Viole

Viola odorata

Viola odorata

Viola reichenbachiana

Viola reichenbachiana

Viole. Viole dappertutto. Nel bosco fra le pietre e le foglie. Nell’aiuola degli ellebori e ai piedi del calicanto spoglio. Nelle crepe delle scale e sotto lo scarico della grondaia.
Viole, viole a ancora viole. Viole, cinque petali scompigliati, e una sperone appuntito. Viola.

Viola odorata

Viola odorata

Cuscinetti di foglie verdissime a forma di cuore. Quante viole nel prato e sul marciapiede.

Viole

Viola odorata

Nella loro famiglia, Violaceae, ci sono solo loro, le viole. Tutte le viole. Le altre più ricercate,  la viola tricolor e la rara viola di Bertoloni, tutte le altre arriveranno dopo.
Ora solo loro, le piccole viole. Viole dappertutto.

Cardamine

Cardamine hirsuta

Cardamine hirsuta

Nessun dubbio sulla famiglia dove collocare questa piccola pianticella, cardamine, dalle minuscole foglie dal sapore piccante. I suoi fiorellini bianchi a quattro petali disposti a croce sono tipici delle Brassicaceae, la famiglia dei cavoli, che in passato si chiamava per questo famiglia delle Cruciferae. Le piante di questa famiglia sono tutte commestibili e benefiche e il nome cardamine (dal greco κάρ, cuore e δαμάω, domare, vincere) indica proprio supposte proprietà della pianta per la cura delle malattie cardiache. Detta volgarmente billeri primaticcio, o meglio crescione dei prati, la Cardamine hirsuta (vedi 4 aprile 2009) cresce veramente dappertutto e in questa stagione illumina con i suoi cespi verde brillante e le sue corolline candide ogni angolo del giardino. E non solo, non disdegna di crescere anche nelle fessure, le fughe, fra le mattonelle dell’impiantito. Le silique (i frutti) della billeri sono allungate come microbacelli (no, no, non sono bacelli, quelli sono i frutti delle leguminose), e si aprono di scatto spruzzando i semi tutt’intorno.

Cardamine pratensis

Più elegante ed eretta, si eleva nel prato di marzo la Cardamine pratensis, eccezionalmente incontrata nei prati dell’elegante villa Marlia vicino a Lucca.

Cardamine pratensis

Cardamine pratensis

Erica d’inverno

Erica carnea

Erica carnea

D’inverno fiorisce l’erica carnea, la più coraggiosa di tutte le eriche. I suoi cuscinetti rosa svettano sulla paglia appassita del prato e fra le pietre livide. Proprio per questo si chiama carnea, carnicina, per il colore dei suoi fiori. Li guardo da vicino e vedo una corolla a forma di botticella, con quattro petali poco divisi, contornata da un calice breve e leggero, con i sepali lievemente rosati. Le antere, brune, spuntano dalla sommità della corolla e lo stilo, chiaro e filiforme, svetta con la punta rosata dello stimma.

Erica carnea

Erica carnea

L’erica è una pianta magica, una pianta da fate. La famiglia conta diverse centinaia di specie, semplici e appariscenti, frugali, ma ricercate. Il giardino delle eriche è la brughiera (brugo è il nome volgare della da noi comunissima Calluna vulgaris, un’ericacea che fiorisce d’estate), una campagna rocciosa e scoscesa, battuta dal vento. Piante rupestri, le eriche vogliono suoli umidi e acidi, il famoso terreno d’erica in cui prosperano anche rododendri e camelie. Piante legnose, hanno foglie sottili e pungenti, ma i loro fiori hanno colori sgargianti.
Oltre alla carnicina, in Liguria si trovano altre tre specie di eriche, E. cinerea, che assomiglia alla carnea ma fiorisce più tardi, E.arborea e E. scoparia (vedi anche 9 marzo 2010), che hanno un portamento simile e i fiori bianchi. La loro sorellastra Calluna vulgaris, quella che tutti chiamano erica, ma erica non è, si distingue perché i suoi fiori hanno una geometria piuttosto diversa, il calice è più lungo della corolla e questa ha petali divisi.

