Arisaro

L’arisaro, pianta tipica dell’areale mediterraneo o dell’olivo, fiorisce per tutto l’autunno e l’inverno in Liguria non troppo lontano dal mare, sul monte di Portofino, ma anche nella vallata del torrente Lavagna, la val Fontanabuona.

Arisaro

Arisarum vulgare
gennaio 2023

Come è tipico nella  famiglia delle Araceae, i suoi fiori sono racchiusi in una brattea, detta spata, tubulosa e striata. In questa specie (Arisarum vulgare), la spata è a forma di cappuccio e lo spadice, cioè l’infiorescenza ramosa, sporge dai suoi bordi piegandosi in avanti come una linguetta che penzola. Le foglie sono persistenti, lucide e spesse, ma morbide e a forma di cuore. Nell’insieme l’aspetto è abbastanza sorprendente e fa venire in mente qualche illustrazione delle favole.
L’arisaro è un parente stretto di Arum italicum, una pianta selvatica e infestante (vedi 12 gennaio 2009), ma anche della calla da giardino, Zantedeschia aetiopica, e di piante più esotiche, come Colocasia esculenta, che si fa chiamare orecchio di elefante quando è ornamentale e igname quando è un alimento.

Arum italicum

Arum italicum
aprile 2009

Davvero Arisarum assomiglia parecchio ad Arum, anche lui pianta dell’areale mediterraneo in senso stretto. E allora succede che talvolta siano chiamate con gli stessi nomignoli, gigaro, o erba biscia, o pan di serpe. Non voglio creare confusioni, per me il gigaro resterà sempre e solo Arum.  Anche i fiori del gigaro, come scrivevo in un vecchio post del 2 maggio 2010 che oggi in parte riprendo, non sono privi di un fascino un po’ inquietante. La parte appariscente però non è il fiore, è ancora una volta la spata, una brattea larga e vistosa che avvolge l’infiorescenza a spadice. Come nella maggior parte della Araceae, grazie a questa struttura arisari e gigari mantengono una temperatura interna, in corrispondenza dei fiori, decisamente superiore a quella esterna, utilizzando per questo riscaldamento una notevole quantità di energia metabolica. Il calore attira in modo efficace gli insetti impollinatori ed è per questo che, nonostante il suo costo, è stato favorito dall’evoluzione.

Calla

Zantedeschia aetiopica

Come nel gigaro, le foglie, il fusto e le bacche dell’arisaro sono velenose.  Ma le radici erano un tempo consumate come alimento e sono tuttora ricercate dai cinghiali che ne sono ghiotti. Nonostante l’accertata tossicità, l’arisaro è stato usato a lungo come medicina per la cura di molti malanni.

Anche la calla (foto a sinistra) , quella da giardino, mostra spadice e spata, quest’ultima larga e candida come il colletto di un abito rinascimentale. Come suggerisce il nome scientifico, Zantedeschia aetiopica, la pianta è di origine africana. Per qualche ragione che non sento veramente di condividere e quindi non so spiegare, la calla è ricercata nei giardini, ospite invitata e vezzeggiata, mentre il gigaro che le assomiglia davvero un bel po’ è un ospite inatteso e spesso sgradito. Misteri dell’animo o dei traffici umani.

Igname o yam, tubero tropicale

Colocasia esculenta

Colocasia esculenta
Inhame-roxo
Inhotim, MG, Brasile

 

