Liriodendro o albero dei tulipani

Liriodendron tulipifera
parco di Villa Serra Comago
Serrà Riccò (Genova)
gennaio 2009

Il liriodendro, o albero dei tulipani, nome che gli deriva dalla forma dei fiori, è una pianta originaria del Nord america. Gli indigeni (indiani d’America) lo chiamavano l’albero canoa perchè i tronchi massicci venivano utilizzati tutti interi per costruire le canoe. E’ un albero di una bellezza esagerata, e questa volta parlo sul serio, non soltanto in ragione del mio amore per il mondo vegetale. Si tratta di bellezza reale, quella stessa che si trova sul volto di una donna, e a volte anche di un uomo, che non possiede espressione che non sia attraente. Il liriodendro ha un portamento regale, con un tronco diritto e una chioma folta e regolare, foglie dalla forma aggraziata, morbidamente quadrangolari, verde tenero nella bella stagione e di affascinanti colori dal giallo all’arancione in autunno.

Liriodendron tulipifera
parco Burcina (Biella)
maggio 2011

I fiori, come quasi sempre nella famiglia delle magnolie, sono assai appariscenti, a sei petali giallo verdi solcati da nervature viola e arancio. E d’inverno, quando ormai si è spogliato di quasi tutte le sue attrattive, restano sui rami i calici dei fiori, rigidi ed essiccati, teatrali, spiccano come stelle o gioielli.
L’albero della fotografia in alto si trova nel parco storico di Villa Serra a Comago, in val Polcevera, nelle vicinanze di Genova.
I liriodendri sono molto comuni come specie ornamentale nei viali e parchi cittadini, come si vede in un’immagine di qualche anno fa, via Felice Cavallotti, zona Foce di Genova in questa pagina.
Ripropongo ancora questo post da un’idea del 4 gennaio 2009.

Dell’olivo e l’orniello

Gennaio . l'olivo e l'orniello

Olea europea-
Fraxinus ornus

E’ nuovamente gennaio e, fra incertezze e speranza, comincia un nuovo anno, almeno così si usa dire. Oggi è una giornata grigia e nebbiosa, nonostante l’alta pressione. Con un fenomeno bizzarro, e vagamente inquietante, l’anticiclone subtropicale riscalda l’aria in quota, ma l’aria fredda, più pesante, si accumula nel fondovalle immerso nell’umidità nebbiosa.

roverella

Quercus pubescens

Limpido e terso invece era il cielo nei primi giorni di gennaio del 2015,  quando ho scattato questa fotografia, durante una breve passeggiata lungo il percorso dell’acquedotto storico genovese. Spogli sono gli ornielli e le roverelle, mentre brillano argentate al sole le foglie degli olivi sempreverdi. La ricchezza del paesaggio mediterraneo è anche questo, la coesistenza serena di essenze così diverse, quelle che si difendono dal freddo liberandosi delle foglie e quelle che scommettono nell’inverno mite e le foglie se le tengono strette.
Diversi anni fa avevo creato una piccola animazione(che si può vedere cliccando sull’immagine qui sotto), che mostra come un albero, un carpino bianco che si trovava in un giardino sotto casa mia, muta nel corso di un anno, da verde a giallo e poi spoglio e poi di nuovo verde.