Bucaneve

BucaneveGalanthus nivalis

Galanthus nivalis

Niente neve quest’anno, ma tanti bucaneve sul bordo della strada. Anche se non bucano più, la meraviglia della loro fioritura allieta lo spirito e anticipa la bella stagione.  Il nome, Galanthus nivalis, descrive un fiore bianco come il latte che non ha paura della neve. Precoce e impaziente di salutare l’allungarsi del chiarore del giorno, è una delle avanguardie della fioritura del bosco e sarà altrettanto veloce a scomparire quando la primavera irromperà decisa, lasciando solo un piccolo bulbo sottoterra, protetto dalla calura estiva.

Bucaneve Galanthus nivalis

Galanthus nivalis

Nello stesso periodo e negli stessi ambienti si incontra spesso un altro bucaneve, meglio conosciuto come campanellino, il Leucojum vernum, così simile al precedente che i due risultano facilmente confondibili. Il nome Leucojum significa ‘viola bianca’ perché questo fiore è precoce come le violette, ma di colore candido, mentre la parola vernum non ha niente a che fare con l’inverno, anzi significa proprio primavera. Entrambe queste specie  appartengono alla famiglia delle Amaryllidaceae, la famiglia dei narcisi e delle giunchiglie, in cui da qualche tempo però hanno trovato casa anche aglio e cipolla (genero Allium), e sono pianticelle minute, alte al massimo 20 cm.

CampanellinoLeucojum vernum

Leucojum vernum

Gli steli portano un solo fiore (molto raramente due), pendulo, con il peduncolo avvolto in un rigonfiamento membranoso, detto spata, e hanno sei tepali (così si chiamano sepali e petali quando sono indistinguibili). Nel Galanthus, i tre tepali esterni sono lunghi quasi il doppio di quelli interni, e questi ultimi sono striati di verde nell’incavo. Il Leucojum invece ha sei tepali tutti lunghi uguali con una macchia giallina sulla punta.
La leggenda racconta che i bucaneve furono il dono di un angelo gentile ad Eva, che era afflitta per aver dovuto abbandonare il magnifico giardino dell’Eden, così ricco di fioriture. Impietosito, per consolarla l’angelo trasformò i fiocchi di neve in bianche corolle che ricoprirono il terreno spoglio. Tante storie e tanta bellezza hanno impreziosito queste umili piante e le hanno rese ricercate. Così pagano il pegno della loro celebrità con il rischio di scomparire, indicati in progressiva rarefazione in molti ambienti. Per questo sono quasi stupita di incontrarli, tanti ciuffi di campanelli bianchi che ornano come ai tempi di Eva il tappeto di foglie morte, nel bosco a pochi chilometri da casa mia.
Sembra che queste Amaryllidaceae siano particolarmente interessanti dal punto di vista farmacologico perché molto ricche di  alcaloidi preziosi.  Esistono testimonianze di un uso tradizionale dei bulbi di bucaneve come sedativo, ma l’utilizzo tradizionale era principalmente esterno, per impacchi di foglie e cataplasmi antinfiammatori sulle ferite, perché l’ingestione può provocare avvelenamento. La medicina moderna  impiega la galantamina, un alcaloide contenuto in queste piante, nel trattamento sintomatico della malattia di Alzheimer, mentre altri composti estratti da entrambe le specie potrebbero aver effetti antivirali e antitumorali.

Avevo già parlato del Leucojum vernum o campanellino sul mio vecchio blog(vedi 1 aprile 2009).

