Il nome scientifico usato fino a qualche tempo fa per indicare questa pianta era Hedysarum coronarium, mentre comunemente è nota anche come lupinella italiana e guardarubio. Ma in realtà resta e sempre resterà essenzialmente la sulla, robusta erba foraggera ampiamente coltivata in tutta la regione mediterranea, che colora di scarlatto le colline di maggio nelle campagne del centro sud, isole comprese. Sembra che sia originaria della penisola iberica, e di origine spagnola è il suo nome (in spagnolo zulla). Usata anche come pianta ornamentale, frequentemente sfugge alla coltivazione ed è ovunque inselvatichita. Cresce soprattutto negli incolti e suoi bordi delle strade, dei viottoli e delle poderali, ma anche delle provinciali, delle strade statali a lunga percorrenza, delle superstrade, e delle autostrade. L’ho fotografata qui sull’A12 nei pressi di Livorno, complice una coda a tratti che faceva rallentare. In realtà era da Roma che stavo osservando i suoi cespi dipingere di rosso acceso i brevi dirupi oltre il guardrail.
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Amorpha fruticosa
Un nuovo arrivo nella mia personale collezione di alberi e arbusti. Non l’avevo mai vista e non è poi così frequente incontrare un nuovo albero senza spostarsi troppo da casa. Qui siamo nel parco fluviale del Magra, vicino a Sarzana (La Spezia) e l’ambiente è sufficientemente diverso dai lecceti e castagneti che frequento abitualmente. Lei, comunque, è un’esotica e avventizia, stessa storia di tante altre, era stata importata dall’America come pianta ornamentale e poi si è riprodotta con esuberanza, tanto da farsi guardare con un certo sprezzo e bollare da infestante. Rispetto ad altri ‘invasori’ (e penso all’irriducibile ailanto, 25 agosto 2008), ha dalla sua una fioritura cospicua e lussureggiante, di colore violetto, che le ha meritato il nome volgare, non troppo cortese, di indaco bastardo. La foglia assomiglia molto a quella della robinia, che è comunque un’altra immigrata, e della stessa famiglia delle fabaceae.
Eritrina
Sono tornata ai parchi di Nervi in una giornata tesa e tersa. Volevo ritrovare alcune vecchie conoscenze e magari farne altre. L’alberello a cui appartiene questa foglia si trova non lontano dal Brachychiton populneus ed è certamente un’eritrina o albero del corallo, così detta a causa del colore dei fiori. La specie di questo esemplare è Erythrina falcata, almeno secondo quanto riportato nel cartellone esplicativo esposto nel parco. La stagione non è propizia ad ammirare piante da fiore, ma le foglie cuoriformi e il portamento regolare e aggraziato me la rendono subito amabile. La pianta è originaria dell’America latina (foresta atlantica) ed è della famiglia delle fabaceae.
Sarebbe bello tornare a farle visita nella bella stagione per scoprire se ha intenzione di regalarci meraviglie o si accontenta di sfoggiare le fronde lussureggianti. Oggi ho incontrato una signora esperta di botanica con cui ho piacevolmente conversato per quasi un’ora. E’ gradevole conoscere qualcuno che condivide le stesse passioni, le nostre innocue malattie. Senza snobbismo, ma con un po’ di malinconia, penso a quante persone ignorano e si disinteressano alle varietà esotiche che possono incontrare così vicino a casa. I parchi di Nervi sono un giardino botanico ricco e rigoglioso che non ha ancora terminato di mostrami le sue meraviglie.
