L’acero del rabbino

Acer pseudoplatanus

Acer pseudoplatanus

L’acero di monte della foto si trova proprio davanti al tempio israelitico o sinagoga di Genova, in via Bertora, una traversa di via Assarotti. L’acero è un albero imponente e aggraziato. Se ha foglie palmate e fiori penduli è quasi certamente Acer pseudoplatanus, detto acero di monte, acero fico o sicomoro (per la descrizione vedi anche 1 maggio 2009). Questa è senza dubbio la stagione in cui da il meglio di sè, con le nuove foglie tenere e brillanti e i grappoli di fiori luminosi; in autunno, le larghe foglie palmate assumeranno colori piacevoli, anche se non così emozionanti come quelli degli aceri americani. La città è ricca di grandi alberi di bosco, alcuni felici, altri un po’ meno, tutti rinvigoriti dalla bella stagione; e in mezzo al verde cupo di pini e lecci, è piacevole scoprire questo fresco colore di primavera. La sinagoga di Genova è un edificio maestoso e severo, abbastanza blindato per comprensibili motivi; ma la pittura sulla facciata e le iscrizioni in alfabeto ebraico la arricchiscono di un vago fascino esotico, addomesticato dall’albero, così domestico, europeo, nostrano.
Salendo oltre la sinagoga, attraverso un breve intrico di scale, si raggiunge velocemente corso Solferino, circonvallazione a monte.

L’ippocastano di piazza Manin – capitolo secondo

Aesculus x carnea

Ippocastano rosa
Aesculus x carnea

In piazza Manin è cominciato il rimboschimento. Al posto del vecchio ippocastano abbattuto (vedi post precedente del 7 febbraio 2015), e anche di altri che evidentemente hanno avuto lo stesso destino, sono stati messi a dimora piccoli ippocastani rosa, varietà assai piacevole alla vista, per lo meno per il tempo che durano i suoi fiori lucenti. Credo si tratti dell’Aesculus x carnea, ibrido fra l’appocastano comune A.hippocastanum e la specie a fiori rossi A.pavia (anche chiamata Pavia rubra). Questi alberelli hanno l’aspetto minuto, il fusto esile, quasi affaticato dal peso del lussureggiante fogliame e dei vistosi coni fiorali. Alla loro ombra acerba, contrasta quella terza età umana che si gode il meritato riposo sulle panchine della piazza.

Aesculus x carnea

Aesculus x carnea

Il vecchio rudere

Platanus acerifolia

Platanus acerifolia

Ci sono ruderi antichi e ruderi vecchi. Questo fatiscente edificio sormontato da impalcature si trova lungo corso Europa, a Genova naturalmente, più o meno opposto alla sede della Rai Liguria, dentro il comprensorio dell’ospedale regionale San Martino. Non ho la minima idea di che cosa fosse nei suoi giorni migliori, ma è senza dubbio uno dei ruderi più “vecchi” che conosca. Della stessa opinione era una passante che mi si è rivolta divertita mentre lo fotografavo: “A caccia di ruderi?” Entrambe ci siamo trovate d’accordo che questo rudere è tale e quale da almeno 50 anni. Veramente io ero a caccia di alberi che sovrastano i ruderi. Come questo platano che da sempre allieta la carcassa di questa costruzione. Un albero per cui ho sempre provato una gran simpatia, e persino ammirazione. Lui e la casa distrutta, insieme all’imponente ciminiera che li sovrasta. Dei tre elementi certamente è il più utile, il più puro, il più bello.

