Nel greto del Bisagno

Greto del Bisagno

Silybum marianum
nel greto del Bisagno

Nel greto del Bisagno crescono piante, qualcuno li chiamerà fiori selvatici, qualcuno erbacce.
Occasionalmente ripulito, si ripopola velocemente e le specie cambiano. Capita a volte di non ritrovare i fiori che ricordavi negli anni precedenti, e vederne prosperare altri, che non si sa da dove siano venuti. Ma il ritmo della nostra giornata mal si addice ad osservazioni intense. Chi ha il tempo di starsene sulla riva del fosso a guardare le piante per ore, giorni, settimane? Certamente le specie cambiano e si avvicendano in modo incontrollato, ma è soprattutto la la nostra attenzione ad essere carente e molto sempre ci sfugge.

Nell’aprile di qualche anno fa, fra la spazzatura e una straccio di bandiera della pace, scopro il cardo mariano, pregiata specie officinale, neanche tanto comune negli incolti liguri, rosseggiante carciofo selvatico in mezzo ai broccoletti gialli.

Malva multiflora

Malva multiflora
nel greto del Bisagno

Poco più in là la malva, che potrebbe essere Malva sylvestris, la specie di gran lunga più comune, ma non sono convinta. Guardo e riguardo queste fotografie un po’ vaghe, poco nitide e poco a fuoco, certamente non adatte per apprezzare i particolari. Penso a  Malva nicaeensis, la malva scabra, specie mediterranea non molto diffusa. Ma non è neppure quella. Piuttosto credo che sia Malva multiflora, una lavatera diventata malva (si legga qui per capire perchè), pianta eretta e slanciata, fino a più di un metro, con fusti solidi, verde rossastri e pelosi, che abita gli incolti e i ruderi. Ancora non mi capacito tuttavia che ci faccia nel greto di un torrente, pur alquanto asciutto. Si dovrà andare a controllare i famosi segmenti dell’epicalice, se siano o no fusi. Un’occasione per scovare qualche cosa di nuovo nel torrente.

Fiori da rotonda

Rotonda con bocche di leone

Antirrhinum majus  
San Benigno

Le rotonde stradali, o rotatorie, sono diventate in pochi decenni una presenza costante nelle città, come in periferia e nelle strade extraurbane, sostituendo molti semafori, e con qualche vantaggio per il traffico, ora che finalmente la maggior parte degli automobilisti ha imparato come funzionanano. Dove ci sono ampi spazi, le rotatorie si susseguono vaste e regolari. Negli spazi angusti della Liguria e soprattutto in città, talvolta le rotonde sono quasi invisibili ed è problematico comprendere chi è fuori e chi è dentro, con complicazioni e intoppi per la circolazione.
Ma anche le nostre microscopiche rotonde hanno al centro il loro cerchio di ghiaia e terriccio dove possono o vogliono trovar posto delle piante. Talvolta sono disposte ad arte, anche se non sempre curate a dovere.  Talvolta l’abbandono incombe e allora, se la terra resiste, le piante scelgono da sole dove andare. Nella rotonda di via di Francia nei pressi di san Benigno (foto sopra) ha trovato riparo l’immancabile pianta di bocche di leone, già incontrata altrove come pioniera (vedi mura della Malapaga, ma anche altri muri).

Rotonda con reseda

Reseda luteola
San Martino

Un’altra rotonda, piccola e abbandonata, ma trafficatissima,  poco lontano dall’ingresso del pronto soccorso e dell’ospedale di San Martino, è invasa dalla reseda biondella, pianta ruderale, amante dei terreni di riporto e dei calcinacci. A ben guardare si scopre che su questa rotonda la reseda non è sola, ma si accompagna a un’altra pianticella notevole, la sanguisorba minore, Poterium sanguisorba, specie alimurgica e officinale, ma già osservata spesso negli spartitraffico.

Fiori da rotonda

Reseda luteola
Poterium sanguisorba
San Martino

Tutt’e due queste rotonde, in tempi più recenti delle fotografie, sono state, per così dire, ripulite dalle erbacce per accogliere esemplari da vivaio, palme per lo più, quelle piante cioè che ostentano staticità stagionale. Ma non a lungo sono piante felici; coperte dalla polvere e soffocate dagli scarichi, ho notato come difficilmente resistano allo stress. A quelle condizioni estreme invece meglio si adattano piante mutevoli e vagabonde. Disordinate e fiere, se riprenderanno il sopravvento, il verde della rotonda sarà salvo.