Carpinus betulus
viale Bernabò Brea

Quando mostrai il mio piccolo lavoro alla mia amica Cheryl, che abita in Suriname, la cosiddetta Guyana olandese, poco a Nord dell’equatore, lei si mostrò molto perplessa. Dalle sue parti non esistono alberi che perdono le foglie d’inverno, forse perché da quelle parti non esiste l’inverno. Ma i suoi dubbi non riguardavano il fatto che gli alberi perdessero le foglie.  Mi disse invece che le mie immagini erano certamente ritoccate, perché si vedevano altri alberi che non cambiavano aspetto per niente.  Evidentemente lei era convinta che alle nostre latitudini tutti gli alberi perdano le foglie, o meglio che non è possibile che esistano nelle stesso giardino alberi spoglianti e alberi sempreverdi. Le ho spiegato naturalmente come stanno le cose, ma non sono veramente sicura di averla convinta, cioè di aver fugato ogni suo dubbio sul fatto che io avessi creato le immagini della sequenza in qualche modo fittizio. La serena coesistenza di piante dalle esigenze così diverse non pare così scontata neppure a me e mi sembra quasi un indizio di una precisa vulnerabilità del nostro ambiente naturale, dopo convive chi ha bisogno del freddo invernale e chi un po’ lo teme. Così gli inverni molto rigidi rappresentano una seria minaccia per gli olivi e gli agrumi, ma gli inverni troppo miti, queste temperature primaverili anche in gennaio, complicano la vita agli alberi dei boschi decidui. Comunque vada, sembra inevitabile che a lungo andare le bizzarrie del clima modifichino in modo irreversibile il verde che circonda.

Quando fiorisce la mimosa

 

Mimosa in val Bisagno

Acacia dealbata
val Bisagno

Non è certo una pianta originale, ma passa inosservata per la maggior parte dell’anno, finchè, fra gennaio e marzo, le sue nuvole gialle esplodono ad ogni angolo di strada. Febbraio è sempre stata la sua stagione. Qui sul bordo del Mediterraneo, molto prima di primavera, appar dovunque la mimosa effimera(1).

Ci sorprende quanto ne abbiamo bisogno, proprio adesso, di questo colore caldo, spesso, dolciastro. In quest’inverno fradicio e nebbioso, sono sempre i fiori a salvarci.

Mimosa in via San Vincenzo

Acacia dealbata
via San Vincenzo

Si incontra dappertutto, nella crosa che corre alta sulla val Bisagno, sopra il cimitero di Staglieno, come nel campo Rom della val Polcevera, e poi di fronte all’arco di ingresso di una corte nella centrale via San Vincenzo. Pronto a sbocciare perfino un gracile alberello,  alloggiato in una giara di coccio, sul retro di un palazzo di edilizia popolare. Effimera, ma resiliente, già poco dopo Natale, i rami verdolini cominciavano ad impallidire verso il paglierino. Sopporta grandine e vento, talvolta anche la neve, e il suo colore brilla.

Mimosa

Acacia dealbata

Spesso viene accusata di essere arrivata troppo presto, di essere, con la sua fioritura anticipata, uno scherzo del clima impazzito. Ma a torto, perchè non è vero. Da gennaio fiorirà fino a marzo per poi andarsene, in sordina, tornarsene in un anonimo letargo per dieci lunghi mesi. Oggi è il suo tempo e il suo colore è oro.

(1)Vincenzo Cardarelli ‘Liguria

Bagolari

Li conosciamo come grandi alberi dal fusto diritto e la corteccia liscia, così come appaiono in filari maestosi sulle mura di Lucca (7 settembre 2009) e infinite volte fotografati, rigogliosi o barbaramente mutilati, verdi e folti o colorati d’autunno, anche loro abitanti della città in tutte le stagioni.

Celtis australis

Celtis australis a villa Croce

Un piccolo virgulto è cresciuto vicino alla grata di una cantina, nella nobile villa Croce, che fu donata, con l’annesso giardino, da Andrea Croce nel 1951 alla città di Genova perchè ospitasse un museo, oggi il museo di arte contemporanea. Il piccolo rametto si allunga, illudendosi forse di raggiungere i giganti che lo sovrastano, il maestoso canforo e gli aerei pini domestici. O forse non si illude affatto, esiste e basta, piccolo o grande che sia. Senza presunzione e aspettative, per lui la vita è semplicemente esserci, respirare, o meglio convertire nel sole anidride carbonica in ossigeno.

