E’ arrivata nel giardino in sordina, quasi per caso, da una talea che mi ha regalato Andrea un mio giovane vicino, esperto e appassionato di piante. Gaura è il nome con cui è conosciuta, e apprezzata, in tutti i giardini e vivai, ma recentemente viene attribuita al genere Oenothera, famiglia Onagraceae. E’ poco esigente e molto elegante, tanto da meritarsi il soprannome di fior d’orchidea.
La denominazione della famiglia deriva da onagra, come era chiamata un tempo l’Oenothera, nomi dall’origine controversa, ma che potrebbero derivare da ὄνος, onos, che significa asino in greco, un po’ per quelle foglie lanceolate che tutte hanno e che assomigliano alle orecchie del dolce ciuchino, un po’ perché queste piante sono commestibili e probabilmente gradite agli erbivori come l’asino.
Piante americane, vengono da Texas e Louisiana, ma si adattano senza traumi al nostro clima, non temono né freddo, né siccità. Messa a dimora nell’aiuola più soleggiata da poco più di una settimana, mi regala già una affascinante fioritura, e molti fiori sta ancora preparando. Questa gaura ha fiori bianchi, ma si incontrano spesso varietà a fiori rosa o pallidamente violetti, tutti con la loro inconfondibile forma, tenue, aggraziata, perfetta.
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Circaea, l’erba della maga Circe
Saltellavo fra sasso e sasso, sulle sponde verdi e limpide del fiume Trebbia, dove l’acqua cristallina è così fredda che è quasi impossibile immergersi anche nell’inesorabile calura di agosto. Pochi fiori, ormai è estate piena. Ma la montagna ha sempre risorse. E così inciampo in una pianticella da niente, che mi ammalia e stupisce. Devo tornare indietro a guardarla. E’ una pianta magica, anche se nessuno ricorda perchè. La fattucchiere lo sapevano, ma non l’hanno lasciato scritto. Intitolata alla maga Circe, il suo nome è Circaea e volgarmente erba maga. In Italia se ne incontrano soprattutto due specie principali. Quella comune si chiama C.lutetiana, nome che le deriva semplicemente dal fatto che il botanico che per primo la classificò viveva a Parigi e, non so se per vanto o per mancanza di fantasia, le dedicò il nome della sua città. L’altra è C.alpina, che spunta sopra i 300 metri di altezza, ed è più minuta ed esile. Le differenze sono subdole e irrilevanti; ma siccome la differenza fondamentale sarebbe la dimensione, a me questa piaticella minuscola parrebbe C.alpina, mentre i database di riferimento mi riportano implacabili a C. lutetiana.
Così lasciamo andare, erba maga è ed erba maga rimane, gelosa di filtri e di incantesimi, cuoriformi le foglioline, cuoriformi i microscopici petali sulle minute corolle bianco rosate. Insieme ad epilobi ed enotere (vedi sotto), appartiene alla famiglia è quella delle Onagraceae, il cui nome deriva dal greco ὄναγρος asino selvatico, forse a causa della forma delle foglie, lunghe ed appuntite come le orecchie degli asini, oppure perchè, come un po’ tutte le erbe, erano considerate cibo da asini.
Le altre onagracaea:
Epilobium angustifolium – 21 agosto 2008 – 4 agosto 2011
Epilobium dodonaei – 11 luglio 2011
Epilobium hirsutum – 4 ottobre 2010
Epilobium roseum – 8 luglio 2011
Oenothera erythrosepala – 14 luglio 2011
Oenothera sp – 1 novembre 2011
Enagra
Una fioritura spavalda, sulle sponde del torrente Polcevera, popolato da germani reali e aironi bianchi (vedi foto sotto). Questa pianta, di origine americana, ma ormai naturalizzata in tutta Europa (vedi anche l’enagra incontrata in Germania) raggiunge l’altezza di un metro e sfoggia appariscenti fiori gialli. Le sue brillanti corolle sono molto più difficili da fotografare da distanza rispetto alle rigide silhouette delle infiorescenze di lisca mostrate ieri, il colore sfuma e sfugge e i contorni si sfuocano.
Il genere Oenothera è comune, ma identificare la specie è assai complicato, e anche controverso. Per questa volta davvero non mi sbilancio.
Enagra di Lamark
L’enotera o enagra, in passato detta onagra, è un genere importante, che dà il nome a una famiglia, le onagraceae e deve tutti i suoi nomi alla forma delle foglie che ricorderebbero le orecchie di un asino. La sua forma selvatica più diffusa, Oenothera biennis, enagra comune, fornisce un olio importante in fitoterapia per il trattamento delle sindromi di dolori mestruali. Le enagre sono tutte originarie del’America e naturalizzate in Europa un po’ dappertutto. I grandi fiori gialli si aprono di notte per accettare l’impollinazione da parte degli insetti notturni. Quest’ampia pianta, la più imponente del suo genere, cresceva sul bordo di un viale a Munster, in Germania, lo scorso giugno. I calici arrossati già in quella stagione fanno supporre che il suo genere sia Oenothera erythrosepala perchè questo aggettivo specifico significa ‘dai sepali rossi’. Questa pianta si chiama anche Oenothera glazioviana ed è rinvenuta spesso ormai anche in Italia, specie nel Nord.
