La strada di casa

strada di casaOgni mattina, in ogni giorno dell’anno, scendo dalle colline a valle, verso il mare e verso la città. Il tragitto per il mio luogo di lavoro è piuttosto lungo e sempre lo percorro in auto, “guardando i fiori dalla groppa di un cavallo incorsa”(1). Oggi mi sono concessa un lusso, camminare lungo quella stessa strada che ogni giorno vedo correre oltre i miei occhi senza poterla osservare. Sul bordo della carreggiata, con prudenza, perchè la via è stretta, molto trafficata e pedoni e gatti rischiano parecchio (soprattutto i secondi). Un panorama mozzafiato, più o meno nitido a seconda della consistenza dell’atmosfera,  mi viene incontro alla svolta, dove via alla chiesa di San Giorgio di Bavari incontra la piccola crosa via Pianata. Lontana, dentro lo spicchio di mare e cielo, piccola e irrangiungibile, la città.

strada di casa

Ecco la primavera, attesa e inaspettata come sempre, nelle preziose e fragili fioriture dei pruni, che sembrano imbottiture bianche e rosa sui rami spogli. Gli alberi che fioriscono in questa stagione sono tutti Prunus, il più precoce Prunus dulcis, il mandorlo, e poi Prunus domestica,Prunusa armeniacus, Prunus avium e Prunus persica(10 aprile 2009), dai piccoli fiori rosa. Ancora tanti altri se ne incontrano sulla strada, oggi più fioriti di ieri e molto meno verdi di domani.

Rhamnus alaterno sulla strada di casa

Rhamnus alaterno

 

La strada procede fra case rade e preziosa macchia mediterranea verso monte.  In questi tratti meno abitati accade di fare incontri un po’ più ricercati, come spalliere di alaterno (Rhamnus alaternus, 5 ottobre 2008) un po’ sbrindellato , o una incantevole fioritura di anemone stellata (Anemone hortensis, 26 marzo 2009), qui con visitatore.

Anemone hortensis sulla strada di casa

Anemone hortensis

Scendo ancora, fino ad arrivare a una vera e propria gola, una piega molto stretta della valle dove si trova soltanto un vecchio condominio e un vasto parcheggio per camper. Sulla sommità del ripido crinale, si intravede il forte dei Ratti, una delle più ampie costruzioni fortificate che circondano dai colli la città di Genova.  Superata la gola, scopro di non essere sola. Gli abitanti erbivori di una fascia sovrastante mi salutano rumorosamente.
Pecore sulla strada di casa
strada di casa
Casa con campana
Continuo a scendere, sempre più lontana da casa. Superato il bivio per San Desiderio, dominato da un’antica casa rosa che si fregia di una campana, il traffico diventa ancora più intenso. In fondo alla valle scorre il torrente Sturla, un rivo da nulla, come tutti quelli di questa zona, ma da guardare con rispetto e attenzione.
Un’altra spettacolare fioritura mi sorprende proprio sul bordo della strada. Stretto fra case e magazzini, un altro Prunus, un prugno precoce che sfoggia già germogli di verde brillante contro il maestoso, e mostruoso, viadotto dell’autostrada A12.

Ormai sono in città. Ma sul crinale di fronte si scorgono preziosi reperti di quei capolavori di ingegneria rurale che sono le fasce, terrazzamenti e scale di pietra. La manutenzione di questi muretti a secco non è roba da dilettanti e soprattutto richiede tempo e fatica. Rovinate da frane e smottamenti, le mie care colline a gradini, presto recupereranno per sempre la loro forma prigenia.
strada di casa continua
strada di casa fasce
(cliccare sulle immagini per vederle ingrandite)

(1) Frase idiomatica cinese citata da Tiziano Terzani nel suo scritto “L’Orsigna, ultimo amore” e ripresa dallo stesso autore nel titolo del suo libro “Guardare i fiori da un cavallo in corsa”. Allude a chi vede senza osservare, vive senza penetrare la sostanza delle cose, una metafora che ho già ricordato nel post del 7 giugno 2009.

La sofora, abitante della città

Sofora Styphnolobium japonicumL’ho incontrata molto tempo fa, molto prima di conoscere il suo nome, quando accompagnava le mie scivolate sul lucido selciato del marciapiede di corso Firenze, verso la mia scuola elementare, intitolata a Maria Mazzini. L’ho vista fiorita in un’estate di molti anni dopo, mentre percorrevo di nuovo quel bel viale di collina, con la pancia pesante, sperando che l’attività fisica mi aiutasse ad arrivare alla fine della gravidanza. L’ho vista fiorita, d’estate, come ho mostrato in questo post, e ho capito che non era una robinia (che fiorisce in primavera). La sofora, che oggi i botanici chiamano Styphnolobium japonicum, è una grande protagonista delle strade della città, in ogni quartiere, in ogni angolo. In ottobre è carica di baccelli giallo verdi (vedi anche 3 novembre 2008), come qui davanti al Dipartimento di Scienza della Formazione, in corso Andrea Podestà, sopra  il ponte monumentale che sovrasta via XX Settembre. Sentinella delle finestre, ma anche accompagnatrice di fresche parole di strada, che si snodano come una litania dietro ai  tronchi.

“Vorrei trovare il coraggio per dirti che sei la cosa più bella che io abbia mai visto”

Sofora - Styphnolobium japonicum

I tronchi di sofora di corso Andrea Podestà

Provate a pensare una città senza alberi, anche le parole di strada perderebbero la loro musica.

Melia sulla sopraelevata

Melia azedarach

Melia azedarach

Questa pianta, Melia azedarach, anche detta anche albero dei rosari, cresce insieme ad altre simili sotto il muraglione che da corso Aurelio Saffi sovrasta la strada sopraelevata Aldo Moro. Si può alzare gli occhi e vederle, mentre si percorre la sopraelevata all’altezza della collina di Carignano. Oppure affacciarsi sul parapetto del corso, guardare in basso e scorgerle, bianche di fiori all’inizio della primavera e gravide di bacche bianco giallastre fra maggio e giugno.

Melia azedarach

Melia azedarach

Dal nome scientifico abbastanza astruso (per l’origine e il significato vedi qui), si capisce che si tratta di una pianta esotica, originaria dell’Asia e importata in Italia dal vagabondare, imposto o casuale, di semi ed essenze per il globo. Coltivata e perfino spontaneizzata in varie regioni d’Italia centro meridionale, anche se non in Liguria, predilige climi caldi e soleggiati. Nelle città si adatta, come altre essenze straniere, ammirata o misconosciuta, vezzeggiata o disprezzata, a seconda dell’umore e della presunzione di chi la guarda.

Manacà-da-serra e altre bellezze tropicali

Handroanthus impetiginosus

Fiori di Ipê-rosa
Handroanthus impetiginosus
parco Ibirapuera, San Paolo (Brasile)

Eccomi qua, un’europea qualsiasi, con la mia inguaribile curiosità per tutta la vita verde del pianeta, arrivo a San Paolo, immensa città del Sud America, situata esattamente sul tropico del Capricorno (circa 23 gradi a sud dell’equatore) e vengo presa da un senso di smarrimento e confusione. Perchè nessuna, o quasi, delle piante che mi circondano e che addobbano le strade di questa metropoli, ha una aspetto conosciuto. Non cercate aceri o tigli, nè platani, querce o lecci, nè frassini e tantomeno pini domestici e cedri. Niente, assolutamente niente di tutto ciò.  Ci sono alberi che arrivano al quarto piano dei palazzi e cespugli con sgargianti fioriture, ma, a parte radi eucalipti, che vengono dall’Australia e sono sempre fuori posto, ibischi e bouganvillee, che invece qui sono a casa loro, non so dare il nome a nessuna delle piante che vedo. Mi trovo forse su un altro pianeta? Per colmare la mia abissale ignoranza, il cammino è lungo.

Per fortuna, nel bel mezzo dell’inverno australe (che ai tropici sa di calda primavera), individuo una vecchia conoscenza, l’ipê rosa, Handroanthus impetiginosus o Tabebuia impetiginosa credo, famiglia delle Bignoniaceae, quindi non poi così astruso. All’apparenza è un albero gracile, alto e allampanato, con fogliame sparuto, ma in questa stagione traboccante di fiori lilla chiaro a mazzetti. Albero dalle molte forme e dai molti nomi, l’ipê è anche genere dalle molte risorse, dal legno, duro e grasso, agli estratti medicinali della sua corteccia. La specie soprannominata pau d’arco o lapacho (Tabebuia avellanedae) contiene un principio attivo, detto proprio lapacholo, utilizzato dagli indios per curare numerosi e svariati disturbi. La ricerca moderna ha riconosciuto a questa sostanza anche proprietà antitumorali.
Per le strade di San Paolo se ne incontrano diverse specie, come Handroanthus heptaphyllus o Tabebuia heptaphylla, che ha fioritura simile, anche se più distribuita, mentre il famosissimo ipè giallo (ipê-amarelo, Handroanthus chrysotrichus) in luglio non è ancora fiorito. In questa foto si vede un Ipê-amarelo a Belo Horizonte nell’agosto del 1979 (e una Carla giovane come l’acqua ;-)).