Cimbalaria scalatrice

Cymbalaria muralis

Cymbalaria muralis
via Posalunga

Una cascatella di cimbalaria (Cymbalaria muralis) ricopre un muro sul bordo della strada a Borgoratti. Siamo all’incrocio fra via Posalunga e via Copernico, poco sopra via Timavo, e non c’è marciapiede.  Lei, la cimbalaria anche detta ciombolino, non si è fatta certo intimidire dal traffico, ha ricoperto tutta la parete ruvida e polverosa con i suoi simpatici fiorellini. Gli stessi che hanno colonizzato le siepi di bosso della elegantissima villa Lante di Bagnaia a Viterbo, già ricordata in questo post. Provo a scattare dal lato opposto della strada, quando il semaforo ferma il traffico e non ci sono autobus in vista; poi provo da sopra, dall’alto del muretto, un po’ contro sole. Risultati scadenti, ma lei sorride.

Cymbalaria muralis

Cymbalaria muralis
via Posalunga

Cimbalaria

Cymbalaria muralis
vialla Lante di Bagnaia (Viterbo)

La cimbalaria (il nome è dovuto alla forma delle foglioline, che sono concave e ricordano il kymbalon, sorta di tamburello greco) sembra davvero una pianticella da nulla, fiore microscopico, foglie carnosette, ma esili, adattabile, minuta. Ma a guardarla da vicino se ne scopre il fascino discreto, la grazia esuberante, come l’avevo descritta in un post del 16 marzo 2009, dove i fiorellini erano abbastanza nitidi, ma c’erano almeno due errori. Primo, oggi Cymbalaria è inserita nella famiglia della Plantaginaceae, e non più Scrophulariaceae. Secondo, non è vero che non se ne conoscono utilizzi fitoterapici, perchè viceversa sono note le sue proprietà come cicatrizzante, antinfiammatorio, diuretico, antiscorbutico, contro la calcolosi renale, e come emostatico e cicatrizzante. Insomma chi più ne ha più ne metta, tutte le piante in fondo sono magiche, un po’ placebo, un po’ veleno, un po’ miscuglio di principi salutari.
Quello che è interessante della cimbalaria è la sua capacità di adattarsi con disinvoltura alla città. Lo ha notato un gruppo di naturalisti francesi che ne ha osservato il comportamento in ambiente urbano e rurale.  La cimbalaria, che cresce bene sui muri umidi, ai bordo strade, e comunque preferisce i substrati calcarei freschi, viene impollinata prevalentemente dalle api piccole, ovviamente a causa della  dimensione dei fiori che offrono poco spazio ai bombi e alle api grassocce. Ma, secondo questo studio(1), e diversamente da altre piante, gli esemplari di Cymbalaria muralis cresciuti da semi originari di un’area urbana (Parigi) tendevano a produrre più fiori e ricevevano anche più visite di impollinatori di quelli nati e cresciuti in campagna. Insomma, questa ricerca suggerisce che la cimbalaria sta benone anche in città e ce la mette tutta, e anche un po’ di più, per prosperare. Bello incontrarla, verde e fiorita, nella sua stagione migliore, pur se devo schivare moto e macchine per vederla.

(1)Desaegher et al. Buzz in Paris: flower production and plant-pollinator interactions in plants from contrasted urban and rural origins. Genetica 2017 145(6):513-523, doi: 10.1007/s10709-017-9993-7.

La cornetta e il porto

Cornetta donodolina

Cornetta e pino
Emerus major – Pinus nigra

La cornetta è la prima e l’ultima ginestrina dei boschi perchè fiorisce praticamente ininterrottamente da marzo (vedi 28 marzo 2009) a ottobre. La primavera è quasi arrivata, ma il giallo che ci circonda non è certo quello delle ginestre maggiori. Quasi ovunque sulle spalliere erbose “dondolano”  i fiorellini delle cornette, fino a poco tempo fa classificata nel genere Coronilla, come C.emerus. Ora è invece posta nel genere Emerus (E.major), che significa domestico, coltivato, perchè è pianta officinale con proprietà simile alla senna, leggermente purgante.

Un po’ meno comune però incontrarla sulle banchine del porto, in un terrapieno erboso dove trovano dimora giovani pini neri (Pinus nigra). Siamo molto vicini alla lanterna, lungo una passeggiata panoramica che corre lungo le banchine, ma è un giorno qualsiasi, un giorno feriale. La lanterna è chiusa e durante la pausa incontro solo gruppi di lavoratori.