Epilobio a foglie di rosmarino
Appena fuori dal bosco del passo della Scoglina, sul bordo della carrozzabile, cespi rosa si slanciano verso il sole. E’ la stagione dell’epilobio, fra i fiori più attraenti dei prati di luglio. Questa specie ha fiori non molto diversi da quelli dell’epilobio più comune, Epilobium angustifolium; ma ha foglie sottilissime che ben si adattano al suo nome volgare ‘a foglie di rosmarino’. Il nome scientifico è un omaggio al botanico olandese R. Dodoens, vissuto nel XVI secolo e autore di un importante trattato.
Preferisco evitare il nome comune di ‘garofanino’ che mi pare generare soltanto confusione, e chiamare la pianta con il suo nome vero, una nome che deriva proprio dal suo aspetto, anzi dalla sua morfologia. Coniato da due botanici nel XVI secolo (Corrado Gessner e Jacob Dillen), epilobio risulta dalla fusione di ben tre radici greche che significano rispettivamente “sopra”, “frutto” e “violetta”, come a dire che si tratta di una pianta che ha una violetta (il fiore) sopra il frutto (in realtà sopra l’ovario). Infatti gli epilobi, come le altre onagraceae, hanno i petali inseriti nella parte superiore dell’ovario. Dettaglio per specialisti, ma interessante per capire l’origine del nome.
Varie specie di epilobio, fra cui E. angustifolium (21 agosto 2008) e E. dodonaei, sono commestibili, e venivano consumati cotti o seccati per preparare il the, usanza quest’ultima tipicamente russa. La miscela di the cinese (Camellia sinensis) e Epilobium dodonaei veniva chiamato Ivantschai o Thé di Ivan. La similitudine continua, anche con il rosmarino infatti si può preparare una specie di thé.
Epilobio roseo
Dovrei chiamarlo garofanino roseo, il suo nome comune.
Ma fra gli epilobi e i garofani non vedo davvero grande somiglianza e quindi lo chiamo epilobio e basta.
Ancora, dovrei chiamarlo ‘epilobio mister X’ perchè stasera sono davvero troppo stanca per aprire libri e libroni e almanaccare se la mia determinazione sia giusta. Probabilmente non lo è, anche perchè le mie foto non sono particolarmente riuscite, sbiadite e sfuocate, e la pianta non c’è più, estirpata come erbaccia un giorno che ero stufa di vedermela salire sempre più alta senza riuscire a darle un nome e un’origine (me ne sono un po’ pentita, ma davvero non posso dare asilo a tutte le piante trovatelle del circondario). Che sia Epilobium hirsutum, pianta che avevo scoperto l’anno scorso sul bordo della strada e che ho rivisto quest’anno alta e slanciata sempre dalle stesse parti, lo escluderei per quel vago colore dei fiori, minuti e bianchi con la gola rosa, quasi rossa. I fiori del garofanino d’acqua (Epilobium hirsutum, ma perchè mai lo chiamano garofanino?) sono di color rosa acceso, deciso, carico. Altro non saprei dire, se non che la pianta era vigorosa e aggraziata, spuntata per caso nell’aiuola, con le foglie lucide e affusolate, vagamente intagliate ai bordi. Ed è proprio la forma delle foglie che mi ha fatto decidere, a torto o a ragione, per Epilobium roseum.
Gli epilobi appartengono alla famiglia delle onograceae, da onagro, asino selvatico, in ragione delle foglie allungate che ricordano le orecchie dell’asino. Fra di loro la bellissima fucsia (vedi 7 ottobre 2009), esotica, generoso ornamento degli angoli ombrosi di terrazzini e davanzali.
Epilobio irsuto, garofanino d’acqua
Scesa dal dorso del cavallo (come raccontavo il 7 giugno 2009), ho incontrato questo piccolo fiore. L’epilobio irsuto, detto anche garofanino d’acqua o viola di palude, predilige i luoghi umidi e i fossi. Io invece lo incontro sul bordo di una strada carrozzabile, quella che porta a casa mia, proprio sul colle di Bavari, delegazione genovese d’altura a 315 m slm. Chissà che cosa lo ha portato là, nel fossetto, fra asfalto e cemento, forse le piogge abbondanti degli ultimi mesi che hanno trasformato i bordi delle strade in rigagnoli per tre giorni su quattro. Il fiorellino è proprio grazioso, come si conviene a un epilobio, pianta umile, ma raffinata, coloratissima sui pendii di mezza montagna.
Il più comune è Epilobium angustifolium (21 agosto 2008) o garofanino maggiore. Il nome garofanino gli viene certo dal colore, che è assai simile a quello del Dianthus, il garofanino selvatico (10 luglio 2008). Ma la famiglia è differente, caryophyllaceae quella dei i garofani, onagraceae quella degli epilobi.
Anche l’epilobio irsuto ha proprietà officinali, ed era utilizzato dalla medicina popolare per lenire le infiammazioni della gola e curare le ferite; e quel cotone che sta dentro i frutti (sono i pappi, le piccole ali dei semi, che servono per sorreggere il loro volo verso nuova terra) veniva impiegato come stoppaccio per lampade.