Celtis australis

Celtis australis sul greto del Bisagno

Celtis australis

Celtis australis sul greto del Bisagno

Il bagolaro è  specie frugale e pioniera, che ha meritato addirittura il nome di spaccasassi, e non serve spiegare perchè. Più divertente è pensare che Linneo lo chiamò australis e non perchè provenga all’altro emisfero, ma soltanto perchè abitava le regioni del sud. Il nome comune invece deriva dalle sue bacche, piccole drupe gialline che virano al nero.
Eccole quasi mature su questo esemplare che cresce  nel greto del torrente Bisagno, già appetibili per gli uccellini di passaggio. Il greto è ancora piuttosto asciutto, anche se la minaccia delle sue piene già incombe, e l’albero allunga nel sole le sue lucide, libere fronde. Finalmente un bagolaro felice.

 

L’altra strada di casa

La strada da casa a Genova Prato è una ripida discesa di qualche chilometro su un dislivello di circa 200 metri. Cammino sulla via asfaltata, dedicata a San Colombano, il leggendario vescovo paleocristiano di Bobbio.

altra strada di casa Allium ampeloprasum

Allium ampeloprasum  ( A. polyanthum)

Sul ciglio della carreggiata è fiorito un porraccio (Allium ampeloprasum(1)). Le sue ingombranti teste rosate dondolano al vento, mentre cimici nere e gialle lo pascolano instancabili. Il porraccio è pianta commestibile, come tutto il genere Allium, si può raccogliere tutto l’anno, tranne che d’estate e se ne consuma la pianta intera sia cruda in insalata che cotta. Sconsiglio gli esemplari che crescono troppo vicini agli scappamenti delle auto.

Jasminum officinale

Jasminum officinale

Dall’altra parte della strada, nel canneto di Arundo donax, spunta un gelsomino, uno di quelli veri (Jasminum officinalis, 18 maggio 2009). Ormai sono rari, quasi preziosi, soppiantati dal sosia asiatico, Trachelospermum jasminoides, a foglia coriacea sempreverde, con la sua prorompente e inebriante fioritura (vedi 13 giugno 2009). Il gelsomino, quello vero, mi ricorda l’infanzia, quando cresceva rigoglioso lungo una scaletta di campagna, delicato, con una fioritura meno aggressiva e un profumo gentile. Che nostalgia.

Viburnum odoratissimum

Nei pressi della chiesa di San Pietro di Fontanegli, nel giardino dove d’estate si radunano i soci SOMS per raviolate e tombole, scopro un arbusto che non avevo mai notato e mi sorprende per le foglie robuste e lucide, ancora inumidite dal violento acquazzone di questa notte. E’ un viburno (Viburnum odoratissimum), ma ormai è tardi per verificare se il suo attributo specifico sia ben meritato. I fiori, forse odorosissimi, sono ormai sfioriti per lasciar posto a grappoli di bacche, verdi, poi rosse, e infine nere.
Questa volta nella discesa evito la parte più scoscesa della creuza, via alla Chiesa di Fontanegli, che dopo la pioggia è insidiosamente scivolosa. Scelgo la strada lunga, via Giovanni da Verrazzano, esploratore del 15° secolo.

Centaurea calcitrapa

Di fronte alla scuola materna, nei pressi della villa Ferretto, cresce in mezzo alle cancellate arrugunite una pianta spinosissima, coperta di rustici fiori. E’ la calcatreppola stellata, ovvero Centaurea calcitrapa, un fiordaliso molto spinoso, il cui nome significa qualche cosa come ‘trappola per il calcagno’, perchè le lunghe spine del capolino possono ferire le zampe o i piedi di chi la calpesta.

Da queste parti, al confine fra città e campagna, ogni fazzoletto di terra può diventare un orto casalingo. Proprio sull’orlo della strada, fra un nespolo del Giappone e un campetto di ortaggi, un buffo spaventapasseri difende il raccolto; ma forse è stato costruito più per divertire i bambini più che per scacciare gli uccelli.

Solanum tuberosum

Bisagno

 

Lungo la discesa più ripida, che avevo già mostrato in un post di tanti anni fa, accanto a costruzioni anonime, con curati e freddi giardini all’inglese, ecco una casupola con l’aria familiare di cascina, e davanti un rigoglioso campo di patate. Il cane avvisa la padrona che, come al solito, si informa preoccupata di perchè stia fotografando la sua casa.
“Perchè sa, di questi tempi, se ne sentono tante. ..”
No, non so. Ma penso sia tutta colpa della D90, un cellulare avrebbe dato meno nell’occhio.

