Non ho mai visto i fiori del caffè, ma leggo che sono piccoli, a quattro petali e profumano di gelsomino. Come si conviene a un membro della famiglia delle rubiaceae, piante come robbia selvatica (rubia peregrina, 24 giugno 2009) o il caglio zolfino. In realtà non mi sembra di aver mai visto una ‘vera’ pianta del caffè, non perchè questa sia falsa, ma era parte di un’esposizione di piante alimentari all’interno di Murabilia 2010, mostra mercato sulle mura di Lucca. E davvero non credo sarei in grado di distinguere la più celebrata e diffusa coffea arabica dalla più rustica ed adattibile coffea canephora, meglio nota come coffea robusta.
Ma mostro quest’immagine perché credo sia giusto conoscere un pochino le piante che utilizziamo per abitudine, quasi dimenticandone l’origine e l’essenza. E’ giusto ricordare che hanno anche delle foglie, non solo i semi, o fave, che vengono tostate e macinate per il consumo. La pianta del caffè è originaria dell’Africa, ma viene coltivata in tutti i paesi tropicali e subtropicali e si stima che la sua coltivazione fornisca lavoro e sostentamento a 20 milioni di famiglie in tutto il mondo, fra Brasile, Colombia, Vietnam ed Indonesia. La caffeina ha proprietà stimolanti sul sistema neuromuscolare e virtù terapeutiche, se assunta in piccole dosi.
Bauhinia in fiore
Così esotica e ricercata, inconfondibile con le sue foglie separate in due lobi, non lo nascondo, è una delle mie piante preferite. Non è un caso che l’abbia già mostrata altre due volte, la brasiliana Bauhinia forficata (9 novembre 2009) e l’indiana Bauhinia purpurea (1 marzo 2010). Ma sempre senza fiori. E dire che quest’albero è detto anche albero orchidea per l’eleganza della fioritura. Anche quest’anno ho incontrato diverse bauhinie nel mio vagabondare per giardini (si tratta di piante tropicali, difficilmente adattabili ai nostri climi ed è certo impossibile incontrarne di spontaneizzate). Ma soltanto a villa Hanbury questa Bauhinia aculeat subsp. grandiflora, originaria del Perù conservava ancora qualche brandello di fioritura. E sotto i fiori già facevano capolino i verdissimi bacelli, lunghi e ancora sottili. Come ho già detto nei post precedenti, la bauhinia è generalmente inserita nelle fabaceae, anche se certi autori preferiscono collocarla in una famiglia speciale, le caesalpinaceae, insieme a Cercis (albero di Giuda, 6 aprile 2009). Come sempre, io mi sforzo di limitare la complessità della materia per facilitare la mia imperfetta memoria; quindi mi va bene nelle fabaceae…
Catalpa
La catalpa o albero dei sigari è inconfondibile quando carica di frutti. Si potrebbe, con maggior verosimiglianza, sopranominare l’albero dei fagiolini. Ho una grande simpatia per questo albero da bei fiori bianchi e le larghe foglie a cuore. Viene dall’America e si adatta bene anche ai climi rigidi. Qui l’ho fotografata a Lucca, lungo la salita verso le mura, presso il baluardo San Salvatore.
Il suo destino è di essere confusa spesso con la paulownia (21 agosto 2009), ma sono di due tribù differenti, benchè della stessa famiglia (Bignoniaceae).
Meli
I meli da fiore sono quelli i cui frutti non sono così interessanti, e fra questi il grazioso malus tschonoskii è indicato come quello ‘dai fiori meno appariscenti’. Ma queste meline rossicce, come le guance di una ragazzina, mi sembrano oltremodo simpatiche.
Il più caratteristico melo da fiore è malus floribunda, qui nella sua varietà a rami ricadenti, fotografata nell’orto botanico di Lucca, settembre 2009.
Viti
Ogni paese del mondo ha le sue viti. La “nostra”, vitis vinifera (4 settembre 2009) è originaria del Caucaso e si è diffusa velocemente in tutto il Mediterraneo. Un po’ come la razza bianca che non a caso si chiama ‘caucasica’. Ci sono poi le varie viti americane (3 ottobre 2008), semplicemente rampicanti usati per coprire i muri, quelle che si colorano di rosso d’autunno (27 novembre 2009).
