Una phalaenopsis costa meno di 5 € all’Ikea e poco di più altrove. Così queste piante arrivano in tutte le case come piccoli oggetti di arredamento, come damigelle discrete e affascinanti. Sono piante epifite e non hanno bisogno di affondare le radici nel terreno, ma viceversa si appoggiano allo strato di sfango, foglie sminuzzate e corteccia che trovano su grandi rami degli alberi. Vengono dall’Asia e nonostante la loro travolgente bellezza, chiuse negli appartamenti, in prossimità di una finestra luminosa, strette nei loro piccoli contenitori di plastica e legate come salamini ai loro supporti, sembrano sempre un po’ spaesate e assenti, quasi artificiali. Ma la tentazione era forte e una phalaenopsis è arrivata anche in casa mia. Ne contemplo la forma, la trama come di seta, e penso quanto questi fiori debbano aver ispirato certi riti, certe manifestazioni dell’arte tutta asiatica, fatta di colori teneri e intensi, forme limpide e nette, particolari essenziali e smaglianti.
Lithops, i sassi vivi
Le piante di questo genere, originarie dell’America del Sud, assomigliano a sassi. Ciascuna pianta ha un corto fusto sotterraneo, che prosegue in una radice relativamente lunga. Il fusto interrato porta un paio di foglie semicircolare, grosse e carnose, fuse insieme per quasi tutta la loro lunghezza. Sono queste foglie che conferiscono alla pianta il singolare aspetto di ‘sasso vivo’ e il loro colore si armonizza bene con un arido sfondo di rocce. In cima alla linea di fusione c’è un’incisione o fenditura, dalla quale nella tarda estate o all’inizio dell’autunno spunta un singolo fiore simile a una margherita. Questi fiori possono essere più grandi delle foglie e sono bianchi nella specie lithops fulleri e giallo oro nella specie lithops lesliei. Dopo la fioritura le vecchie foglie gradualmente avvizziscono e seccano, mentre spunta una nuova coppia che le sostituisce. Non è molto semplice coltivare queste piante che necessitano di pochissima acqua, specie quando termina la fioritura e le foglie nuove si sostituiscono a quelle vecchie. Anche la loro crescita può essere molto lenta. Questi esemplari, già fioriti e acquaistati alla mostra mercato Frutti antichi sono appena arrivati a casa mia. I fiori stanno sbocciando e non sembrano davvero sassi.
Tragoselino comune
Questa delicata umbrellifera (apiacea) è commestibile e officinale ed è stretta parente di quella Pimpinella anisum ovvero l’anice o cumino dolce. Questa pimpinella si chiama a volte volgarmente tragoselino e non va confusa con un’altra erba, che ahimè viene detta volgarmente pimpinella,ed è la Sanguisorba (vedi anche 6 novembre 2008) e appartiene alla famiglia delle Rosaceae. Confonderle non fa male, perché entrambe sono piante gustose e generose, ma certo il loro utilizzo e la loro natura sono assai differenti. La sanguisorba non è parente dell’anice. Come sarebbe tutto più facile se le piante avessero un unico nome e non si creassero questo confusioni! Ma le piante, come le parole, hanno radici antiche e antiche storie ed è difficile cancellare le
tracce di troppe generazioni che le hanno incontrate e usate.
Maclura
Inconfondibile quando porta i frutti, piccoli e rugosi, ma raccolti in grappoli così densi da assumere la forma di un pomo. Nonostante l’aspetto vagamente invitante, i frutti non sono commestibili.
Senza frutti, sembra un albero alquanto comune, con foglie ovate, alterne, affusolate lungamente verso l’esile apice. Erano ancora verde brillante in questo inizio d’autunno, anche se pronte ormai ad ingiallire velocemente. Senza i frutti bisogna aiutarsi con altri particolari per riconoscerla. Per esempio le lunghe spine che compaiono sui rami, o la corteccia con profonde fenditure e un colore marrone aranciato.
L’albero è originario dell’America del Nord, ed è stato importato in Europa per sostituire il gelso, decimato da una malattia. Sono infatti entrambi della famiglia della moraceae; ma i bachi da seta non gradiscono le foglie della maclura. E’ rimasto, comunque, come albero ornamentale, abbastanza comune su suoli umidi. Questo esemplare si specchiava, insieme a vari suoi simili, nell’acqua ferma del fossato del castello di Paderna (Piacenza).
Cimicifuga
Astro settembrino
Sono ritornata per la strada del Monte Fasce, che non percorrevo da alcuni anni. Proprio sopra Apparizione, prima ancora di arrivare a quel monte Borriga, conosciuto come Liberale, dove si trova una celebre omonima trattoria, nonchè un monastero, la strada si inerpica stretta e tortuosa su per crinali spogli d’alberi, ma ricchi di vegetazione erbacea. Sul pendio ripido e brullo sbocciano, come stelle rosate, i cespugli densi di astri settembrini. Non li avevo mai visti. Da dove vengono? Ci sono sempre stati?
— Il vero viaggio non è quello di andare verso nuovi paesaggi, ma di avere occhi diversi —
Riprendo una citazione molto in voga sul web (da ‘La prigioniera’ di Marcel Proust) e immagino di averli riconosciuti oggi per la prima volta, dopo decenni che percorrevo questa strada in tutte le stagioni.