Platanus acerifolia

Platanus acerifolia

… cliccate sulle fotografie per vederle in formato intero, l’immagine si apre in un’altra scheda …

Villa Posalunga

Villa Posalunga

Il glicine di Villa Posalunga

Almeno in primavera ritorna grande, con la fioritura del glicine che le restituisce un briciolo della perduta nobiltà. Villa Posalunga fu dimora secondaria del giovane Giuseppe Mazzini, la sua casa di campagna si direbbe. Ora giace abbandonata e in rovina sotto il viadotto dell’autostrada Genova-Livorno, in via Cadighiara 36 – 38, la strada che attraversa la valle Sturla verso San Desiderio e Bavari. E’ stata scuola materna e elementare, poi abbandonata al degrado, invisibile e irriconoscibile, lungo l’angusta salita fiancheggiata da casermoni di cemento. Il nome si legge appena sulle colonne portanti del cancello, la facciata lascia immaginare decori, forse uno stemma, e una targa, purtroppo ormai completamente scolorita. Eppure, pur senza saperne nulla, avevo intuito che quella casa antica, alta e nascosta, costudiva una storia segreta. Leggo che dovrebbe essere convertita in alloggi sociali, dati in affitto agevolato; ma i lavori che, a quanto si dice, dovrebbero essere partiti nel 2014, non sembra siano progrediti in modo evidente.

Invece prospera la grande Wisteria sinensis, il lussureggiante glicine in fiore, che la adorna come un manto regale e si allunga in ogni anfratto, splendido ed esuberante, a medicarle le ferite.

Villa Posalunga

Villa Posalunga – febbraio 2015

Villa Posalunga

Villa Posalunga – aprile 2015

Mandorlo a Borgoratti

Mandorlo

Prunus dulcis

Il mandorlo è il primo a fiorire. Degli alberi da frutto, intendo. I mandorli fioriscono quando ancora non ci siamo accorti che sta per arrivare la primavera, non ci stiamo pensando proprio. Il mandorlo di questo terrazzino non è da meno. L’avevo ricordato, insieme ad altri, già in questa pagina, e poi il giorno di San Valentino, 14 febbraio 2009. Proprio qui, ferma al semaforo di via Cadighiara, sorveglio il mandorlo che si sveglia, su una stretta fascia, sotto una casa appesa sul pendio. Immerso nell’ombra, è un piccolo albero da nulla capace di esplosioni straordinarie.

La mandorla è uno dei primi frutti ‘addomesticati’ dall’uomo. Quella primitiva è molto velenosa, perchè contiene un discreta quantità di amigdalina, una specie di cianuro. Ma a poco a poco, forse osservando gli animali o forse dopo ripetuti errori fatali, ne è stato selezionata una varietà dolce, a basso contenuto di amigdalina, commestibile e delicata, dal gusto raffinato. Non è al sapore delle mandorle che penso quando contemplo il miracolo di quei fiori bianco rosati che sbocciano quando è ancora inverno. Mi piacerebbe che durassero di più, forse penso, ed ho fretta di vederli sul mio ciliegio.

L’ippocastano di piazza Manin

Ippocastani (Aesculus hippocastanum)

Ippocastani in piazza Manin
(Aesculus hippocastanum)

Genova, piazza Manin angolo con via Assarotti. Un imponente albero di ippocastano allunga i suoi rami verso un elegante palazzo d’epoca (clicca per ingrandire). In tutte le stagioni, lo orna e impreziosisce con i suoi colori. In tutte le stagioni io pensavo: ecco un albero da fotografare. Il verde intenso delle larghe foglie a ventaglio contro l’azzurro del cielo primaverile. I perfetti coni di fiori che sembrano merletti. Le foglie stanche, accartocciate, cariche dei colori dell’autunno. E infine i rami, alti e spogli, eretti contro il grigio dell’inverno. Sullo sfondo, il palazzo, splendida inquadratura.

Aesculus hippocastanum

Troppo tardi. L’albero non c’è più e ne è rimasto soltanto un corto moncone. Forse era malato (ma sani sembrano i suoi primi vicini). Forse appariva un pericolo così alto e maestoso sul bordo dell’incrocio. Forse, semplicemente, i suoi rami esuberanti e frondosi si erano avvicinati troppo all’intimità di qualche ricca signora. Non so, ma ci sono rimasta male.
A quel che resta dell’albero, dedico questi bellissimi versi di Primo Levi (già pubblicati in questa pagina)

