Quest’alberello della famiglia delle rosaceae è di origine americana, anche se molti suoi parenti stretti (stesso genere) crescono spontanei anche in Europa. E’ molto rustico, cioè sopporta bene intemperie e alti e bassi del clima. I suoi piccoli frutti maturano in estate e sono commestibili.
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Fragole vere e false
Della fragola ‘vera’ (fragaria vesca) non c’è molto da dire. E’ una delle piantine più conosciute, generosa, facile da coltivare, si propaga con esuberanza e un po’ di invadenza. Inconfondibile fra primavera ed estate quando si carica dei suoi minuti, dolcissimi frutti.
Come sempre accade, se l’originale è una, le imitazioni sono tante, come la fragola verde (fragaria viridis) o la ‘fragola ‘matta’, potentilla micrantha (23 aprile 2009).
Tutte appartengono alla famiglia delle rosacee, come questa falsa fragola, un po’ più esotica delle altre, ma ancora più somigliante alla vera. Tanto che per vario tempo era stata inserita nel genere fragaria, e poi in quello tutto suo di duchesnea, in onore del botanico Duchesse. Recentemente è stata assegnata invece al succitato genere potentilla e quindi il suo nome aggiornato è potentilla indica.
L’ho vista per la prima volta l’estate scorsa nel ricco nel giardino botanico di Przelewice in Pomerania (Polonia, ahimè il sito è solo in polacco e tedesco). E l’ho ritrovata al parco Burcina, a Pollone di Biella,una settimana fa. I frutti sono davvero copie conformi delle fragole commestibili (anche se non credo che siano molto gustose). I fiori invece si distiguono per il colore giallo acceso, diverso dal bianco candido dei fiori delle fragole, una differenza che, per noi profani, è semplice ed importante.Come dice il nome, questa falsa fragola è di origine asiatica, ma è in rapida espansione in tutta Europa e anche in Italia, e non soltanto nei parchi.
Rosa
Sanguisorba minore
Ogni anno, in questa stagione, vado a caccia dei fiorellini della sanguisorba, una piccola rosacea selvatica piena di dolci virtù. In Liguria si chiama pimpinella, altrove in italiano salvastrella e meloncello ed è pregiata nelle insalatine a cui dona un sapore fresco e aromatico. E’ un’erba piccina, con foglie plissettate, come quelle della sua sorella maggiore, Sanguisorba officinalis (6 novembre 2008). Il nome scientifico (oggi aggiornato come Poterium sanguisorba) evidenzia le proprietà curative per cui veniva usata, come antiemoraggico ed astringente, specialmente la specie officinale, più alta e a foglie più larghe e rade.
Però non sono ancora riuscita a fotografare il fiore in tutta la sua bellezza, un’infiorescenza tonda, verde, ma sfumata del rosso scuro degli stimmi e del giallo degli stami. Forse la fioritura è breve, forse ho sempre troppa fretta. Sono tornata anche quest’anno a cercarla sul muretto dove la trovavo gli anni scorsi e ahimè non ho più trovato neanche le foglie.
Sembra che in questa primavera, pure festosa e calda, ci siano molti assenti. E’ una sensazione più che una certezza. Il clima non ci aiutato, è piovuto per tutto l’autunno e tutto l’inverno; poi, d’improvviso la pioggia è cessata. Del tutto. La stagione è calda, piacevole, ma secca. I prati, inebriati dalle piogge di marzo, si sono inariditi al sole bollente di aprile. Bisognerebbe dire, sospirando, che non ci sono più le mezze stagioni. Però questa volta è proprio vero e la nostra campagna avrebbe bisogno di qualche bella pioggia di maggio.
Oggi, 14 maggio, la sanguisorba è tornata. Non è sul muretto dell’anno scorso, ma sul bordo della strada, un cespuglio grossetto, piuttosto impolverato, ma lussureggiante. Non ho saputo resistere alla tentazione di aggiungere finalmente la fotografia del fiore in tutto il suo splendore, con i minuscoli petali rossicci e gli stami gialli. Ma chi ha il coraggio di affermare che questo fiore è “insignificante”?