Probabilmente si tratta di Aster sedifolius, o meglio Galatella sedifolia, una varietà coltivata anche per ornamentale. La sua generosa fioritura tardiva, le poche pretese, la resistenza alle avversità ne fanno una pianta gradita e piacevole, con grandi possibilità di sopravvivenza.
Così ne guardavo, di sfuggita dall’auto (stavolta è difficile scendere da cavallo, fermarsi in questa strada ripida e stretta, trafficatissima di domenica), i cespi sparsi ovunque per il prato, un colore delicato in contrasto con questa natura già brulla, disposta ormai a regalare soltanto il rosso di foglie e bacche. E mi parevano quasi spaesati, come capitati per caso. Ma forse, magari, è soltanto un’impressione.
Fittonia
Ho un grande rispetto, e un po’ di senso di colpa, nei confronti di tutte le ammirevoli piante tropicali che hanno in sorte di essere deportate in qualche appartamento, e qui ridotte alla stregua di soprammobili, neglette ed incomprese. Non sono piante strane, o finte, soltanto straniere e lontane dal loro habitat. Ma nel loro paese sarebbero capaci di crescere disordinate e libere, conquistandosi il loro posto in mezzo alle altre, fiorendo e fruttificando, e riproducendosi come si deve.
Benchè la fittonia sia una pianta da appartamento, si difende strenuamente ed è tanto bella quanto difficile da coltivare. Ne ho avuto una quando vivevo negli Stati Uniti (la fittonia è sì americana, ma tropicale del Sud), la trovavo assolutamente splendida, ma è durata poco. Come gli amori intensi, brevi e sfortunati, mi è rimasta nel cuore.
Questa specie, fittonia argyroneura, ha venature bianco lucenti su foglie verde scuro. Un disegno raffinato, un intreccio preciso ed elegante. La creazione non esiste, solo l’osservazione della natura.
Fotografata nell’ orto botanico di Genova.
Agnocasto
Ha dei fiori molto belli quest’alberello, piuttosto un arbusto, della famiglia delle verbenaceae*, e, insieme alla verbena (11 agosto 2009), è uno dei pochi esponenti mediterranei di questa famiglia. Ma la stagione dei fiori è ormai conclusa, e anche all’agnocasto restano solo i piccoli frutti, qui ancora immaturi, carnosi, simili a bacche, nero-rossicci a maturazione; venivano impiegati come succedaneo del pepe.
Alberello dai mille segreti, indicato per risolvere molteplici problemi di salute, dalla colite al raffreddore, come lassativo o per stimolare il latte delle puerpere. Ma soprattutto è famoso per calmare i bollenti spiriti, a causa delle supposte proprietà “anti-afrodisiache”, utili per monaci e sacerdoti. Da cui il nomignolo ‘pepe dei monaci’ che si porta dietro, insieme a un nome specifico che suggerisce castità e purezza.
Strano incontro, nell’orto botanico di Genova. In Liguria non cresce spontaneo e io non l’avevo mai visto.
*Cito però da actaplantarum : La sottofamiglia Viticoideae a cui appartiene Vitex agnus-castus, prima considerata appartenente a Verbenaceae, secondo la moderna classificazione è stata inclusa nelle Lamiaceae.
Lingua cervina
L’ho trovato nel mio giardino sotto l’edera, accanto alle campanule e i ciclamini, fra le foglie di violetta selvatica e un germoglio di alloro. Al centro della sua rosetta cresce l’Asplenio tricomane (26 ottobre 2009). Avevo ingenuamente creduto fosse esotica, magari coltivata, finché qualche lettura opportuna mi ha convinto del mio errore. Invece si tratta ancora una volta di una felce assai comune nei luoghi ombrosi e sui muri umidi e poco esposti al sole. Fa parte della famiglia delle aspleniaceae, ma non è Asplenium. La lingua cervina è felce comune in tutto il territorio, utilizzata anche come pianta medicinale per numerose affezioni di vario genere e in Toscana, ma anche Lazio e Campania, è una delle ‘erbe da fuoco’ per la cura delle scottature. Per ora prospera e fa bella mostra di sè sull’aiuola più ombrosa. Di questa pianta avevo già parlato come scolopendria il 13 gennaio 2010, dove si trovano altre informazioni sulle felci.
Tricyrtis
E’ un giglio e viene dall’Himalaya. E’ delicato e perfetto, rustico e coraggioso, ma non meno di certi suoi parenti selvatici di qui, come il giglio martagone.
Anche questa è un piccola pianta straordinaria e sconosciuta, un pezzetto di ignoto da portare a casa mia.
Dato la maggior parte, pardon la totalità, della piante da appartamento viene da lontano e in natura prospera in climi assai diversi dal nostro, questa pianta non è una rarità, soltanto una nuova opportunità di scoperta. Giro per mostre e mercati per vedere e conoscere piante diverse. Anche se amo la natura selvatica e le specie di casa mia, il giardino diventerebbe troppo noioso se davvero dovessimo limitarci ai fiori che conosciamo da sempre.