Il mio vicino di casa è robusto.
E’ un ippocastano di Corso Re Umberto
Ha la mia età, ma non la dimostra
Alberga passeri e merli, e non ha vergogna,
in aprile, di spingere gemme e foglie.
Fiori fragili a maggio,
a settembre ricci dalle spine innocue
Con dentro lucide castagne tanniche.
E’ un impostore, ma ingenuo: vuol farsi credere
emulo del suo bravo fratello di montagna
signore di frutti dolci e di funghi preziosi.
Non vive bene. Gli calpestano le radici
i tram numero otto e diciannove,
ogni cinque minuti, ne rimane intronato.
E cresce storto, come se volesse andarsene.
Anno per anno succhia lenti veleni
dal sottosuolo saturo di metano
E’ abbeverato d’orina di cani.
Le rughe del suo sughero sono intasate
dalla polvere settica dei viali.
Sotto la scorza pendono crisalidi
morte che non diverranno mai farfalle.
Eppure nel suo torbido cuore di legno
sente e gode il tornare delle stagioni.

Qui sotto altre immagini di fratelli ippocastani di città
Aesculus hippocastanumAesculus hippocastanumAesculus hippocastanum

per le descrizioni, altri link sui miei blog
19 aprile 2009
10 dicembre 2008
19 maggio 2010

Gennaio

Gennaio:l'olivo e l'orniello

Olea europea
Fraxinus ornus

E’ cominciato un nuovo anno, almeno così si usa dire. Il primo giorno di gennaio, una breve passeggiata lungo il percorso dell’acquedotto storico genovese fra roverelle, carpini e ornielli ormai spogli e argentei olivi.

Il tempo delle mele

Malus domestica

Malus domestica

San Cosimo di Struppa

San Cosimo di Struppa

In un novembre passato, un po’ meno fradicio di quello di oggi, un altro generosissimo melo non risparmia  i suoi frutti. Molti cadranno, abbandonati per terra, perduti per il nostro palato e la nostra fame, ma non sprecati per la pianta, non per i vermetti che in tanti che se ne saranno nutriti, alla terra che accoglierà i loro semi. Bello piccolo melo di periferia, lungo una crosa di collina, a San Cosimo di Struppa.

L’evonimo e le ville di Fontanegli

Euonymus europeus

Euonymus europeus

Fontanegli è una piccola frazione del comune di Genova abbarbicata sulla collina. Un gruppo di case vecchiotte, fra cui la mia, circondano la chiesa di San Pietro e l’oratorio di San Giacinto. Ci sono anche tre antiche ville nobiliari che risalgono al XVI e XVII secolo ed erano le residenze estive di famiglie nobili che durante l’anno risiedevano nei palazzi di città.
La villa più alta e anche quella più in alto di tutte, villa Raggi, si trova a due passi dalla chiesa parrocchiale ed è stata ristrutturata nel 1994, con modifiche profonde dell’interno per ricavarne più appartamenti. Quella più in basso, più a valle delle tre, è la più nascosta, ed è la storica villa Thellung, dove si narra Goffredo Mameli compose il suo inno.
A metà costa, poco sotto la chiesa  scendendo per salita superiore alla Chiesa di Fontanegli e per la carrozzabile via Giovanni da Verrazzano, ecco villa Ferretto, la più vasta di tutte. Attualmente è una casa di riposo per anziani, ma nel 1500 era una residenza privata. Di proprietà delle suore domenicane, fu convento, asilo, collegio e scuola. La villa possiede una cappella dove veniva celebrata privatamente la messa, ed è proprio questa cappella che appare in questa foto, dietro ai tranci secchi dell’evonimo, ornati di bacche rosa scuro. Ho visto questa cappella aperta solo in occasione delle cerimonie funebri per qualche ospite della casa di riposo, una porta aperta invece del portone mezzo chiuso che usava nei palazzi ai tempi della mia infanzia per testimoniare il lutto del condominio.

Euonymus europeus

Euonymus europeus


Pianta singolare, selvatica e raffinata, l’evonimo, con le sue bacche, velenose, a quattro scomparti come il berretto dei preti (da cui il suo secondo nome), con il suo legno duro e particolare con cui si fabbricavano i fusi per filare la lana (da cui il suo terzo nome, fusaggine).