Ed eccomi a fondo valle, dove scorre il torrente Bisagno, ingrossato dalle piogge, ma sempre molto molto diverso da un vero fiume. Sulle sponde, dragate e pulite alla bell’e meglio, crescono salici e pioppi e fiorisce lo sparzio.

E io sono arrivata in città.

(1)Secondo altri autori, questa specie sarebbe Allium polyanthum, mentre il vero Allium ampeloprasum sarebbe presente in Italia solo in Emilia Romagna e Lombardia come alloctona casuale o naturalizzata. Le due specie sono molto simili e l’attribuzione è controversav. Vedi scheda IPFI di actaplantarum.

Robinie rosa al mercato

Robinia rosa

Robinia rosa a Terralba

L’arredo urbano è sempre alla ricerca di varietà originali e generose, di bella presenza e poche pretese. Lungo i marciapiedi cittadini non si troveranno mai rarità da vivaio, piuttosto specialità selezionate per resistenza e spavalderia, nobili e fiere bellezze da strada.
In questa stagione vicino al mercato coperto di piazza Terralba, nel quartiere di San Fruttuoso a Genova, fioriscono le robine rosa. Le ho fotografate diverse volte nelle primavere passate, come nel caso della foto postata nel vecchio blog il 5 maggio 2010. Le ho ritrovate in aprile del 2016, di nuovo durante una giornata grigia, di fronte allo stesso mercato. Quest’anno, più o meno confinata in casa, non frequento il mercato dall’inizio di marzo; ma gli alberi, a differenza degli uomini, non tradiscono le stagioni e sono certa che siano di nuovo fiorite.

Questi alberelli sono diversi dalle solite robinie, quelle che tutti chiamano acacie (24 aprile 2009). I rami non sono spinosi e per qualche settimana all’anno portano grappoli di fiori papilionacei, intensi e lussureggianti, di un rosa appena più delicato di quello degli alberi di Giuda (Cercis siliquaster), ma non per questo meno sfacciato. Secondo questo sito, si tratterebbe della varietà di Robinia pseudoacacia denominata “Casque Rouge”, niente spine, fiori rosso-lilla, stesse esigenze, ovvero stessa assenza di esigenze, colturali.  Robinia rosa
Esistono tuttavia anche due specie di Robinia dai fiori rosa, R. hispida e R. neomexicana, ovviamente originarie del Nord America e importate in Europa come ornamentali. Tutte e due queste specie, dallo stesso carattere adattabile e breve fioritura, sono presenti anche spontaineizzate, come alloctone casuali o naturalizzate, in varie regioni della penisola, anche se non in Liguria.
Così non ho certezze su come  chiamare le mie piccole Robinie da mercato, ma spero di reincontrarle ancora, in qualche futura primavera di libertà.

L’Amelanchier, quest’anno

Amelanchier

Amelanchier canadensis
28 marzo 2020

 

Ma la primavera quest’anno è davvero in anticipo? Sembrava proprio di sì, dopo un inverno quasi inesistente, e un caldo febbraio. Marzo, poi, quasi non l’abbiamo vissuto e chissà che ne è stato della primavera…

Non è ancora pronto il piccolo Amelanchierpero corvino che un anno fa era già riccamente fiorito e oggi mostra solo grappolini di boccioli, seminascosti ancora fra le foglie.

Amelanchier canadensis
30 marzo 2019

 

No, la primavera non è in anticipo. Così pensavamo certo fino a qualche giorno fa, ma poi si è alzato un vento gelido e teso che ha portato la neve sulle colline. Così per qualche giorno starcene tutti chiusi in casa come marmotte in letargo non sembrava neppure una cattiva idea.

