Crassula ovata

crassula portulacea
Fiorisce d’inverno questa succulenta dalle foglie rotondeggianti. Può diventare piuttosto imponente e ramificata, e le foglie carnosette sono rossicce ai margini. Nonostante il nome (crassula portulacea o ovata sono sinonimi) ha poco a che fare con la portulacaria afra, che ha foglie più piccole e appartiene addirittura a una diversa famiglia.

Ecco che cosa mi suggerisce Federica, un’esperta di succulente nel forum di giardinaggio.it per aiutarla a fiorire

Questa pianta deve stare all’aperto in pieno sole finché la temperatura lo consente. Si ritira in casa il più tardi possibile, quando il temometro scende a 7- 5 gradi, quando le foglie cominciano a schiarire, a colorarsi per il freddo, quello è il momento…. In casa poi ha bisogno di molta luce, poca acqua, solo quando la terra è asciutta. Va collocata a circa 1 m dalla finestra. Verso metà novembre compaiono i boccioli e per Natale è fiorita.

Fiorellini di buon augurio nel pieno della brutta stagione.
Fotografata sul davanzale di una casa a Nervi (Genova), gennaio 2011.

Asparagina

asparagus Sprengeri
Ho scelto il nome asparagina per quest’umile pianta flessuosa, perchè proprio così la chiamano gli amanti delle piante in vaso e in giardino. Mi pare un nome gentile per un asparago, anche se, ad essere pignoli, asparagina sarebbe il nome di un aminoacido, ovvero di uno di quei venti composti chimici che formano le proteine.
L’ho vista comparire, pendente da un muraglione di un bel giardino a Nervi (Genova), carica di bacche verdi e rosse, e mi ha fatto venire in mente qualcosa, qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco. Mi ha fatto venire in mente gli asparagi che si trovano nella macchia mediterranea d’estate, cespuglietti spinosi e ramificati, carichi di bacche verdi e nere (Asparagus acutifolius, 20 agosto 2008). Niente a che fare con gli asparagi commestibili, che di una pianta molto simile sono i germogli (chiamati turioni).
Gli asparagi sono singolari esponenti della famiglia delle liliacee, tanto singolari da aver recentemente conquistato una famiglia tutta loro, le asparagaceae (vedi anche A.falcatus, 3 settembre 2010). Nelle piante mature, le foglie sono minuscole e ridotte squamette alla base dei fusti, sostituite per la funzione clorofilliana dai cladodi (rametti trasformati) che si sviluppano nella loro ascella. In questo gli asparagi ricordano altre liliaceae, quelle del genere Ruscus (pungitopo, 1 dicembre 2008 e pungitopo maggiore, 5 gennaio 2010).
La varietà che si vede in questa fotografia è abbastanza ricercata e attraente. I cladodi sono sì appuntiti, ma non così spinosi come negli asparagi selvatici e danno alla pianta giovane e meno giovane l’aspetto di un piumino verde. Sembra tuttavia che la pianta debba essere abbastanza ‘anziana’ per produrre questa profusione di bacche.

Pini

Pinus pinea

Pinus pinea

Pinus halepensis

Pinus halepensis

Data la stagione maligna, scelgo per oggi due campioni sempreverdi, che si difendono con coraggio dalle intemperie (sempre più sferzanti).
Fra i più grandi pini mediterranei, il pino da pinoli e il pino di Aleppo, sono per certi versi simili, eppure molto diversi. Il pino da pinoli è di gran lunga il più comune e per questo chiamato anche pino domestico e ha una caratteristica forma ad ombrello. Il pino d’Aleppo è più raro e di colore più tenue.
Assai bene si distinguono questi due parenti stretti osservando la corteccia. Quella del pino domestico ha larghe scaglie rossicce, più piccole e grige le scaglie di quella del pino d’Aleppo.

Callistemon viminalis

callistemon viminalisSenza fiori si fa notare assai poco. Anche se incuriosisce la disposizione delle bacche, che hanno la forma di specie di pannocchie o pigne e corrono lungo i rami. E’ una robusta pianta australiana molto simile al Callistemon citrinus che ho mostrato il 29 settembre 2008. La differenza fra le due specie mi pare minima, e riguarda forse la forma delle foglie e la posizione dei fiori. Nel C.citrinus, in inglese “crimson bottlebrush” cioè scovolino color cremisi, si trovano all’apice dei rami, mentre nel C.viminalis, “weeping bottlebrush” cioè scovolino piangente, i fiori sono lungo i rami, misti alle lunghe foglie. Quando i piumini fioriti sono ormai spenti e dispersi, rimangono le snelle chiome ricadenti e le vaste infruttescenze, via via sempre più secche.
Si trova anche questo ai parchi di Nervi (Genova), vicino all’entrata del roseto dalla parte della passeggiata a mare.

