Conosco questi fiori da molto tempo, da quando ero piccola e giravo per i boschi soprattutto in agosto e settembre, i mesi delle vacanze in campagna. La conosco, ma chissà perché non le avevo mai dato un nome. Ero quasi imbarazzata, timorosa di chiamare genziana un fiore per me così comune, quei lunghi fusti arcuati carichi di lucide campane blu, quelle foglie che strappavo e con cui giocavo come fossero di un’erba qualsiasi. No, non poteva essere veramente una genziana, che, nella mia immaginazione, era un nobilissimo fiore di montagna che mai avrei avuto l’onore di incontrare lungo la mia modesta strada nel mio boschetto casalingo. E invece anche i boschetti casalinghi erano pieni zeppi di fiori preziosi che solo in minima parte ero riuscita a riconoscere, anche perché gli adulti che mi accompagnavano erano al tempo distratti da altre preoccupazioni. Sono contenta oggi di poter chiamare con il suo nome, Gentiana asclepiadea, la mia genziana (ebbene sì, che fosse una genziana ne sono sempre stata sicura), una delle ultime ancora in fiore adesso che l’autunno è alle porte.
Alta e flessuosa, spesso incurvata, questa pianta ha foglie opposte sullo stelo, acute, solcate da profonde nervature parallele, che accolgono, stretti alle loro ascelle, gruppi di fiori campanulati di colore blu cielo. L’origine del suo nome specifico si perde nella notte dei tempi, ed indica una pianta medicinale che mitiga i mali, ovvero una pianta dedicata al capostipite di tutti i guaritori, Esculapio. Il nome del genere, poi, ha un’origine leggendaria, da Genzio, ultimo re dell’Illiria, regione sulle sponde occidentali della penisola balcanica, che ne avrebbe scoperto le qualità curative, in modo speciale per le febbri malariche.
Negli stessi ambienti di mezza montagna erbosa, seppure con maggiore preferenza per le zone più umide, si trova un’altra genziana, che scopro ancora in fiore. E’ la Gentiana pneumonanthe, chiamata volgarmente genziana mettimborsa. Entrambe hanno trovato riparo nel magico giardino botanico montano di Pratorondanino (Masone, Genova). Ma, mentre l’aclepiade l’ho fotografata proprio all’interno del giardino, per vedere i fiori della pneunomante ho dovuto spostarmi verso i piani di Praglia, nella zona denominata Vallecalda. Si tratta di una specie più piccola, identificata come quella ‘genziana minima’ citata dal botanico Mattioli in un suo trattato del 1568. Non più alta di 50 cm, ha foglie sottili con una nervatura soltanto, e fiori che nascono a mazzetti all’apice del fusto e alle ascelle delle foglie superiori. Il suo nome scientifico, dovuto ovviamente a Linneo, viene dal greco pneuma, soffio, vento, polmone e anthos, fiore. Magari chi l’ha chiamata così aveva pensato a un suo utilizzo per la cura delle affezioni polmonari, anche se in realtà la sua efficacia non pare documentata. Magari significa solo fiore del vento, un epiteto che certamente si adatta un po’ a tutti i fiori. E’ curioso come non legga da nessuna parte l’origine e il significato del suo nome più comune, mettimborsa, che sarebbe di origine toscana, ma ormai di impiego generale. Convive con l’asclepiade, ma non sembra che esistano ibridi. Entrambe vengono impollinate da bombi coraggiosi che si calano dentro al loro tubo florale, ma sono anche capaci di impollinarsi da sole quando il polline cade dalle antere sul fondo della corolla.
Scrivevo di lei già il giorno 22 ottobre 2009, incontrandola proprio nello stesso luogo ormai sfiorita: “Perchè dovrebbe essere meno bella questa genziana, ora che ha perduto la lucentezza dei sui calici blu e se ne sta dritta e arida di fronte a un prato di brugo ancora pallidamente in fiore? “