Bauhinia in fiore
Così esotica e ricercata, inconfondibile con le sue foglie separate in due lobi, non lo nascondo, è una delle mie piante preferite. Non è un caso che l’abbia già mostrata altre due volte, la brasiliana Bauhinia forficata (9 novembre 2009) e l’indiana Bauhinia purpurea (1 marzo 2010). Ma sempre senza fiori. E dire che quest’albero è detto anche albero orchidea per l’eleganza della fioritura. Anche quest’anno ho incontrato diverse bauhinie nel mio vagabondare per giardini (si tratta di piante tropicali, difficilmente adattabili ai nostri climi ed è certo impossibile incontrarne di spontaneizzate). Ma soltanto a villa Hanbury questa Bauhinia aculeat subsp. grandiflora, originaria del Perù conservava ancora qualche brandello di fioritura. E sotto i fiori già facevano capolino i verdissimi bacelli, lunghi e ancora sottili. Come ho già detto nei post precedenti, la bauhinia è generalmente inserita nelle fabaceae, anche se certi autori preferiscono collocarla in una famiglia speciale, le caesalpinaceae, insieme a Cercis (albero di Giuda, 6 aprile 2009). Come sempre, io mi sforzo di limitare la complessità della materia per facilitare la mia imperfetta memoria; quindi mi va bene nelle fabaceae…
Sesbania
Ho incontrato questa pianta a villa Hanbury e pur non sapendone il nome l’ho smascherata quasi subito. I suoi tratti sono troppo caratteristici. E’ una leguminosa, indubbiamente, e si chiama punicea a causa del suo colore. La parola punico deriva dal greco e significa porpora scarlatta; per esempio per il melograno, punica granatum, 23 giugno 2009, ha fiori dello stesso colore. Questa pianta viene dall’Argentina, ha foglie che ricordano quelle della robinia e delle mimose, ed ha davvero una fioritura appariscente.
per chi la volesse coltivare, è pianta, sembra, di poche pretese, vuole molto sole, ma sopporta il freddo, ha una fioritura lunga e poi lunghi bacelli neri.
Lupino
Quando la stagione dei fiori è terminata, ci si può sempre consolare con i frutti. Questo lupino ornamentale, ricercato per i giardini e coltivato ovunque, sfugge talvolta alla coltivazioni e prosegue spontaneo il suo cammino, come avventizia.
Qui, nel già menzionato giardino botanico di Przelewice (Pomerania), sfoggia una mirabile profusione di bacelli, scuri e diritti che sebbene non possano competere con gli splendidi fiori papilionacei che ha appena perduto, sono tuttavia degni di figurare in un’immagine inconsueta.
Della famiglia della fabaceae, con fagioli, fave e piselli, non sorprende che numerose specie di lupini siano state coltivate fin dall’antichità per cibarsi dei semi. Commestibili, seppure con qualche inconveniente dovuto alle presenza di sostanze amare e/o velenose da eliminare con lungo lavaggio, erano alimento di un’agricoltura povera, semiscomparsi dalle coltivazioni, per tornare recentemente alla ribalta perchè privi di glutine e per di più possibile alleati nella battaglia contro il colesterolo. A parte le proprietà organolettiche, tutti i lupini, anche quelli alimentari (l. albus, l. luteus, l.angustifolius), hanno fioriture copiose ed attraenti come il l.polyphyllus. Le foglie sono palmato-composte, formate cioè da numerose foglioline lanceolate disposte a raggera. I frutti sono legumi scuri, pelosi, piatti, come da foto.
Liquirizia
Non è proprio la ‘vera’ pianta della liquirizia, come me l’avevano spacciata, ma per lo meno ne è una stretta parente. Ci sono piante che sanno un po’ di liquirizia e qualcuno le chiama liquirizia, così per modo di dire. Come il volgare polipodio (9 novembre 2008) che da bambini succhiavamo chiamandolo reganisso. O addirittura l’elicriso (5 luglio 2008), il cui odore sì penetrante, ma non certo dolce, poco ricorda la liquirizia, ma con questo nome viene chissà perchè talvolta spacciato nei vivai.