Oggi la primavera è tornata, ma niente da fare, quest’anno si sta a casa. Niente gitarelle per borghi, per scoprire le prime fioriture fra campagna e città. E occhieggiare nei giardini piccoli e grandi per rubare colori e idee. Niente scampagnate nei prati e fiere di stagione per incontrare e conoscere nuove piante. Quest’anno si sta a casa, anche se è primavera e il giardino lo sa. Il giardino è pieno di fiori, e anche l’Amelanchier non si farà attendere. Sono stupita però che quest’anno sia così in ritardo …

Acero da cortile

Acero palmatoAcero palmato
L’acero palmato, come tutti i suoi simili aceri giapponesi, è una pianta ornamentale decidua. Al centro di una piccola aiuola nel cortile di ingresso di un palazzo, siamo nella centrale via San Gaudenzio a Novara, in questa tersa e silenziosa giornata di gennaio, così spoglio e solo, sembra un animale sperduto, capitato per caso in un luogo inospitale.

San Gaudenzio

La cupola antonelliana di San Gaudenzio a Novara

Lo vedi e pensi, che ci fa questo cespuglietto nudo, su questo improbabile fazzoletto di terriccio, fra pietre, cemento e auto, che si intrufolano con prepotenza fino alla soglia di casa? Sarà stato, in un’altra stagione, verde di teneri germogli, con quelle foglie ritagliate come merletti, via via sempre più sfumate di colori inverosimili, quando l’estate brucia, ma l’autunno incombe, e  finalmente prepotentemente rosse, vittoriose sul grigiore dell’inverno (vedi 9 dicembre 2008). Poi via, con una folata, l’albero è solo, ridotto a un mazzetto di rami sottili e trasparenti. Ma la sua anima è salda.

Così sono gli alberi della città, tenaci e sparuti, fieri e vulnerabili, nobili nella loro unicità.

Le stagioni in città

Stagioni - Rosa d'inverno

Rosa d’inverno

Un recente articolo sul blog di Scientific American invita il lettore a “trovare sollievo dall’ansia climatica ristabilendo il contatto col ritmo delle stagioni” (To Ease Climate Anxiety, Reconnect with the Rhythms of the Seasons). Come attività terapeutica, l’autrice suggerisce di annotare giorno per giorno quanto succede alle piante, e animali, che ci circondano nel corso dell’anno. In fondo è proprio quello che cerco di fare io con i miei blog, descrivere l’ambiente in accordo con le stagioni. Da più di dieci anni, conservo così una memoria metereologica dei periodi di pioggia, gelo, neve, siccità e calura. Per esempio mi ricordo che il 2009 fu un anno molto freddo, cominciato con un’abbondante nevicata il 6 gennaio e terminato con il gelicidio del 21 dicembre, che uccise le mie piante di arancio e gli agapanti. E l’inverno del 2012, caldo e primaverile fino ai primi giorni di febbraio, sferrò poi un micidiale colpo di coda con gelate profonde durate più di tre settimane.

Stagioni - gelicidio

Citrus × aurantium
(gelicidio)

Nocciolo

Amenti di nocciolo
Corylus avellana

Non possiamo ancora sapere che cosa ci riservi quest’anno l’inverno, che per ora si sta presentando davvero troppo mite, costringendoci a cambiare qualcuna delle nostre abitudini. Anche l’autrice dell’articolo a un certo punto si premura di precisare che naturalmente ‘osservare le piante del nostro giardinetto non servirà a scongiurare i cambiamenti climatici’.
Però le stagioni ancora mutano e anche se il fisico a suo modo lo avverte, non è facile averne una piena consapevolezza.  Sono sempre sorpresa di come molta gente di città ostenti tanta preoccupazione per le ‘stagioni stravolte’ e il clima impazzito, con la stessa spavalderia con cui pretende di trovare in vendita melanzane fresche a gennaio e con cui spegne il riscaldamento e accende il condizionatore, così che la temperatura della sua vita non vari mai neppure di una frazione di grado.