Il tetrastigma viene dall’Asia, e precisamente dal Tonchino, la regione del Vietnam. E’ famosa perché per fortuna nostra e sfortuna sua, sopravvive con stile anche in cattività. Può essere coltivata fra le mura di una casa, senz’aria e senza luce, spesso esposta a siccità prolungata e a fonti di calore artificiali. E cresce e si arrampica, arrivando a coprire una spalliera alta fino a 2 metri. In casa, però, non produce nè fiori nè frutti. Diverso destino per questo esemplare che prospera nel giardino di villa Hanbury, ed è ancora, seppure trapiantata lontano da casa sua, una pianta vera.
Invece che il cyphostemma juttae fosse una vite dovevo proprio trovarlo scritto per poterci credere. E dire che questa pianta, fotografata alla fine di agosto nello stesso giardino, aveva in bella mostra anche i frutti, che tanto diversi dagli acini di una vite non sono. Si chiama anche vite della Namibia, paese dove vive, e proprio per le caratteristiche del suo luogo di origine, un deserto, ha un aspetto davvero singolare. E’ una pianta succulenta che cresce lentamente su un grosso tronco rigonfio, che le consente di sopportare siccità e calore eccessivo. Le piante come questa vite, dotate di tronco rigonfio, si chiamano caudiciformi e sono una particolare classe di succulente. Coltivarle, va da sè, non è molto facile ed è un’arte per pochi. Per quanto mi riguarda penso che lascerò la vite della Namibia a casa sua o sulla collina di capo Mortola dove sembra felice, lieta di contemplarla e stupirmi, ogni volta, dei suoi acini rossi come vino.
Portulacaria afra
Continuo con le specie esotiche che ho incontrato ai giardini Hanbury e che più hanno colpito la mia fantasia. Questa pianticella succulenta mi è rimasta impressa perchè lotto ogni girono con la simpaticissima porcellana di casa nostra (portulaca oleracea, 28 settembre 2009), fresca e robusta infestante del mio orto. Sempre di portulacaceae si tratta, anche per questa piantina grassa, ovviamente di origine africana, il cui nome suggerisce una somiglianza, oltre che una parentela, con la portulaca. La portulacaria è coltivata un po’ dovunque in vaso, persino come bonsai e nella lingua ingese ha nomignali non troppo graziosi come ‘porkbush’ arbusto maialino o ‘elephant food’, cibo degli elefanti. In vaso si sviluppa come un cespuglietto rotondeggiante, ma in questa versione all’aria aperta, un po’ più pallida delle sue parenti recluse, si allunga con eleganza sulla roccia, con le sue fogliette grassocce che (pare) sono molto efficenti nella cattura del carbonio atmosferico che tanto grattacapi ci procura da qualche anno a questa parte. Lode alla portulacaria se può dare una mano, d’altra parte che cosa meglio delle piante funziona da che mondo è mondo da spazzino del carbonio del’aria?
Eucalipto
Come molti altri alberi esotici, importati e adattati loro malgrado, l’eucalipto è un genere misconosciuto, più noto per il nome e la fama, che per l’aspetto e l’essenza. E’ un albero dai forti contrasti. L’olio contenuto in specie nelle foglie giovani è esageratamente balsamico. Gli esemplari di eucalipto si presentano robusti, massicci e discretamente adattabili a varie situazioni climatiche. Alcuni di questi alberi possono raggiungere altezze davvero ragguardevoli, contendendo alel sequoie il primato di alberi più alti del mondo. Però non sopportano gli inverni rigidi e sono irrimediabilmente compromessi se la temperatura scende per molti giorni sotto i 6°C. Forse per aurea aromatica da cui pare circondato, era opinione diffusa che leucalyptus tenesse lontane le zanzare, suggerendone l’utilizzo per bonificare le aree paludose e malariche. la ragione di questo potere però risiede soprattutto dalla capacità dell’eucalipto di assorbire grandi quantità d’acqua dal terreno, di cui riduce quindi l’umidità.
In Italia, questo immigrato gigante si presenta prevalentemente di tre o quattro specie (la più diffusa è eucalyptus globulus, 22 agosto 2008).Così si tende ad immaginare a torto che l’eucalipto abbia un solo, immutabile aspetto, quasi una sola natura. Invece in Australia, dove rappresenta l’essenza boschiva più importante, ne esistono circa 450 specie anche molto differenti fra loro e adattate ad ambienti assai diversificati. