Diversi anni fa (diversi è un’eufemismo per davvero molti), quando stavo in Texas, ho visto per la prima volta una varietà di uva da tavola senza semi, oggi diventata tristemente comune anche in Italia. Dico tristemente perchè, senza nulla togliere alla comodità di assaporare solo il piacere del chicco d’uva, privo degli ignobili semini che si infilano in mezzo ai denti, ho provato fin d’allora un istintivo rammarico, quasi ribrezzo, per quegli acini vuoti, e sterili. Ormai siamo assuefatti, e anche dipendenti, dalla frutta finta in cui la ragione di esistere del frutto è snaturata e sacrificata al suo più importante utilizzo alimentare e soprattutto commerciale. Come dire che i frutti senza semi e senz’anima sono la regola invece che l’eccezione. C’è un frutto in particolare che i semi li ha persi già da tempo immemorabile, trasformato in una bacca sterile per la gioia del palato di grandi e piccini. E’ la banana, nome scientifico Musa, praticamente immangiabile nella sua forma selvatica ripiena di durissimi semi, come ci spiega Alice Breda in un bellissimo articolo del suo blog sulla scienza delle piante. Ma come anche si vede nella fotografia che accompagna l’articolo sulla Musa balbisiana di Wikipedia, un frutto che pochi riconoscerebbero come una banana.
Non c’è pianta più misconosciuta del banano, chiamato per lo più albero, è invece un’erba, si dice la più grande specie erbacea che cresca sulla terra. Le ampie foglie sono una vista non inusuale nei giardini mediterranei, ma raramente suscitano l’interesse che si meritano. Ricordo una volta, in un parco cittadino, l’incredulità di una signora quando le dissi di che pianta si trattava e lo stupore di riconoscere che avevo ragione quando le ho indicato il casco dei frutti. Frutti difficilmente commestibili alle nostre latitudini e comunque sterili, perchè senza semi. Da secoli il banano si riproduce per trapianto.
Se in Europa, per lo più ne conosciamo soltanto la varietà più importata in occidente al momento (e per scoprire qual è rimando nuovamente all’ottimo post di Alice Breda), come se fosse l’unica esistente al mondo, in Brasile, i mercati ne offrono almeno cinque varietà comuni, oltre altre che si consumano cotte, come quella chiamata “banana di terra” (che cotta è davvero squisita). Io, che non ho molta simpatia per questo cibo, in Brasile ne consumo a bizzeffe.
Avevo già dedicato un post alle banane nostrane, 6 agosto 2009, e devo correggere qualche inesattezza e omissione. Sembra che la denominazione Musa x paradisiaca non sia più utilizzata (magari non lo è mai stata); Wikipedia indica Musa acuminata × balbisiana come denominazione dell’ibrido. Sempre dalla rete, apprendo che in Sicilia, diversamente da quanto scrivevo, esiste una varietà di banane che arriva a una maturazione decente, e si tratta della cultivar rustica comune di Sicilia, peccato che non l’abbia mai assaggiata.
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