Fumaria

Fumaria officinalis

Fumaria officinalis

La fumaria era fiorita nel febbraio soleggiato del 2023, lungo un viottolo che sale verso la chiesa di San Martino di Struppa. Questa comunissima pianta, non priva di rustica grazia, ha fiori di un bel rosa carico, raccolti in fitte infiorescenze racemose, e foglie profondamente incise. Il suo nome deriva dal color grigioverde delle foglie, che diventa grigio fumo quando vengono seccate. Gli antichi  (nel senso dei nostri antenati contadini) avevano una fantasia particolare nell’assegnare i nomi alle piante, fantasia che derivava da una realtà molto semplice: le osservavano a lungo, in tutte le stagioni, durante tutto il loro ciclo vitale e non solo. Per noi ormai si tratta più che altro di un’erbetta infestante e, dato che  cresce veramente dappertutto,  siamo molto più solerti a strapparla via che a osservarne aspetto e colore.

Fumaria officinalis, come indica il nome, è una pianta impiegata largamente in fitoterapia, indicata genericamente come depurativa del fegato e digestiva, ma anche come fluidificante del sangue. Deve però essere usata con cautela perché, come molti altri vegetali, contiene un’accurata miscela di principi salutari e veleni, e in particolare un alcaloide tossico, la fumarina.

Con un certo stupore apprendo che appartiene alla famiglia delle papaveraceae, il che vuol dire che è parente dei papaveri, dell’escolzia, della celidonia, e di altre che le assomigliano un po’ di più, come colombina e dicentra. E’ comunque importante conoscere le affinità delle piante, soprattutto quando non ci appaiono per niente ovvie.

I miei vecchi post sulla fumaria:
9 maggio 2008
18 aprile 2010

Piante da fossato

Anfiteatro di LuniPiante nel fossato

Anfiteatro di Luni

E’ ancora inverno e la pioggia è caduta abbondante. Oggi splende il sole, ma nei solchi erbosi fra le antiche pietre del glorioso anfiteatro di Luni, l’acqua ristagna come in un pantano. In questi brevi fossati crescono i getti verdissimi del sedano d’acqua (Helosciadium nodiflorum) e sulle mura umide brillano, quasi immerse nell’acqua come il sedano, le foglioline grassocce della Cymbalaria muralis, cimbalaria dei muri o volgarmente ciombolino. Questa graziosa piantina, dall’aria timida e dimessa, è in realtà una rampicante dalle interessanti caratteristiche.

Cymbalaria muralis

Cymbalaria muralis

I fusti filiformi, che radicano ai nodi e sono lunghi fino a 60 centimetri, si insinuano fra le pietre con una straordinaria capacità di adattarsi agli anfratti della roccia. Sembra quasi che siano dotati di intelligenza perché, dopo la fioritura, i peduncoli portanti le capsule con i semi si incurvano e si ritorcono alla ricerca delle fessure più accoglienti per la germinazione. Durante quasi tutto l’anno, la pianta sfoggia minuscoli e aggraziati fiorellini  a forma di tubo terminanti a labbro, dai colori screziati, violaceo pallido con l’interno giallo (vedi anche  16 marzo 2009).

Helosciadium nodiflorum

Helosciadium nodiflorum 

La delicatezza e  precisione delle forme di questi fiori ricorda quelli di alcune sue parenti più celebri, la bocca di leone, la digitale e la più modesta linaria (vedi anche 13 giugno 2008), di cui è quasi sorella, essendo fino a poco tempo fa chiamata Linaria cymbalaria.  Umile e coraggiosa, questa pianta è molto adatta a guarnire muretti che potrebbero essere colonizzati da erbe meno simpatiche.  Inoltre è specie officinale con benefici effetti curativi.  Anticamente veniva consumata in insalata e vi si ricavava un’acqua medicinale ritenuta un vero toccasana dagli erboristi settecenteschi.

Ranunculus repens

Ranunculus repens

Altre foglie luccicano sul pelo dell’acqua stagnante degli stretti fossati. Sono foglie di Ranunculus repens, ranuncolo strisciante.  Questa specie rende piena giustizia al nome del genere, in quanto ranuncolo significa ranocchio, appunto a causa dell’ambiente umido che queste piante prediligono, proprio come le raganelle. Tutti i ranuncoli sono velenosi e gli antichi  utilizzi medicinali sono stati completamente abbandonati. I fiori, brillanti e lucidissimi, hanno una bellezza selvatica, sfacciata, e soltanto alcune specie esotiche hanno guadagnato l’attenzione dei curatori di giardini. Ma il loro giallo esplosivo è inconfondibile sul bordo delle strade e negli incolti e il tessuto dei loro petali sembra ritoccato con il pennello. Peccato che la stagione acerba non ci permetta ancora di ammirarne la fioritura.

