La stagione degli iris

'Holland' irisLa fioritura degli iris dura poco, per ciascun fiore non più di una settimana, per una pianta intera solo poco di più. Gli ultimi a fiorire, in ordine di tempo, sono le varietà dette ‘olandesi’. Questi iris non sono in verità originari dell’Olanda come piante spontanee, ma sono ibridi realizzati da un vivaista olandese utilizzando varie specie, fra cui i. xiphium and i. lusitanica. Quest’ibrido ha avuto molta fortuna non soltanto per l’avvenenza, ma anche per la varietà di colori con cui si presenta e la facilità di coltivazione. Tutti gli iris, ma soprattutto i giaggioli, o iris barbata, si prestano molto per le ibridazioni. Con un po’ di garbo e un pizzico di fortuna, anche il giardiniere dilettante può realizzare il suo ibrido personale, strofinando lo stigma di una pianta con il polline di un’antera matura di un’altra. iris barbataNel giro di due o tre mesi, i frutti raggiungeranno la maturazione e si potranno ricavare i semi. Ma per vedere il risultato vero e proprio, cioè il fiore frutto dell’incrocio, si devono aspettare almeno due anni e naturalmente non è affatto garantito che il risultato sia all’altezza delle aspettative. Però si tratterà di un fiore tutto nostro, qualcosa che prima non esisteva, che è stato creato da noi. (per saperne di più: G.Batini e M.N. Batini Presenti – Divertirsi con le piante – Vallecchi Ed. 1987 – libro di veramente piacevole lettura)

L’iris olandese è sbocciato nel mio giardino da un bulbo che mi ha regalato Irena, la mia amica polacca, insieme agli agli. L’iris giallo qui a fianco invece sembra cresciuto per caso, a ridosso di una rete di recinzione di un campo, in mezzo alla parietaria e sotto i viticci di una passiflora. Alto, giallo, altezzoso, come un nobile fra la spazzatura.
Sia che crescano super coccolati nei giardini, sia che sboccino quasi randagi sui bordi della strada, gli iris quando fioriscono non badano a spese e si ricoprono di un’eleganza sfacciata. E così accade che gli si perdoni di quelle lunghe foglie nastriformi e stoppose, l’unica cosa che ci resta di loro per tutto il resto dell’anno.

Becco di gru maggiore

Erodium ciconium E’ il becco di gru più grande, il fiore più largo di tutti quelli del genere Erodium, con petali fino a 8 mm di lunghezza, di un vivo colore fra il blu e il lilla. Anche il becco di grù è pianta officinale e per le sue proprietà doveva essere un tempo ricercata appositamente, anche se non deve essersi mai fatta molto desiderare. Infatti cresce un po’ dappertutto, nei campi e prati di tutte le regioni, ma anche nelle aiuole delle periferie, e sul bordo di strade ed autostrade. Questo genere, tuttavia, non è frequente dalle mie parti (alture di Gernova) e l’ho fotografato in Lazio, in un prato a Palombara Sabina (Roma). La singolare forma dei suoi frutti, comune a tutte le geraniacee, ma molto pronunciata per Erodium, gli ha meritato un nome che significa letteralmente ‘airone cicogno’.

Brionia

Bryonia dioica

Bryonia dioica

L’ho fotografata mentre si arrampicava libera e sfrenata su per una recinzione, nella frazione di Bagnaia a Viterbo, durante la gita a villa Lante del maggio 2010.
Crescono così le cucurbitacee in questa stagione, se hanno acqua a sufficienza. Come ortaggi, danno molte più soddisfazioni delle solanacee (pomodori, peperoni e melanzane, tanto per capirsi). Mettete il seme di una melone in terra e abbeveratelo per bene e subito comincerà ad aprire le sue foglie grassocce e a crescere quasi a vista d’occhio; lo stesso vale per zucchini e cetrioli, e anche le angurie, che si sono fatte attendere un po’ di più, ma ora sono partite decise a crescere in fretta. Tornando alla brionia, il suo stesso nome, dal greco bryo germogliare, crescere con vigore, indica l’esuberanza della sua crescita. I suoi nomi comuni sono tanti, vite bianca, ma anche vite del diavolo e zucca selvatica, e suggeriscono che si tratta di una pianta di virtù medico-magiche, e anche un po’ velenosa. Se ne tramanda l’uso per una gran numero di affezioni umane ed animali, per esempio come purgante e diuretico, ma anche antinevralgico, e come digestivo per il bestiame. Per i reumatismi si usava l’olio dei frutti colti alla luna piena d’agosto ed esposti al sole per vari giorni in recipienti di vetro. Tuttavia è anche pianta abortiva, e le sue bacche possono causare avvelenamenti letali.