Viburnum tinus

Viburnum tinus

La vegetazione è necessariamente scarna, a parte l’immancabile parietaria che penso riesca a crescere veramente dappertutto (vedi post del 14 maggio 2008). Non certo spontanei, ma non meno generosi, i viburni sono fioriti e respirano con me quest’aria salmastra, oggi così leggera.

Agave all’improvviso

Agave americana Vico del Ponte è una strada piccolissima che sale da via Posalunga (Borgoratti, valle Sturla), gira dietro a due isolati e scende nuovamente sulla stessa via. Mi ci arrampico per vedere da vicino la magnolia, e mi  trovo davanti lei, imponente contro il cielo, l’agave, come sempre a contendere la verticalità a un lampione.

Ai suoi piedi, la rosetta di foglie ormai seccate dà ragione alla sua fama di madre che muore per dar vita al figlio. In natura, altre rosette più giovani prenderanno il suo posto nell’avvicendamento perenne dell’esistere vegetale. Non so se quest’agave da asfalto abbia rosette di scorta, però ne intravedo una dietro la grata che sormonta il muretto. Chissà se sarà capace di sopravvivere nella terra asfitica e far bene come la sua sorella maggiore.

La strada di casa

strada di casaOgni mattina, in ogni giorno dell’anno, scendo dalle colline a valle, verso il mare e verso la città. Il tragitto per il mio luogo di lavoro è piuttosto lungo e sempre lo percorro in auto, “guardando i fiori dalla groppa di un cavallo incorsa”(1). Oggi mi sono concessa un lusso, camminare lungo quella stessa strada che ogni giorno vedo correre oltre i miei occhi senza poterla osservare. Sul bordo della carreggiata, con prudenza, perchè la via è stretta, molto trafficata e pedoni e gatti rischiano parecchio (soprattutto i secondi). Un panorama mozzafiato, più o meno nitido a seconda della consistenza dell’atmosfera,  mi viene incontro alla svolta, dove via alla chiesa di San Giorgio di Bavari incontra la piccola crosa via Pianata. Lontana, dentro lo spicchio di mare e cielo, piccola e irrangiungibile, la città.

strada di casa

Ecco la primavera, attesa e inaspettata come sempre, nelle preziose e fragili fioriture dei pruni, che sembrano imbottiture bianche e rosa sui rami spogli. Gli alberi che fioriscono in questa stagione sono tutti Prunus, il più precoce Prunus dulcis, il mandorlo, e poi Prunus domestica,Prunusa armeniacus, Prunus avium e Prunus persica(10 aprile 2009), dai piccoli fiori rosa. Ancora tanti altri se ne incontrano sulla strada, oggi più fioriti di ieri e molto meno verdi di domani.

Rhamnus alaterno sulla strada di casa

Rhamnus alaterno

 

La strada procede fra case rade e preziosa macchia mediterranea verso monte.  In questi tratti meno abitati accade di fare incontri un po’ più ricercati, come spalliere di alaterno (Rhamnus alaternus, 5 ottobre 2008) un po’ sbrindellato , o una incantevole fioritura di anemone stellata (Anemone hortensis, 26 marzo 2009), qui con visitatore.

Anemone hortensis sulla strada di casa

Anemone hortensis

Scendo ancora, fino ad arrivare a una vera e propria gola, una piega molto stretta della valle dove si trova soltanto un vecchio condominio e un vasto parcheggio per camper. Sulla sommità del ripido crinale, si intravede il forte dei Ratti, una delle più ampie costruzioni fortificate che circondano dai colli la città di Genova.  Superata la gola, scopro di non essere sola. Gli abitanti erbivori di una fascia sovrastante mi salutano rumorosamente.
Pecore sulla strada di casa
strada di casa
Casa con campana
Continuo a scendere, sempre più lontana da casa. Superato il bivio per San Desiderio, dominato da un’antica casa rosa che si fregia di una campana, il traffico diventa ancora più intenso. In fondo alla valle scorre il torrente Sturla, un rivo da nulla, come tutti quelli di questa zona, ma da guardare con rispetto e attenzione.
Un’altra spettacolare fioritura mi sorprende proprio sul bordo della strada. Stretto fra case e magazzini, un altro Prunus, un prugno precoce che sfoggia già germogli di verde brillante contro il maestoso, e mostruoso, viadotto dell’autostrada A12.

Ormai sono in città. Ma sul crinale di fronte si scorgono preziosi reperti di quei capolavori di ingegneria rurale che sono le fasce, terrazzamenti e scale di pietra. La manutenzione di questi muretti a secco non è roba da dilettanti e soprattutto richiede tempo e fatica. Rovinate da frane e smottamenti, le mie care colline a gradini, presto recupereranno per sempre la loro forma prigenia.
strada di casa continua
strada di casa fasce
(cliccare sulle immagini per vederle ingrandite)

(1) Frase idiomatica cinese citata da Tiziano Terzani nel suo scritto “L’Orsigna, ultimo amore” e ripresa dallo stesso autore nel titolo del suo libro “Guardare i fiori da un cavallo in corsa”. Allude a chi vede senza osservare, vive senza penetrare la sostanza delle cose, una metafora che ho già ricordato nel post del 7 giugno 2009.

Viburno a ponte Carrega

Viburnum tinus

Viburnum tinus
nei pressi del ponte Carrega

Mai un ponte fu più bistrattato e amato nello stesso tempo. Questo ponte settecentesco (di cui ho già parlato, per lodare la sua resistenza alle piene del Bisagno) sarebbe molto bello a vedersi, e piacevole da percorrere, se non fosse che si trova nel bel mezzo di un punto nevralgico e congestionato della città, e per giunta proprio sotto l’immane viadotto dell’autostrada A12, a cui auguriamo lunga vita.  Negli ultimi anni il ponte Carrega ne ha veramente passate di tutti i colori, dovendo resistere non soltanto alle inondazioni periodiche del suo irrequieto corso d’acqua, ma anche alle assurde proposte di abbatterlo perchè “non compatibile con le vigenti norme idrauliche” e “ostacolo alla messa in sicurezza del torrente”. Come altri ponti antichi, ha già dovuto subire un ridimensionamento da sedici a sei arcate, in ragione dell’inevitabile quanto dissennata espansione della città. Dissennata perchè, come non è il cervo che attraversa la strada, ma la strada che attraversa il bosco, dovremmo dire che non è il fiume che rompe gli argini, ma gli argini che si sono messi al posto del fiume. Tant’è il ponte Carrega resiste e ci piace guardarlo, anche in mezzo al traffico, fra asfalto, cemento, polvere e spazzatura.

Viburnum tinus

Viburnum tinus

Come il ponte, il viburno non è arbusto che si faccia intimidire. Su questa riva negletta, d’inverno crescerebbe solo sterpaglia, se non fosse per lui, precoce nella fioritura, tenace e nobile nell’aspetto. Le foglie sono persistenti e coriacee, tipiche da essenza della macchia mediterranea, dove si accoppia al ligustro e fa compagnia all’altra splendida coppia di lentisco e terebinto. I fiori bianco rosati (vedi 6 marzo 2009) sono aggraziati e precisi; diventeranno bacche scure (18 settembre 2008), tossiche, anche se impiegate dall’antica medicina.

Manacà-da-serra e altre bellezze tropicali

Handroanthus impetiginosus

Fiori di Ipê-rosa
Handroanthus impetiginosus
parco Ibirapuera, San Paolo (Brasile)

Eccomi qua, un’europea qualsiasi, con la mia inguaribile curiosità per tutta la vita verde del pianeta, arrivo a San Paolo, immensa città del Sud America, situata esattamente sul tropico del Capricorno (circa 23 gradi a sud dell’equatore) e vengo presa da un senso di smarrimento e confusione. Perchè nessuna, o quasi, delle piante che mi circondano e che addobbano le strade di questa metropoli, ha una aspetto conosciuto. Non cercate aceri o tigli, nè platani, querce o lecci, nè frassini e tantomeno pini domestici e cedri. Niente, assolutamente niente di tutto ciò.  Ci sono alberi che arrivano al quarto piano dei palazzi e cespugli con sgargianti fioriture, ma, a parte radi eucalipti, che vengono dall’Australia e sono sempre fuori posto, ibischi e bouganvillee, che invece qui sono a casa loro, non so dare il nome a nessuna delle piante che vedo. Mi trovo forse su un altro pianeta? Per colmare la mia abissale ignoranza, il cammino è lungo.

Per fortuna, nel bel mezzo dell’inverno australe (che ai tropici sa di calda primavera), individuo una vecchia conoscenza, l’ipê rosa, Handroanthus impetiginosus o Tabebuia impetiginosa credo, famiglia delle Bignoniaceae, quindi non poi così astruso. All’apparenza è un albero gracile, alto e allampanato, con fogliame sparuto, ma in questa stagione traboccante di fiori lilla chiaro a mazzetti. Albero dalle molte forme e dai molti nomi, l’ipê è anche genere dalle molte risorse, dal legno, duro e grasso, agli estratti medicinali della sua corteccia. La specie soprannominata pau d’arco o lapacho (Tabebuia avellanedae) contiene un principio attivo, detto proprio lapacholo, utilizzato dagli indios per curare numerosi e svariati disturbi. La ricerca moderna ha riconosciuto a questa sostanza anche proprietà antitumorali.
Per le strade di San Paolo se ne incontrano diverse specie, come Handroanthus heptaphyllus o Tabebuia heptaphylla, che ha fioritura simile, anche se più distribuita, mentre il famosissimo ipè giallo (ipê-amarelo, Handroanthus chrysotrichus) in luglio non è ancora fiorito. In questa foto si vede un Ipê-amarelo a Belo Horizonte nell’agosto del 1979 (e una Carla giovane come l’acqua ;-)).

Tibouchin granulosa

Quaresmeira (Tibouchin granulosa) sull’avenida Paulista al tramonto

Accanto agli ipê, ecco un genere di piante tropicali altrettanto affascinanti, tibuchina o meglio Tibouchina, famiglia Melastomataceae, che oltre alla bellezza dei fiori, sfoggia anche un fogliame ricercato e lussureggiante. In realtà, l’avevo già incontrata a San Diego, sulla costa californiana, dove le eccezionali caratteristiche del clima permettono a piante assai diverse di ambientarsi con successo. Nella foto del vecchio post si distinguono molto bene le particolarità delle foglie, spesse e carnose con nervature parallele.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Per le strade di San Paolo, le tibucine più comuni sono due: la quaresmeira (Tibouchina granulosa), un albero che arriva facilamente a dieci metri di altezza e deve il suo nome popolare al colore, viola, e al periodo della fioritura, che peraltro si protrae da marzo ad agosto, e la manacà-da-serra (Tibouchina mutabilis), un albero più piccolo che porta grandi fiori rosa e bianchi sullo stesso esemplare.

Tibouchina mutabilis

Manacà-da-serra
Tibouchina mutabilis

Entrambe sono piante della mata atlântica, la foresta atlantica, un ambiente naturale ricchissimo, messo a dura prova dalla penetrazione umana e dallo sfruttamento intensivo dei suoli tanto da essere inserito negli ambienti naturali in criticità di conservazione.  Ci sono ampie zone della costa e dell’interno in cui la mata ha dovuto soccombere alle piantagioni di caffè e all’urbanizzazione; ma sulle ripide pendici della serra di Mantiqueira, proprio alle spalle di San Paolo, la mata è ancora vincente, lussureggiante e impenetrabile. E in altre zone è risorta, perchè le attività umane sono discontinue e inaffidabili, e la natura lasciata a se stessa sa cosa fare per riprendersi il suo territorio.
Ecco, qualcuno dei misteriosi abitanti di San Paolo mi è diventato un po’ più familiare. Ma è davvero una goccia nel mare della sterminata selva tropicale.

Ricordo che cliccando sulle immagini, queste si aprono in formato 800×600 px in un’altra pagina

Un’aiuola di asfodelo giallo

Asphodelina lutea

Asphodelina lutea
Papaver rhoeas

Fra viale Quadrio e via Mura della Marina, questa zona del centro città è stata protagonista di profonde trasformazioni anche spettacolari, come l’implosione di un vecchio edificio che ospitava la caserma dei pompieri per far posto a un più utile parcheggio. E più giù, verso l’inizio di via delle Grazie e la cosidetta casa del Boia, uno slargo a ridosso delle mura ospita in questo periodo il tanto deprecato mercato degli islamici, che stendono per terra i loro tappetini e espongono in vendita la loro merce, usata e di dubbia provenienza, in barba a leggi e permessi che dovrebbero regolamentare queste attività.
Ora in un’aiuola a bordo strada, forse per caso, sbocciano gli immancabili papaveri, tanto colorati quanto effimeri, e uno sgargiante mazzo di asfodeli gialli, vistosi e vagamente inquietanti come tutti gli asfodeli. In campagna, gli animali erbivori evitano queste piante tossiche e le lasciano stare contribuendo a alla loro diffusione, che è indice di degrado
Ma gli asfodeli sono belli e misteriorsi (ci sono molte perplessità sull’origine stessa del loro nome) e ora in questo pezzetto di città, confuso e disordinato, un’aiuola abbandonata trabocca di primavera.