Oleandro

nerium oleander
L’oleandro è una pianta comune e tutti l’hanno incontrata spesso nei giardinetti e ai bordi delle strade. I suoi splendidi splendidi fiori , rosa, bianco o rosso, e dal profumo intenso sbocciano all’inizio delle estate e caricano di bellezza anche le strade di periferia, come si vede in questa pagina. L’oleandro è una pianta sempreverde che non resiste al gelo prolungato, ma tollera freddo, intemperie e ingiurie molto di più di quello che vorrebbe. Ricordo quello che dice dell’oleandro Isabella Casali di Monticelli, raffinata architetta di giardini, nel suo ‘Nel giardino si incontrano gli dei‘ (Sperling & Kupfer, 2005, pg. 109). Che bisogna capire questa pianta, per imparare a considerarla qualcosa di più di una pianta da autostrada o da parco cittadino trascurato. Soffrire per il povero oleandro metropolitano la cui unica colpa è di essere pianta coriacea dalle foglie persistenti, pianta tenace e spessa, ornamentale ad oltranza. Così inossidabile e tollerante, per difendersi dalla sfruttamento può mettere in campo soltanto la sua tossicità. Come è noto, è una pianta velenosa, anche se i principi attivi che contiene hanno proprietà medicinali, con effetto cardiotonico e ipotensivo.
Naturalmente non è stagione in cui si possa parlare di fiori del’oleandro, che ha già il suo daffare semplicemente a sopravvivere; ma di frutti sì, rossicci e in bella mostra fra le robuste foglie lanceolate. Ai frutti, invece, si fa generalmente poca attenzione, tranne quando, come in questo caso, sono l’unica cosa interessante.

Nebbia

cedrus libani

Castelgandolfo, dicembre 2002


Seltsam, im Nebel zu wandern!
Einsam ist jeder Busch und Stein,
Kein Baum sieht den andern,
Jeder ist allein.

Voll von Freunden war mir die Welt,
Als noch mein Leben licht war;
Nun, da der Nebel fällt,
Ist keiner mehr sichtbar.

Wahrlich, keiner ist weise,
Der nicht das Dunkel kennt,
Das unenntrinnbar und leise
Von allen ihn trennt.

Seltsam, im Nebel zu wandern!
Leben ist Einsamsein.
Kein Mensch kennt den andern,
Jeder ist allein.

Hermann Hesse

E’ strano nella nebbia il cammino! // Ogni arbusto ogni sasso è isolato, // L’albero non conosce il vicino, // Dagli altri è separato.
Piena di amici era la mia vita, // Quando splendeva la luce del giorno; // Ora, la nebbia è infinita, // Ed io non vedo più nessuno intorno.
Non è saggio, veramente, // Chi l’oscurità ignora, // Che scende inesorabilmente // E tutto intorno scolora.
E’ strano nella nebbia il cammino! // Ogni vita è isolata. // L’uomo non conosce il vicino, // Dagli altri è separato.

(traduzione e adattamento di carlafed)

Giusquiamo bianco

hyoscyamus albus
Inseguivo da tempo questa pianta, nel suo ambiente tipicamente mediterraneo e marino, e l’avevo incontrata già varie volte. Senza riconoscerla. La prima volta che ricordo era agosto, l’anno scorso, sulla passeggiata di Nervi (Genova), secca e sfiorita, ma niente affatto appassita, anzi più eretta e altezzosa che mai. Era ancora là, su quello stesso muro, e nelle spoglie aiuole vicine, qualche giorno fa, pallidamente fiorita in pieno inverno, secca e verde insieme. E così finalmente scopro chi è (anche grazie alla conferma dei grandi esperti di actaplantarum) e il mio interesse aumenta. Mi viene in mente che l’avevo fotografata anche a Cagliari, nell’aprile scorso, su una scarpata in mezzo alla città; i fiori giallo crema e le foglie ricche le davano un aspetto differente, tuttavia vagamente familiare (foto in basso a sinistra). Non è una pianta qualsiasi, pur nell’abito dimesso che le conferisce l’inverno, possiede un fascino semplice ed arcano e non può passare inosservata. E’ bello ritrovare in un luogo ‘quasi urbano’ come questa via di cemento che corre lungo la scogliera piante che fanno parte dell’umore stesso del Mediterraneo. Il giusquiamo è una solanacea ed è una pianta molto velenosa. I fiori crescono su infiorescenze allampanate, lunghe fino a 30 centimetri e i frutti sono capsule appariscenti avvolte nel caratteristico calice allungato. Nella foto qui sotto a destra è ormai diseccato, anche se ha mantenuto le forme. Come altre solanacee, il giusquiamo è una pianta magica e infida. Il suo fratello nero, hyoscyamus niger, era un tempo molto comune in Italia, ma divenuto molto raro a causa presumibilmente della modificazione del suo habitat, oggi occupato da specie invadenti più aggressive; era una pianta nota agli alchimisti come medicinale e utilizzato perfino, in certe aree delle Alpi, per preparare una birra narcotica. Usi questi ormai completamente abbandonati per la consapevolezza della pericolosità delle neurotossine che la pianta contiene (scopolamina e atropina). Sebbene con azione leggermente più blanda, anche il giusquiamo bianco presenta le stesse proprietà e rivela ancora una volta la doppiezza delle solanacee. In questa famiglia si trovano pregiati alimenti come le patate, i pomodori, i peperoni e le melanzane, che tuttavia nascondono alcune insidie di tossicità, e piante che contengono principi officinali raffinati e pericolosissimi, come la belladonna, la nicotiana o tabacco, la mandragora, anch’essa ormai diventata pianta rara, la temibile e affascinante datura (20 luglio 2008), e il giusquiamo naturalmente. Una famiglia di forti contrasti, di nobili benefattori e di assassini, umili servitori dei più poveri accanto a spiriti di altezzosa bellezza e scellerata depravazione.
hyoscyamus albushyoscyamus albus

