Il giunco non è solo una pianta, erbacea palustre della famiglia delle Juncaceae, con stelo elastico e foglie cilindriche, è un materiale, un attrezzo, una corda, un simbolo. Sottile come un giunco, elastico come un giunco, giovane come un giunco. Semplice come un giunco. Il giunco comune, Juncus effussus cioè giunco diffuso, cresce nelle zone umide, con i suoi fasci di cannelle verdi interrotte da ciuffi di strani fiori paglierini. Le monocotiledoni sono così, o hanno fiori elegantissimi e nobili, come le orchidee e i gigli, oppure fiori non ne hanno quasi per niente, come le graminacee e le ciperacee.
Eccolo il giunco, snello e robusto sul margine della strada di casa, fra l’asfalto e il rigagnolo che lo abbevera. Da bambina giocavo con quegli strani fusti che hanno all’interno un midollo spugnoso che sembra un’imbottitura, ma al tatto si sfalda, perchè è fatta d’acqua.
Fibra insostituibile per legare viti, pomodori, e altri ortaggi che necessitano di tutore, e poi per intrecciare stuoie e canestri, e contenitori per formaggio, questa specie di giunco potrebbe anche servire cibo fresco ai cavalli, se non fosse che è troppo simile ad altre specie che sono tossiche, come J.inflexus (che però presenta un midollo interrotto, cioè l’imbottitura dentro gli steli non è compatta, ma tratteggiata) e brucarlo potrebbe comportare qualche rischio.
Tutti i giunchi però hanno doti magiche. In molte campagne, in Liguria nella val di Vara, ma anche in Toscana, nella Garfagnana, Toscana, e in Trentino e nel Biellese, i fusti si usavano per ‘segnare’ le verruche e i porri, o per liberare dal mughetto (Candidans albicans) la bocca dei bambini. Naturalmente a farlo era un guaritore che recitava particolari preghiere. Quello che i trattati di etnobotanica non ci dicono è perchè proprio il giunco, una pianta utile, ma negletta, che cresce nel fango. Nè ci tramandano le parole magiche dell’antica saggezza, che andrà ormai inesorabilmente perduta.
Ho già parlato in un post precedente di un giunco urbano non meglio identificato.