Ma è dalla radice di questa pianta, il cui nome scientifico Glycyrrhiza significa proprio radice dolce, che viene estratta la vera liquirizia. La liquirizia propriamente detta, Glycyrrhiza glabra, è una pianta dell’areale mediterraneo di cui non si conosce esattamente il luogo d’origine. A causa della notorietà medicinale e alimentare, è difficile dire quanto della sua attuale presenza e diffusione sia naturale o piuttosto ciò che resta dell’intensa coltivazione che se ne faceva un tempo proprio nell’area mediterranea. Comunque io non l’ho mai vista o riconosciuta nei campi. Questa pianta l’ho comprata a una mostra mercato e l’ho messa a dimora nel mio giardino. Ho tribolato per lei durante il lungo inverno gelato, era scomparsa, ma sapevo che sarebbe tornata. I fiori me li sono persi mentre ero in Polonia, ma ora è piena di frutti, magari poco interessanti, ma numerosi e bizzarri, piccoli bacelli rossastri, appressati e … pelosi. Allora non è lei ! Non può essere Glycyrrhiza glabra, che come indica il nome ha legumi privi di peluria. Credo si tratti di Glycyrrhiza echinata, liquirizia setolosa, pianta originaria delle coste del Mar Nero e presente forse ancora allo stato spontaneo in Puglia e Basilicata, dove fu segnalata in passato. Si distingue per i racemi (infiorescenze) più densi e per i legumi irsuti anzichè glabri. Sono sorpresa, ma non dispiaciuta. Non avevo nessuna intenzione di estrarre la liquirizia dalle radici della mia pianta.
Ononide spinosa
Se fosse gialla, sarebbe un’altra della numerose piante volgarmente dette ‘ginestre’. Invece ha scelto il rosa e si distingue con grazia e attenzione. Ma anche con una certa grinta, perchè le spine le ha davvero. E non solo. Volgarmente detta arrestabue, sembra che abbia radici così caparbiamente avvinghiate alla terra da rendere difficoltosa l’aratura.
appuntamento al 20 luglio
o giù di lì
rimanete con me … torno presto
Trifoglio stellato
Per chi ama i giochi di forme che talvolta e spesso la natura crea, il trifoglio stellato è una pianta semplice e straordinaria. L’infiorescenza è ovoidale, ma alla fruttificazione assume una forma globulare, e i calici si aprono a forma di perfette stelle a cinque punte, rossiccie, incorniciate di peluria argentea. Così mentre il fiore sembra banale, è l’infruttescenza questa volta a sorprenderci.
Pianta tipica delle coste mediterranee (areale dell’olivo), qui l’ho fotografato sul crinale sopra Bavari, direzione forte dei Ratti. Il mare dista una manciata di kilometri in linea d’aria; la città è vicinissima, ma lontana dal cuore. E’ una radura in leggera pendenza, attraversata da venti gentili, abitata da artropodi e rettili di ogni tipo, visitata spesso da una decina di caprette e da qualche gitante. Prego che questi ultimi siano sempre aggraziati e rispettosi (e lascino a casa le moto da cross).
Ginestra spinosa
Fra tutte le numerose piante e pianticelle che meritano l’appellativo di ginestre (la parola deriva dal celtico ‘gen’ , piccolo cespuglio), quelle che appartengono al genere genista sono le più snelle, e graziose, come la flessuosa Genista tinctoria (vedi vecchio blog 1 giugno 2008) che a questa Genista germanica assomiglia molto. Questa ginestra cresce al margine del castagneto, in piccoli cespuglietti dalla base scura e legnosa. Le foglie sono verde acceso, cosparse di fitta peluria. E se venisse in mente di farne un mazzolino, magari strappandola con le mani, o comunque stringendola per i suoi steli più robusti, la sua identità inconfondibile lascerebbe il segno. I rami scuri della base del cespuglio portano infatti acute spine, che difficilmente passano inosservati. Che temperamento queste piante con i loro meccanismi di difesa. La ginestra spinosa se la cava proprio bene. E’ anche piuttosto velenosa, soprattuto i semi che sono neurotossici. Ma i fiori sono del giallo di giugno, che fra nuvole più o meno minacciose e un sole che, quando esce, è sempre più caldo, sta avvicinandosi a grandi passi. Evviva evviva