Colocasia

Colocasia esculenta
Inhame o orecchio d’elefante
Inhotim, MG, Brasile

L’igname è un tubero commestibile coltivato nei paesi tropicali. Ma che cos’è veramente? Il tubero non è una radice, è una porzione di fusto, generalmente sotterraneo, in cui certe piante immagazzinano nutrienti e sostanze essenziali, come amidi e zuccheri. In portoghese, la parola “inhame” designa vari tuberi commestibili che appartengono a piante di genere molto differente come Dioscorea, Alocasia, Colocasia, Xanthosoma, e Ipomoea. Difficile mettere ordine nei nomi comuni e nel loro uso regionale. Italianizzo il termine in igname o yam e cerco il bandolo della matassa.
Alocasia e Colocasia (famiglia Araceae, come il gigaro e la calla) forniscono un tubero denominato taro che viene consumato essenzialmente nelle isole tropicali di Asia e Oceania. Alle nostre latitudini, ma anche in Brasile apparentemente, queste piante sono utilizzate soprattutto come ornamentali e note con il nomignolo di orecchio di elefante.
C’è poi l’Ipomea batata (famiglia Convolvulaceae, vedi 22 luglio 2008 ), che è diversa dall’igname e viene chiamata patata dolce, o addirittura patata americana. Questa denominazione mi fa sorridere perchè la più famosa patata, Solanum tuberosum è americanissima anche lei in origine, prima di trasformarsi nell’alimento principale di gran parte dell’Europa. Invero la cosidetta patata dolce è rimasta quasi soltanto americana e questo potrebbe giustificare appunto il suo nome.

Igname, Dioscorea sp.

Igname (Dioscorea sp.)
sul un banco del mercato della Lappa a San Paolo, Brasile

L’igname brasiliano, detto anche carà, è ricavato da piante della famiglia della Dioscoreaceae. Esistono 600 specie diverse di Dioscorea, ma soltanto 14 hanno usi alimentari, tutte comunque originarie di Asia e Africa e importate in America in tempi relativamente recenti. C’è molta confusione nella terminologia come sempre accade per vegetali di grande uso alimentare, ognuno li chiama a modo suo, come era abituato nella propria famiglia e la confusione dell’uso casalingo diventa confusione nell’uso pubblico. C’è voluto addirittura il pronunciamento di una congresso, dedicato a inhame e taro,  che ha stabilito, nel 2002, che l’ortaggio conosciuto come ‘inhame’ nel Sudest, Centro e Sud del Brasile  è in realtà il taro, rizoma della  Colocasia esculenta, mentre i tuberi del genere Dioscorea, che in precedenza venivano chiamati carà nelle regioni sopra menzionate e inhame nel Nordest debbano essere definitivamente designati da tutti come inhame.
Il gusto di questo tubero, che va consumato cotto, è molto simile a quello della patata, anche se la consistenza è leggermente più porosa. Le sue qualità nutrizionali e salutari sono notevoli, anche se la caratteristica farmacologica più peculiare del genere Dioscorea è la presenza di una molecola, la diosgenina, molto simile strutturalmente all’ormone progesterone e utilizzata per fabbricare le prime pilole anticoncezionali.

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Orecchie di elefante

colocasia esculentaPresso il prezioso stagno della fontana del drago, accanto ai papiri, di fronte alla canoviana ‘schiava’ di marmo bianco, crescono le colocasie, soprannominate orecchie di elefante. Le tartarughine ne sono ghiotte e mordono con avidità i larghi lembi.
colocasia esculenta
Altre piante simili della famiglia delle araceae (come il gigaro, 12 gennaio 2009, e la calla, 2 maggio 2010) si sono guadagnate questo soprannome per le vaste foglie dondolanti; così a volte le orecchie di elefante rispondono al nome di alocasia, verdi con macchie brune.

colocasia esculentaNel Ponente ligure,  si incontra di frequente anche come pianta ornamentale, in vasi per le strade, questa Colocasia, che mi pare assai simile a quella della villa, con tenue macchiette gialle ai bordi. Qui è stata fotografata in un vicoletto della frazione di Valloria (Prelà, Imperia).
Nel suo paese di origine, la Polinesia, si chiama taro ed è una pianta alimentare, di cui si consumano i tuberi, ricavandone anche amido e farina, e le foglie. Non mi azzarderei ad assaggiare queste colocasie da giardino, forse soltanto perchè ignoro i trattamenti che hanno subito per mantenerne la bellezza anche così lontano dalla loro regione di nascita. Ma apprendo che il taro, con altri nomi, è alimento essenziale anche in certi paesi dell’Africa e in America meridionale.