Tibouchin granulosa

Quaresmeira (Tibouchin granulosa) sull’avenida Paulista al tramonto

Accanto agli ipê, ecco un genere di piante tropicali altrettanto affascinanti, tibuchina o meglio Tibouchina, famiglia Melastomataceae, che oltre alla bellezza dei fiori, sfoggia anche un fogliame ricercato e lussureggiante. In realtà, l’avevo già incontrata a San Diego, sulla costa californiana, dove le eccezionali caratteristiche del clima permettono a piante assai diverse di ambientarsi con successo. Nella foto del vecchio post si distinguono molto bene le particolarità delle foglie, spesse e carnose con nervature parallele.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Per le strade di San Paolo, le tibucine più comuni sono due: la quaresmeira (Tibouchina granulosa), un albero che arriva facilamente a dieci metri di altezza e deve il suo nome popolare al colore, viola, e al periodo della fioritura, che peraltro si protrae da marzo ad agosto, e la manacà-da-serra (Tibouchina mutabilis), un albero più piccolo che porta grandi fiori rosa e bianchi sullo stesso esemplare.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Entrambe sono piante della mata atlântica, la foresta atlantica, un ambiente naturale ricchissimo, messo a dura prova dalla penetrazione umana e dallo sfruttamento intensivo dei suoli tanto da essere inserito negli ambienti naturali in criticità di conservazione.  Ci sono ampie zone della costa e dell’interno in cui la mata ha dovuto soccombere alle piantagioni di caffè e all’urbanizzazione; ma sulle ripide pendici della serra di Mantiqueira, proprio alle spalle di San Paolo, la mata è ancora vincente, lussureggiante e impenetrabile. E in altre zone è risorta, perchè le attività umane sono discontinue e inaffidabili, e la natura lasciata a se stessa sa cosa fare per riprendersi il suo territorio.
Ecco, qualcuno dei misteriosi abitanti di San Paolo mi è diventato un po’ più familiare. Ma è davvero una goccia nel mare della sterminata selva tropicale.

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Il platano, questo sconosciuto

Platano ponte Sant'Agata

Platano presso il ponte di Sant’Agata
Platanus x acerifolia

Alcuni alberi crescono in modo bizzarro, come questo possente tronco contorto che si trova sulla sponda del Bisagno presso il ponte di Sant’Agata. Penso a quante piene rovinose e disperate siccittà ha contemplato dalla sua sinuosa altezza. Soprattutto penso a come mai sia cresciuto così storto, il grosso tronco ricurvo, come volesse dare una ginocchiata a qualche gigante di passaggio. Gli alberi del bosco sono in competizione per la luce, crescere diritti verso l’alto è spesso la migliore opportunità per sopravvivere. Ma gli alberi di città, distanziati e composti per far spazio al traffico cittadino, non hanno regole naturali ad istruirli. Eppure qualche principio li guida, non arte, ma necessità, non capriccio, ma regola, e vengono su storti, ma sempre spavaldi.

Platano comune

Platano lungo il Bisagno
Platanus x acerifolia

Il platano è uno degli alberi più comuni ovunque nelle città. E’ maestoso e robusto, eppure pallido, con quella corteccia sfogliata e le foglie grigie. Non sempre felice, soffre di innumerevoli acciacchi, viscide pestilenze che lo sfiancano. Ma resiste e, in primavera, è bello come un giovinetto, gagliardi rami chiari e foglie verde tenero. Il platano è anche un mistero perchè chi si addentri alla comprensione del suo genere, sempre si scontra con infinite complicazioni. Certo, gli esemplari adattati alle aiuole spartitraffico non sono specie pure ed orgogliosamente tramandate dai semi degli avi, sono ibridi. Già, ma di che?
Le due specie più diffuse di platani originari sono il Platanus orientalis, europeo, più snello e morbido, foglie lobate frastagliatissime, corteccia sfogliante maculata, e il Platanus occidentalis, americano, più possente, foglie a tre lobi arrotondati, corteccia che si sfalda lasciando scoperte grandi chiazze grigio chiare. Gli alberi che più comunemente si incontrano sul bordo delle nostre strade sono ibridi di queste due specie, incroci, meticci. Si chiamano Platanus x acerifolia o anche Platanus hispanica, perchè descritti per la prima volta in Spagna intorno al 1600 dove vicino ai platani europei, erano stati piantati dei platani americani. Il platano comune, come lo chiameremo per comodità, ha foglie con lobi un poco più appuntiti dell’americano, ma più semplici e netti dell’europeo.

per altri platani cittadini, vedi anche:
Il vecchio rudere e
28 dicembre 2008

… cliccare sulle immagini per aprirle più grandi in un’altra pagina ..