Stregona

stachys rectaErba stregona, stregona gialla, si chiama anche erba della paura. Non perchè faccia paura, anzi. In Toscana, da dove le viene il nome, si dice veniva masticata per far passare lo spavento. Quindi dovrebbe essere detta piuttosto ‘erba del coraggio’.
Serve anche per guarire dai postumi della tremarella. Nell’alta Val di Vara (siamo al confine fra Liguria e Toscana), l’etnobotanica racconta dell’uso del decotto di questa pianta per lavare la persona che ha subito uno spavento: se l’acqua rimane limpida, significa che la paura è passata, viceversa se rimane torbida e viscosa. Allora le abluzioni devono proseguire fino a quando l’acqua ritorni perfettamente chiara.
E non solo, mescolata alla sommità della pianta di elicriso (5 agosto 2008), si prepara una pomata usando come eccipiente la sugna. Con questo unguento si strofina la fronte per calmare l’ansia e l’agitazione.
L’erba stregona è molto affine alla betonica (stachys officinalis, 4 agosto 2008), con la quale condivide il nome stachys che significa spiga. Ma la betonica è pianta officinale e alimurgica, la stregona invece è un’erba magica.

Fotografata sulla sella sopra Bavari (Genova), fra orchidee selvatiche e caprette voraci.

Allium siculum

Allium  siculum
Questo è un aglio veramente straordinario, almeno per due ragioni. Ancora prima di manifestare qualsiasi intenzione di fiorire, riesce a stupire con lunghe foglie carnose a sezione triangolare, che si arrotolano su se stesse come magiche spirali. Il fiore è veramente originale, formato da un ombrello rotondeggiante di campanelle ricadenti, di colore giallo, con sfumature rosse ed oro.

Anche gli Allium sono stati colpiti profondamente dalla rivoluzione dell’APGIII (vedi quanto scritto su valerianella). Appartenenti da sempre alla famiglia delle liliacee, erano in un secondo momento stati assegnati a una famiglia tutta per loro, Alliaceae. Tuttavia questa nuova famiglia è stato soppressa dalla nuova classificazione APGIII, che li ha inseriti nelle Amaryllidaceae. La nuova classificazione non è un capriccio intellettuale o una rivisitazione di vecchi concetti in una chiave nuova. Le sue radici sono profondamente scientifiche ed innovative, perchè si basa in gran parte sulla genetica e sulla biologia molecolare delle piante. Cioè le classifica non soltanto in base all’aspetto, ma piuttosto in base all’essenza, al programma genomico che ciascuna specie contiene e che la rende così diversa eppure simile a tutte le altre. Quando la classificazione genetica sarà veramente compiuta, forse si scopriranno analogie e discrepanze inattese e forse molte parti della classificazione classica si dissolveranno come nebbia al sole. Quindi per ora… Amaryllidaceae siano

Allium ostrowskianum

Allium oreophilum
Secondo la mia amica Irena che me lo ha regalato, questo piccolo aglio dagli attraenti fiori rosa scuro si chiama Allium Ostrovsky, nome che suggerirebbe una sua origine dall’Europa orientale. E come dubitarne, visto che Irena vive in Polonia? Il nome scientifico dovrebbe essere allium oreophilum ovvero ostrowskianum. E’ originario della montagne dell’Asia centrale (Turkestan orientale) e il suo nome significa ‘amante delle montagne’. E’ una pianta di taglia piccola, cresciuta fine e quasi nascosta. Ma porta fiori deliziosi, nitidi e delicati, ogni corolla larga poco più di un centimetro.

Irena mi ha spedito un grosso sacco di bulbi, iris e allium, la maggior parte dei quali ha fatto fiori mirabili, come quello fotografato una settimana fa con il podalirio. Anche se alcuni non ce l’hanno fatta (forse non li ho compresi come avrei dovuto, non li conoscevo per niente), spero di essere più fortunata e meno maldestra con loro il prossimo anno.

L’aglio era classificato nella famiglia della Liliaceae, poi brevemente attribuito a una famiglia più specifica, tutta sua, le Alliaceae e definitivamente inserito da APG III nelle Amaryllidaceae.

Sanguisorba minore

Poterium sanguisorba

Poterium sanguisorba

Ogni anno, in questa stagione, vado a caccia dei fiorellini della sanguisorba, una piccola rosacea selvatica piena di dolci virtù. In Liguria si chiama pimpinella, altrove in italiano salvastrella e meloncello ed è pregiata nelle insalatine a cui dona un sapore fresco e aromatico. E’ un’erba piccina, con foglie plissettate, come quelle della sua sorella maggiore, Sanguisorba officinalis (6 novembre 2008).  Il nome scientifico (oggi aggiornato come Poterium sanguisorba)  evidenzia le proprietà curative per cui veniva usata, come antiemoraggico ed astringente, specialmente la specie officinale, più alta e a foglie più larghe e rade.
Però non sono ancora riuscita a fotografare il fiore in tutta la sua bellezza, un’infiorescenza tonda, verde, ma sfumata del rosso scuro degli stimmi e del giallo degli stami. Forse la fioritura è breve, forse ho sempre troppa fretta. Sono tornata anche quest’anno a cercarla sul muretto dove la trovavo gli anni scorsi e ahimè non ho più trovato neanche le foglie.

