Non solo città

ferula communis

Ferula communis

Finocchiaccio e papaveri
Superstrada SS1 Aurelia, nei pressi di San Vincenzo (Livorno)

Pianta imponente e vagamente inquietante, il finocchiaccio o meglio la ferula è molto diffusa nei campi dalla Toscana, fin giù al sud, mentre è molto più rara in Liguria, dove prospera il vero finocchio (foeniculus vulgaris), che ha foglie filiformi un po’ simili, ma aspetto decisamente più aggraziato.
La ferula è una pianta velenosa, anche e soprattutto per gli animali erbivori, che normalmente la evitano, a meno che non sia loro offerta da incauti allevatori mischiata allo sfalcio.
In questa stagione, la fioritura giallo intenso della ferula accompagna il bordo della strada statale 1 Aurelia da Livorno fino a Roma, mischiandosi al rosso scarlatto del rosolaccio, papaver rhoeas e al rosa intenso e violaceo del papavero da oppio, papaver somniferus. Tutti i colori della primavera.

Malva e le altre

Malva sylvestris

Malva sylvestris & Urospermum dalechampii

Roma Grande Raccordo Anulare – Area di servizio Pisana interna
Decisamente invadente e coraggiosa, la malva, detta silvestre, è diventata cittadina a tutti gli effetti. Impossibile non notare la sua vivace sfumatura di omonimo colore. Ma i graziosi petali non sono omogenei, bensì disegnati, solcati da nervature più scure, una sottile decorazione degna di un’opera d’arte. Fra un tombino del gas e un cassonetto della spazzatura.
Qui si accompagna a una margherita gialla un po’ più ricercata dell’umile ed onnipresente grespino (Sonchus sp, 19 febbraio 2009 e 2 novembre 2010), e persino del generoso tarassaco (Taraxacum officinale, 17 marzo 2009 e 2 aprile 2011). Un giallo più delicato quello del boccione maggiore (Urospermum o Tragopogon dalechampii), con screziature brunastre all’esterno delle ligule, un fiore riconoscibile nel vasto universo delle margherite gialle soprattutto per i boccioli di tipica forma ovoidale.

Lobularia marittima

lobularia maritima
Non lontano dalla lanterna, cioè dal mare, su rocce da troppo tempo contaminate dai commerci umani, spazzatura, catrame, olii e fumi, queste piccole brassicaceae crescono a frotte, come sulla spiaggia più incontaminata. Fra nuovi getti di ailanto (25 agosto 2008), protesi verso il cielo, e qualche non meglio identificato grespino, o radicchietto o costolina a capolino giallo, nel marzo ventoso escono dappertutto, quasi a dire che dello sfregio del mondo la primavera spavalda se ne frega.