Nevicata in via Terpi

primavera in via TerpiSono ormai due anni che a Genova non viene la neve. E anche quando viene davvero, come quell’indimenticabile 3 marzo 2005 che imbiancò Boccadasse come fosse sul mare del Nord, la neve dura poco e velocemente diventa una poltiglia grigia. No, quest’anno non è nevicato, ma la coltre bianca che copre gli alberi di marzo, quella non tradisce mai.

Via Terpi è una strada di periferia che si arrampica su per il pendio in val Bisagno nel quartiere di Montesignano, fra san Gottardo a valle e sant’Eusebio in collina.  Sobborgo popolare, polveroso e scomposto, alti palazzi pallidi, addossati gli uni sugli altri nella salita, la strada angusta e contorta, soffocata dai motori. La collina è ripida, questo non è un paese per pigri, ma a tratti si fa dolce, adatta ad ospitare giardini. Nei terrapieni di cemento, la primavera imbianca gli alberi e ne fa gioielli, nuvole impalpabili e solide, sospese fra l’asfalto e il cielo.

Chiesa di Santa Maria del Carmine e San Giustino

Chiesa di Santa Maria del Carmine e San Giustino

La chiesa di via Terpi, parrocchia di san Michele Arcangelo chiesa  di Santa Maria del Carmine e San Giustino, è un edificio moderno, con il tetto di lamiera e il campanile a spirale. Una costruzione bizzarra, di una forma che ancora non ha deciso se essere chiesa o capannone. Ma forse è un’opera d’arte, anche perchè racchiude un interno sorprendente, dominato da una grande, spettacolare vetrata, realizzata dall’ artista greco, da anni residente a Genova, Giorgio Oikonomoy nel 1988. Da fuori, è ovvio, non si vede assolutamente nulla. Ma quando mi lascio alle spalle la grigia piazza che circonda la chiesa, una sorta di parcheggio terrazzato, spingo la grande porta di legno chiaro e lucido, mi compare davanti quest’universo di colori, di forme scolpite nel disegno di vetro, a cui la luce dà vita. Splendido. vetrata di Giorgio Oikonomoy

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Il cedro di villa Scassi

Cedro del Libano

Cedrus libani
Villa Imperiale Scassi

Il cedro del Libano (Cedrus libani) è una pianta elegante e maestosa. Così regale che i suoi rami non sono semplici rami, ma si chiamano palchi, perchè si aprono ampi, quasi paralleli al terreno. Le sue pigne, ovvero i coni, sono gioielli verdi finemente cesellati.
Assai ricercato per parchi e giardini, soffre in città come tanti altri alberi urbani, non solo aria mefitica, ma anche mutilazioni e capitozzature. Mi accade a volte di osservarne con qualche preoccupazione dignitosi esemplari maltrattati e negletti, costretti in uno spazio troppo angusto per mostrare la loro forma.
Non questo cedro, che si erge agile e sontuoso di fronte a un’altrettanto sontuosa villa di nobili origini. Villa Scassi è conosciuta a Genova come ‘l’ospedale di Sampierdarena’, ma la sua storia meriterebbe più attenzione e interesse, perchè in realtà la villa con l’ospedale non c’entra granchè ed in comune hanno quasi soltanto il nome e l’ubicazione. La villa, detta più precisamente Imperiale Scassi, sorge nella zona centrale del quartiere, lungo l’asse viario che dalla Lanterna conduceva verso la Val Polcevera e il Ponente e lungo il quale, nel XVI secolo, sorse un imponente complesso di ville, oggi immiserito e degradato, ma ancora riconoscibile. Edificata nel 1560 da Vincenzo Imperiale, venne acquistata nel 1800 dall’illustre medico e studioso Onofrio Scassi e dei suoi due proprietari ha mantenuto il nome. Fu progettata da discepoli o emuli del grande architetto Galeazzo Alessi, con alle spalle un vasto giardino digradante, un parco rinascimentale disegnato per farle da corona e areola. La ristrutturazione della città ha spezzato l’incanto, da quando negli anni ’30 del secolo scorso, il giardino e la villa sono divisi da una rumorosa e ingombrante arteria cittadina, via Antonio Cantore. Nel frattempo la villa veniva sempre più soffocata in mezzo all’edilizia residenziale di un quartiere in disordinata espansione e alla sommità del  giardino, fu costruito l’ospedale  che dalla villa oggi prende il nome. Ma il parco è rimasto ed è sollievo per chi ascenda o scenda da qualche padiglione, ambulatorio o day hospital, due passi in mezzo all’eleganza di un verde antico, che accusa il degrado, ma a testa alta.