Atriplice alimo

Atriplice alimo

Atriplex halimus – Atriplice alimo

Non lontano dal camedrio, sul bordo del cemento della passeggiata a mare di Nervi (Genova), cresce questa pianta, assai meno attraente, una chenopodiacea, cioè della famiglia delle bietole e degli spinaci.  E’ un cespuglio disordinato e scarno, con fiori poco appariscenti anche nella buona stagione. In questo periodo i suoi lunghi steli grigiasti sono ornati di  pannocchiette di semi marroncini, disseccati. Le foglie sono coriacee, verde argenteo.
L’atriplice, benché sia specie commestibile, sembra deva il suo nome al suo scarso valore nutritivo, già così detta dai greci e romani da ‘α- a’ alfa privativo, e τρέφω ‘trefo’, non nutriente. Effettivamente questo genere non regge il confronto alimurgico con altre erbe appetitose della stessa famiglia, chenopodiacee selvatiche come il famoso buonenrico e il farinello (24 settembre 2009). Però se certe sue sorelle (vedi per esempio l’atreplice biondo) possono vantarsi di essere insalatine o erbette da zuppa di tutto rispetto, questa specie così arida e scarna forse merita davvero il nome che si ritrova. E’ particolarmente diffusa nell’ambiente costiero mediterraneo, dove tollera con disinvoltura la salinità del suolo e del vento (Halimus viene dal greco “hals, halós” sale, mare) e a differenza di altri chenopodi, ha un portamento robusto e legnoso, quasi fosse attrezzato meglio di altri a resistere alle mareggiate.

Camedrio femmina

Teucrium fruticans

Teucrium fruticans


Per trovare un po’ di colore, rovisto fra le foglie lucide e vellutate di questo camedrio ornamentale, che non dovrebbe essere fiorito in questa stagione. Sta sulla passeggiate di Nervi (Genova), di fronte al mare e laggiù, si sa, accadono anche i miracoli. E’ pieno di fiori, larghe bocche blu pallido di forme sinuose. La corolla si slancia in una specie di lingua a tre lobi, con sottili nervature violette. In questo buco nero di nebbia, riesce a farmi pensare alle orchidee. Ma non facciamo confusione, si tratta di un’umilissima lamiacea, un cespuglio diritto e ordinato, ma a suo modo lussureggiante e impavido, che non soffre i miasmi salmastri ed è per questo molto adatto ai giardini marini. La sua fioritura è primaverile, ma nessuno ormai si stupisce troppo di rifioriture tardive e inaspettate, ed indubbiamente gradite.

Queste rifioriture mettono un  po’ in crisi il botanico dilettante che cerca di riconoscere le piante dalla loro stagionalità.  Ho trovato in rete osservazioni di genziane  fiorite alla fine di settembre o alberi di Giuda (Cercis siliquastrum) che fruttificano a dicembre.

Le rifioriture autunnali sono in generale molto meno abbondanti e decise di quelle, canoniche, primaverili; sono fiori timidi e sparsi, come figli di una madre anziana. Certo il clima  umido, mite e piovoso, favorisce questi ritorni, anche se li spiega solo in parte, perchè quest’anno la stagione è stata sì piovosissima, ma tutt’altro che mite.

Miglio

oryzopsis miliacea
Questo la stagione offre, non raffinati colori o sgargianti forme segrete, ma qualche erba mezzo seccata dal vento fra le rocce, ai piedi degli olivi. La forma slanciata ed eterea, ma soprattutto quei rami disposti in verticilli, cioè aperti a raggera, tutti sullo stesso piano attorno all’asse del fusto, mi fanno pensare al miglio, oryzopsis o piptatherum, anche se la mia conoscenza delle graminacee è assai scarsa e molto complesso il loro riconoscimento. Nonostante l’aspetto dimesso, paglierino, spento, il portamento molle e dinoccolato, le graminacee (poacee per gli esperti) sono fra le erbe più robuste e preziose. E’ un onore imparare a riconoscerle, a poco a poco senza presunzione. In primavera anche loro sfoggiano elaborati fiori, infiorescenze e poi frutti. Ora. d’inverno, gagliardamente resistono.
Fotografata lungo un viottolo sulle colline di Nervi (Genova), gennaio 2009.