Le notizie sulle ville le ho lette su un cartello illustrativo che si trova a Bavari all’inizio della discesa di via San Colombano, scritto a cura dagli alunni della scuola elementare di Fontanegli anni scolastici 2000, 2001 e 2002. Ho fatto bene a fotografarlo e ricopiarlo per bene perchè la pioggia lo ha ormai completamente cancellato, e non so neppure se esiste ancora la scuola elementare.

Altri post sull’evonimo:
fiori dell’evonimo
12 agosto 2008
31 dicembre 2009

Alberi a Washington

Washington - The white house

Washington  –  The white house

La grande città di Washington, bella, per chi ama le città. I viali, ampi, le aiuole, comode, gli alberi, maestosi. Coloratissimi d’autunno, si può provare a indovinarli , da lontano; in giallo sono i ginkgo, in rosso vivo le querce, e gli aceri.

Il ginkgo (Ginkgo biloba)è un albero antichissimo, dalla storia leggendaria e affascinante. Spontaneo in certe regioni dell’Estremo Oriente, ove si racconta sia stato salvato dall’estinzione dagli instancabili monaci buddisti, è oggi largamente usato in Occidente a scopo ornamentale.Si classifica come conifera,  o meglio gimnosperma, letteralmente ‘dal seme nudo’, perché i suoi semi non sono racchiusi nell’ovario.

Ginkgo biloba

Ginkgo biloba

E’ l’unico sopravvissuto della famiglia delle Ginkgoaceae che, come testimoniano i resti fossili, erano molto diffuse 150-200 milioni di anni fa ed appartenevano a un ordine ancora più antico delle conifere. Per questo a volte  viene chiamato ‘fossile vivente’. Ha foglie decidue, disposte a grappolo, di forma molto caratteristica, a volte profondamente incise (da cui l’aggettivo biloba), che prima di arrendersi all’inverno si colorano di giallo canarino. Nella bella stagione, cresce delle bacche voluminose che ricordano grosse prugne dal lungo picciolo, anche se non sono propriamente frutti (assenti nelle gimnosperme), ma piuttosto involucri carnosi che ricoprono i semi. Emanano un odore abbastanza sgradevole, ma l’interno, semi compresi, è commestibile e ricco di sostanze di interesse farmacologico, i ginkgolidi.

Acer rubrum

Acer rubrum

Gli aceri americani sono famosi per i colori, e per lo sciroppo, che si ricava dalla linfa primaverile. La pianta che ne produce di più è l’acero del Canadà (Acer saccharum), la cui foglia appare appunto sulla bandiera canadese. Ma lo zucchero si ricava anche dalla linfa dell’acero rosso (Acer rubrum), che si incontra sovente per le strade di Washington, insieme all’Acer pensylvanicum, acero della Pensilvania. L’acero rosso si chiama così non tanto a causa del colore del fogliame autunnale, ma perchè dello stesso colore rosso sono i fiori, e le samare, le ali dei semi.

Acer pensylvanicum

Acer pensylvanicum

L’acero della Pensilvania viene anche detto acero striato perché la sua corteccia è cosparsa di sottili nervature, come la pelle di un serpente. Questa caratteristica che può aiutare ad identificarlo non si vede però in questa fotografia. Si vedono solo le foglie, rosso arancio, che spiccano con stridente contrasto contro la gelida vetrata azzurrata di un grattacielo.

Sono belli gli alberi di Washington, e sembrano quasi felici. Soprattutto nei piccoli giardini, crescono vasti e liberi. Non ho visto malattie evidenti, anche se certo la sofferenza esiste anche per loro. La città non è proprio un luogo a misura d’albero, anche se l’albero può adattarvisi, se non è violentato da potature troppo violente che lo umiliano e lo indeboliscono.

Per i vecchi post degli alberi di Washington (che ho riproposto in parte oggi) vedi
26 e 27 novembre 2008
17 novembre 2009