 

Banksia

Banksia praemorsa

Banksia praemorsa

Joseph Banks, l’uomo che ha inventato i Royal Gardens di Kew, è stato uno dei botanici inglesi più influenti del 18° secolo e di tutti i tempi. Accompagnando Cook nella sua fortunata spedizione in Oceania, affiancato da Daniel Solander, discepolo di Carlo Linneo padre, descrisse per la prima volta la stupefacente flora australiana. Non stupisce quindi che Carlo Linneo figlio dedicasse a lui uno dei generi più iconici del nuovissimo continente, Banksia, della famiglia delle Proteaceae. Le Banksia sono cespugli o anche alberi, con foglie alterne e curiose fioriture.  In Australia e Nuova Guinea ne esistono 185 specie diverse, che si differenziano moltissimo nella forma delle foglie. Ecco per esempio la Banksia praemorsa, così detta perché le sue foglie sono tronche sulla punta, come se fossero state morsicate; o la Banksia ericifolia, con foglie aghiformi che ricordano quelle dell’erica. O ancora Banksia robur, le cui foglie assomigliano a quelle del castagno o della quercia e che deve il suo nome, che indica forza e robustezza, forse proprio alla sua somiglianza con un grande albero, anche se in realtà non lo è.

Banksia ericifolia

La caratteristica più appariscente di tutte, o quasi, le Banksia sono le infiorescenze, costituite da un asse centrale legnoso da cui si dipartono un grande numero steli di fiori, disposti a coppie e a raggiera. I frutti, quando spuntano,  sono racchiusi in scrigni legnosi (follicoli), rigidi e tenaci, che solo il fuoco può scalfire. Infatti queste piante sono fatte apposta per risorgere dopo le fiamme e hanno bisogno delle temperature e delle sostanze prodotte dal fuoco per germogliare.

Banksia robur

Banksia robur

Ho incontrato i singolari arbusti di queste fotografie nel magnifico orto botanico di Château Pérouse, che si trova vicino alla città di Saint-Gilles, al confine fra la Camargue e l’Occitania. Questo giardino si estende in una zona collinare, già adornata da magnifici cedri e altri grandi alberi, e accoglie specie provenienti da tutti i continenti adattabili al clima del luogo. Così si incontrano piante  che provengono non solo da tutto il Mediterraneo e da regioni dell’Africa e del Medio Oriente dove il clima è simile, ma anche essenze originarie del Sud Africa, della California, del Cile e naturalmente dell’Oceania, che vivono in climi con caratteristiche affini a quello mediterraneo. L’esperimento ricorda quello del paesaggista Gilles Clement che ha creato un giardino mediterraneo planetario nel Domain du Rayol in Provenza, con piante provenienti da tutto il mondo.
Proprio i giovani giardinieri del parco Pérouse ci hanno raccontato come per far maturare i semi di Banksia occorra riscaldarli con la fiamma di un cannello per schiuderli e poi trattarli con composti derivati della combustione per convincerli a germinare.

Calendula

Calendula officinalis

Calendula officinalis

Sotto l’uggiosa pioggerellina di questo pomeriggio di gennaio, la calendula è ancora fiorita. Ancora o già non importa; anche se sui libri c’è scritto che la sua antesi, cioè il periodo di fioritura, va da marzo a giugno, oppure da maggio a dicembre, a lei non interessa proprio, e in questo inverno sempre più tiepido, non ci fa mai mancare i suoi fiori.
Ha imparato dalla sua sorellina selvatica, abitante dei prati, il fiorrancio, ovvero Calendula arvensis, che per tener fede al suo nome, calendula per calendae, primo giorno del mese, rinnova la sua fioritura una volta al mese per tutto l’arco dell’anno. Il fiorrancio ha fiori gialli e corolle più minute, un solo anello di ligule, cioè i petali colorati. Però può diventare molto appariscente quando appare in gruppi numerosi. E’ pianta mediterranea, che cresce nell’areale dell’olivo.