In questa pagina mostravo le stagioni di un albero, un carpino bianco (Carpinus betulus) nei giardini di via Bernabò Brea. Quando proposi questa pagina a un’amica di penna che vive in Suriname, Guyana olandese, piccolo paese del Sud America situato poco a Nord dell’equatore, lei mi disse che non ci credeva, che era un trucco, perchè solo l’albero al centro dell’immagine mutava aspetto, mentre gli alberi vicini rimanevano sempre uguali. Compresi così che lei ignorava che esistono alberi che si spogliano e alberi sempreverdi, ma viceversa era genuinamente convinta che alle nostre latitudini tutti gli alberi perdessero le foglie. Un simile, benchè opposto, pregiudizio mi sono trovata a contestare a un amico russo che un giorno mi scrisse: “l’Italia è bellissima, ma io e i miei bambini preferiamo le stagioni che mutano e non saremmo veramente felici nella vostra perenne estate.” Naturalmente gli spiegai che anche in Italia le stagioni si alternano e il clima cambia, almeno un po’, ma non so quanto l’abbia persuaso.

Nocciolo

Amenti di nocciolo
Corylus avellana

In un certo senso, il clima è una specie di abitudine, una convenzione di comportamento. Ed è doloroso quando le abitudini vengono stravolte, non per nostra scelta, ma per una forza maggiore, fuori di noi e nostra nemica. Questo rappresentano nella nostra minuta esistenza i cambiamenti climatici, piogge più torrenziali (ma c’erano anche prima), calura più opprimente (ma quanti l’hanno tollerata per secoli) e molti più parassiti (e occorrerebbe imparare a conviverci senza avvelenarci a vicenda).
Per ora contemplo quest’inverno luminoso, dai colori brillanti e l’aria tersa, le forme pulite e qualche fiore, sperduto, ma temerario.

L’ascensore di Castelletto

Ascensore

L’ascensore liberty di spianata Castelletto (edificato 1909)

“Quando mi sarò deciso
d’andarci in paradiso
ci andrò con l’ascensore
di Castelletto…”

E’ diventato famoso anche per questi versi di Giorgio Caproni l’ascensore liberty che collega la centrale piazza Portello con la spianata di Castelletto e ha festeggiato i cento anni nell’autunno 2009. L’impianto originale, una colonna interamente di vetro, l’ha perduto sotto i bombardamenti della  guerra, ma l’aspetto della stazione di arrivo, anche grazie alla recente ristrutturazione, è ancora quello dei suoi anni migliori.

Ogni volta che lo rivedo è come incontrare un vecchio amico. Da ragazzina, era il mio principale mezzo di trasporto, che mi collegava velocemente al centro della città, e mai gli avrei attribuito doti estetiche nè di attrazione turistica. D’altra parte, in quegli anni Genova di turistico aveva ben poco.

Fino alla metà del 19° secolo, su questo piccolo sperone che sovrasta il centro storico si trovava una fortezza, da cui il nome Castelletto, che fu distrutta nel 1849, spianata appunto, guadagnando alla città uno spettacolare punto panoramico. La vista spazia dall’arco delle montagne di ponente, alla Lanterna, fino all’estremo levante, il monte Fasce. Ma poi si ferma sulla città antica, con i sui tetti grigi, le linee eleganti e contorte, più avanti, verso un groviglio di costruzioni vecchie e nuove, accatastate in una breve striscia di terra. Appena poco oltre finisce tutto, in una mobile distesa di acqua azzurra.

Cipresso nano

Cipresso nano

vite americana

Parthenocissus tricuspidata

Il belvedere è dominato da solidi alberi mediterranei che temono il freddo, ma hanno imparato a tollerare il vento. Pini domestici soprattutto, come quelli incontrati recentemente in un altro punto della circonvallazione.  Poco sotto il muretto vicino all’ascensore, dietro gli storici palazzi dei Rolli di via Garibaldi, gli uffici del comune di Genova sono alloggiati in edifici più recenti sovrastati da giardini pensili. Qui piccoli cipressi nani crescono storti, come volessero prendere il volo.
L’autunno regala i suoi colori al vecchio intonaco, decorato di arancio e rubino dalle foglie della vite americana, Parthenocissus tricuspidata, che già avevo mostrato il 27 novembre 2009.