Fra le sterpaglie e le foglie accartocciate del sottobosco spoglio, l’elleboro è uno dei primi fiori a far capolino, con le sue infiorescenze giallo verdi, pallide e delicate. Oggi questo genere di fiori è assai ricercato dai fioristi e nei vivai, soprattutto nella varietà Helleborus niger, noto come rosa di Natale, che, a dispetto del suo nome è bianchissimo, oppure Helleborus orientalis, con affascinanti varianti di colore.
Nei boschi, si incontrano più facilmente le varietà spontanee di Helleborus viridis (a sinistra), dai grandi fiori solitari, e i cespi di Helleborus foetidus, elleboro puzzolente (a destra, Canate, gennaio 2007). Quelli che sembrano petali sono in realtà sepali bianco verdastri, disposti a forma di tazza capovolta, talvolta con sfumature rossiccie ai margini. Le foglie sono spesse, palmate, nell’H. foetidus sembrano sottili mani dalle molte dita (vedi 25 gennaio 2009).
Il nome del genere ha senza dubbio origine greca, secondo actaplantarum è semplicemente il nome del fiume presso la città di Anticira, dove cresceva l’H.orientalis, pianta usata per curare la follia. Più che la pianta, le antiche leggende greche tramandano che fosse il latte di capre e pecore che dell’erba elleboro si erano cibate ad essere magico medicamento non solo per le malattie della mente, ma anche per molti altri malanni. Secondo altra fonte(1), il nome elleboro deriva da due termini “helein” che significa uccidere e “bora”, pascolo nutrimento, ovvero “cibo che uccide”, sinistra allusione al fatto che la pianta è certamente velenosa, come numerosi suoi parenti della famiglia delle ranunculaceae. Anche i nome delle specie, lividus, niger, foetidus non sono molto elogiativi. H. foetidus deve il suo aggettivo all’odore non proprio garbato che emana attraverso ghiandole presenti nelle foglie e nel fusto. Non ho mai sentito quell’odore, ma pare che io non sia la sola, ormai gli odori antichi sfuggano alle nostre moderne narici. E così, mentre mitologia e tradizione popolare hanno per secoli e millenni attribuito agli ellebori fantasiose virtù magiche e curative, da tempo essi non sono più considerati piante medicinali, anche perché si sa che contengono due glucosidi, elleborina e elleboreina, mortalmente tossici.
Piante molto note ed ammirate perché fioriscono d’inverno, gli ellebori furono definiti “uno dei benefizi della natura per adornare la mesta nudità dell’inverno”. In sintonia con gli antichi usi officinali, gli ellebori assumono il valore simbolico di “follia d’amore”, ma anche di purezza, tanto che in alcune regioni d’Italia sono chiamati ‘fiori di Sant’Agnese’.
(1)G.Nicolini e A.Moreschi – Fiori di Liguria, Edizioni SIAG, Genova, senza data