Rovo
Quella del rovo, cioè del genere Rubus è una questione davvero complicata. Il più antico inquadramento del genere, dovuto manco a dirlo a Linneo, riuniva i rovi della nostra flora in sole quattro specie, di cui i più famosi erano Rubus ideus (1 agosto 2008), il lampone, e Rubus fruticosus (18 maggio 2008), la mora . Mi pareva chiaro e semplice, e anch’io sono caduta nell’errore, perchè le cose hanno cominciato ben presto a complicarsi. Per fortuna Rubus ideaus si è salvato dalla catastrofe e rimane un punto fermo. Invece Rubus fruticosus è ora “binomio fondato sulla mescolanza di due specie e va abbandonato”. Infatti i botanici dell’Europa centrale si sono dedicati con vigore allo studio della variabilità del gruppo, elaborando una scienza particolare, la batologia, ovvero la scienza che studia il genere rubus, e descrivendo oltre 2000 specie di cui almeno un decimo (si parla cioè di 200 specie) raggiunge l’Italia, territorio che si trova alla periferia dell’area di più intensa diffusione del genere. Viene fuori che il vecchio Rubus fruticosus di Linneo è ora rappresentato dalla bellezza di almeno 38 specie diverse, non certo distinguibili da caratteri elementari. Il rovo più comune, quello che cresce ispido e lacerante sui ruderi e nelle radure incolte, è allora classificato come Rubus ulmifolius.
Però il rovo della fotografia mostrava incantevoli fiori bianchi, fusti eretti, ampie foglie verde lucente. Siamo nel parco fluviale del Magra, comune di Arcola. Che Rubus sarà? Forse una bacca, fra qualche tempo, potrebbe aiutare. Per ora sono davvero molto incerta, ma mi butto e ho deciso, me lo ricorderò come Rubus ulmifolius.
Fiori di melo
Il melo, un po’ come il castagno, è un albero a cui bisogna essere molto riconoscenti.
Questo piccolo gruppetto di fiori è il primo regalo di un piccolo melo che cresce nel mio giardino. Si tratta di un alberello della varietà melannurca, di origine campana. Una mela del Sud, quindi, che però oso sperare non si troverà male neppure qui su da noi.
Ho intrappolato quest’immagine quasi di corsa (il quinto petalo c’è, ma non si vede) per avere anche quest’anno un piccolo segno della grande fioritura della stagione, la fioritura delle rosacee da frutto. Breve, luminosa, perfetta. Fra qualche settimana sarà tutto finito, purtroppo. Lo spettacolo si replica ogni anno dalla fine di marzo alla fine di aprile. Non mancate.
Fiori di albicocco
Gemme del pesco
Tonde, già rosate, le gemme a fiore del piccolo pesco irrompono sul ramo sottile. Dovrebbe essere un brindillo, rametto di un anno che, nelle drupacee come il pesco, porta una gemma vegetativa da legno in punta e numerose gemme a fiore lungo il dorso. Nelle pomacee, invece, come meli e peri, il brindillo porta una gemma da fiore apicale e gemme da foglia nella lunghezza. In questo piccolo ramo è visibile anche la piccola gemma appuntita di una foglia, ultima a sinistra, mentre quella apicale, sempre da foglia, è fuori della foto. Coraggio piccolo pesco, so che la strada sarà lunga, prima di arrivare alle dolcissime drupe, succose e vellutate.
Mazzetto di maggio
Assopiti, ma vigili, gli alberi da frutto si preparano per il risveglio. Anche a gennaio crescono i mazzetti di maggio.
Le gemme si riconoscono dalla forma. Nelle drupacee, come il ciliegio dolce o Prunus avium (ovvero ciliegio degli uccelli), si riconoscono tipici rami a gemma detti dardi. Il dardo può avere una gemma apicale vegetativa e numerose gemme di contorno di carattere fiorifero; in questo caso, come nella foto, prende il nome di mazzetto di maggio.