Sampierdarena è un quartiere di contrasti, dall’apparenza squallido e anche un po’ sudicio, percorso da fermenti opachi. Ma fra le vie incolori nasconde angoli particolari, incontri, tesori e storie. Oggi la villa presenta la sua facciata posteriore alla rumorosa strada principale, mentre il prospetto anteriore si trova in una via minore, più vicina al cuore antico di Sampierdarena, via Nicolò D’Aste. Provenendo per questa via da ponente, attraverso carugi angusti, la villa appare alta e bianca, pulita. E da questa parte, da dove il parco non si immagina neppure, il cedro, solo, è il suo albero custode, ornamento e sostegno della sua storia e della sua eleganza.

Cedro del Libano coni

Cedrus libani, coni
foto agosto 2008

Onore ai cedri del Libano e al loro immutabile fascino. Guardandone dal basso gli stupendi palchi, si vorrebbe essere un uccelletto qualsiasi per potersi accovacciare un po’ su quelle solide fronde.

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Tutti i colori della piracanta

Pyracantha coccinea

Arbutus unedo
Pyracantha coccinea
Viburnum tinus

L’aiuola spartitraffico della Val Bisagno, lungo le strade dedicate ai sindaci di Genova (Gelasio Adamoli e poi Augusto Pedullà) è adorna di essenze mediterranee.
In mezzo a varie erbacce (per le quali però io ho sempre un occhio di riguardo), in autunno spiccano superbi i frutti del corbezzolo (Arbutus unedo), dell’agazzino (Pyracantha coccinea) e del viburno (Viburnum tinus). Non mancano certo pittospori e lagerstroemie, ma il colore dominante è quello delle piracante.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

La piracanta, il cui nome comune agazzino è ormai poco usato, è una rosacea fieramente spinosa, che nasconde i suoi aghi micidiali dietro amabili fiorellini bianchi (vedi 18 maggio 2008) e poi bacche dai colori sgargianti, dal giallo all’arancio al rosso. Così si adatta egregiamente per realizzare siepi invalicabili e variopinte bordure che richiamano i colori dell’autunno.

Pyracantha coccinea

Pyracantha coccinea

Pioppo vanitoso

Populus nigra

Populus nigra

Sono arrivati (finalmente …) i primi acquazzoni autunnali. La temperatura si è abbassata e la terra, secca e ruvida, ha accolto l’acqua come una benedizione. Anche in città. Nonostante la paura delle inondazioni, anche questa città costruita su un labirinto di rigagnoli pronti a straripare, accoglie la pioggia con una gioia cristallina. Perchè la pioggia è bella, nonostante tutto.pioppo_0972
Questo pioppo nato per sbaglio sul ciglio della strada, addossato al grigio cemento, si specchia in una grande pozzanghera ingombra di varia immondizia e il suo riflesso mi ricorda quello di altri alberi che hanno avuto in sorte di crescere sulle rive di laghetti, fiumi e specchi d’acqua naturale. Più fortunati, forse, ma non meno vanitosi.

La palma nel leccio

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

E’ spuntata una palma nell’incavo di un largo tronco di leccio. E’ cresciuta, le foglie estranee sembrano germogliare dallo stesso tronco. E’ successo nel bosco di lecci poco distante dal parco del’Acquasola (un parco che doveva scomparire, ma che i cittadini hanno difeso dall’aggressione del cemento) proprio nel centro di Genova.
Palma e leccio godono di ottima salute.

Si tratta di un fatto assai comune, un adattamento simbiotico abbastanza innocuo.
Ci sono piante che naturalmente si servono di altre piante per crescere, talvolta solo per sostenersi, come le  rampicanti che si abbarbicano ai loro tronchi, fino a coprirli

Quercus ilex & Chamaerops humilis

Quercus ilex & Chamaerops humilis

completamente, a cammuffarli da altro.  Altre piante sono ancora più sfrontate,  utilizzano  altri vegetali per la loro sopravvivivenza, da emiparassite (si servono parzialmente di altre specie per rifornirsi di acqua e sali)  o parassite totali, che sfruttano tutto, radici e energia fotosintetica, delle altre per la sopravvivenza.

Ma no, la piccola palma nana non ha fatto niente di ciò. Ha semplicemente trovato un buchetto confortevole dove adagiare le sue radici nell’incavo di un tronco.
Anche se non mi stupirei che qualche cittadino incallito scambiasse le snelle frange della palma per le foglie del leccio.