Poterium sanguisorba

Poterium sanguisorba

Sembra che in questa primavera, pure festosa e calda, ci siano molti assenti. E’ una sensazione più che una certezza. Il clima non ci aiutato, è piovuto per tutto l’autunno e tutto l’inverno; poi, d’improvviso la pioggia è cessata. Del tutto. La stagione è calda, piacevole, ma secca. I prati, inebriati dalle piogge di marzo, si sono inariditi al sole bollente di aprile. Bisognerebbe dire, sospirando, che non ci sono più le mezze stagioni. Però questa volta è proprio vero e la nostra campagna avrebbe bisogno di qualche bella pioggia di maggio.

Oggi, 14 maggio, la sanguisorba è tornata. Non è sul muretto dell’anno scorso, ma sul bordo della strada, un cespuglio grossetto, piuttosto impolverato, ma lussureggiante. Non ho saputo resistere alla tentazione di aggiungere finalmente la fotografia del fiore in tutto il suo splendore, con i minuscoli petali rossicci e gli stami gialli. Ma chi ha il coraggio di affermare che questo fiore è “insignificante”?

Valeriana

valeriana officinalis
Due anni fa, quando l’ho messa a dimora, era una piantina nobile e aggraziata, che mi aveva commosso con le sue ombrelle di fiorellini rosati. D’inverno scompare completamente, ma ogni primavera si fa più alta ed elegante. Quest’anno è alta quasi come me. Le ombrelle di fiorellini rosati sono sempre incantevoli, specie se lambiti dal caldo sole del tramonto. E Lucy subito ne approfitta, egocentrica e vanitosa com’è. Fra le varie caratteristiche di quest’erba magica c’è anche la capacità di attirare i gatti.
E’ lei la titolare della famiglia della valerianaceae, che però come dicevo qualche giorno fa a proposito di valerianella locusta, secondo le ultime classificazioni non esiste più, inglobata dai botanici moderni nella famiglia della caprifoliaceae. E’ lei antichissima erba sedativa e calmante, che placa il cuore e la mente e lenisce l’ansia. Nella sua lunga storia ha conosciuto fama di erba “guarisci tutto” ed è in tempi recenti inserita nei programmi fitoterapici per smettere di fumare perchè calmerebbe quel nervosismo che accompagna la disassuefazione dal tabacco.

Rovo

Rubus ulmifolius
Quella del rovo, cioè del genere Rubus è una questione davvero complicata. Il più antico inquadramento del genere, dovuto manco a dirlo a Linneo, riuniva i rovi della nostra flora in sole quattro specie, di cui i più famosi erano Rubus ideus (1 agosto 2008), il lampone, e Rubus fruticosus (18 maggio 2008), la mora . Mi pareva chiaro e semplice, e anch’io sono caduta nell’errore, perchè le cose hanno cominciato ben presto a complicarsi. Per fortuna Rubus ideaus si è salvato dalla catastrofe e rimane un punto fermo. Invece Rubus fruticosus è ora “binomio fondato sulla mescolanza di due specie e va abbandonato”. Infatti i botanici dell’Europa centrale si sono dedicati con vigore allo studio della variabilità del gruppo, elaborando una scienza particolare, la batologia, ovvero la scienza che studia il genere rubus, e descrivendo oltre 2000 specie di cui almeno un decimo (si parla cioè di 200 specie) raggiunge l’Italia, territorio che si trova alla periferia dell’area di più intensa diffusione del genere. Viene fuori che il vecchio Rubus fruticosus di Linneo è ora rappresentato dalla bellezza di almeno 38 specie diverse, non certo distinguibili da caratteri elementari. Il rovo più comune, quello che cresce ispido e lacerante sui ruderi e nelle radure incolte, è allora classificato come Rubus ulmifolius.
Però il rovo della fotografia mostrava incantevoli fiori bianchi, fusti eretti, ampie foglie verde lucente. Siamo nel parco fluviale del Magra, comune di Arcola. Che Rubus sarà? Forse una bacca, fra qualche tempo, potrebbe aiutare. Per ora sono davvero molto incerta, ma mi butto e ho deciso,  me lo ricorderò come Rubus ulmifolius.

Sulla

sulla coronaria Il nome scientifico usato fino a qualche tempo fa per indicare questa pianta era Hedysarum coronarium, mentre comunemente è nota anche come lupinella italiana e guardarubio. Ma in realtà resta e sempre resterà essenzialmente la sulla, robusta erba foraggera ampiamente coltivata in tutta la regione mediterranea, che colora di scarlatto le colline di maggio nelle campagne del centro sud, isole comprese. Sembra che sia originaria della penisola iberica, e di origine spagnola è il suo nome (in spagnolo zulla). Usata anche come pianta ornamentale, frequentemente sfugge alla coltivazione ed è ovunque inselvatichita. Cresce soprattutto negli incolti e suoi bordi delle strade, dei viottoli e delle poderali, ma anche delle provinciali, delle strade statali a lunga percorrenza, delle superstrade, e delle autostrade. L’ho fotografata qui sull’A12 nei pressi di Livorno, complice una coda a tratti che faceva rallentare. In realtà era da Roma che stavo osservando i suoi cespi dipingere di rosso acceso i brevi dirupi oltre il guardrail.