Calendula arvensis

Calendula arvensis

La Calendula officinalis, specie tipicamente da giardino, ha origini incerte ed è più robusta, ha capolini corposi, con due giri di ligule, gialle o arancioni.

Una delle caratteristiche più curiose delle calendule sono i frutti. Quando il capolino appassisce, maturano piccoli acheni, anche detti cipsele, all’apparenza legnosa, variamente conformati, curvi e rostrati quelli più esterni, sempre arcuati, ma più corti e anulari quelli centrali, tutti provvisti di una cresta spinosa sulla superficie convessa.
Entrambe le specie di calendula hanno foglie aromatiche, ma non molto piacevoli al tatto, perché appiccicose, lanuginose e grezze. Il fusto è tozzo e contorto, non adatto a sostenere fiori recisi. Tanto meglio. Il gagliardo colore delle corolle rende perdonabile qualsiasi imperfezione.

Calendula

Calendula officinalis

Così ho provato se mi riusciva di conservarlo. Un tentativo, presuntuoso e un po’ maldestro; ma con un po’ di attenzione (i petali secchi sono fragilissimi e si staccano con grande facilità), sono riuscita talvolta a ritrovare almeno un pochino dell’intensità e del calore dorato, dopo mesi e anni che la sua linfa si era seccata. Ecco qui a sinistra l’immagine, acquisita con lo scanner, di un fiore pressato, dopo almeno 10 mesi, sbiadito, diafano, ma sempre dorato. Davvero la calendula è un fiore generoso.

Nuovi ellebori in giardino

Helleborus lividus subsp. corsicus

Helleborus lividus subsp. corsicus

Le piccole piantine di elleboro donate nel 2023 dalle sorelle Barbaglia (vedi qui) sono fiorite. Hanno foglie appuntite con piccoli denti e il loro nome più comune è per questo Helleborus argutifolius.  Invece il nome botanico corretto è Helleborus lividus subsp. corsicus e in Italia è spontaneo soltanto in Sardegna. Nei giardini invece è comune e generoso, con le sue luminose corolle giallo verdi.
Sono piante robuste, solide e precoci, in soli due anni di vita gravide di fiori. Certo, non hanno i pregiati colori e le sfumature delle più eleganti specie da giardino, ma sono cresciute cos’ nobili e felici che mi allietano anche con la loro semplicità.

Helleborus lividus subsp. corsicus

 

Tutto quello che avreste sempre voluto sapere e non avete mai osato chiedere sugli ellebori nei miei post già pubblicati:

18 febbraio 2015
29 febbraio 2024

Ancora calicanto

Calicanto d'inverno Chimonanthus praecox

Chimonanthus praecox

Calicanto d'invernoChimonanthus praecox

Chimonanthus praecox

Quest’anno i calicanti d’inverno (Chimonanthus praecox ), due alberelli di dieci anni, sono letteralmente coperti di fiori. Non devono più temere il gelo, che non c’è e chissà se tornerà mai, mentre il vento, che ha soffiato bizzarro e violento per tanti giorni, ha strappato via ad una ad una tutte le foglie, che soltanto qualche settimana erano abbondanti e solo appena sbiadite. Sui rami sono rimasti centinaia di fiori bianco crema con il cuore rosso e non c’è ramo che non ne sia carico. Il loro profumo è discreto e dolcissimo.

Ogni stagione ha i suoi fiori, coi modi e i tempi della sua luce.  E se la primavera è imprevedibile ed esagerata, l’estate sontuosa e soffocante, l’autunno morbido e generoso, i fiori dell’inverno sono ingenui e austeri, pallidi sempre. Come gli ellebori che a frotte stanno sbocciando proprio ai piedi dei calicanti, verde pallido su verde pallido, ma ancora più smaglianti di un prato di maggio.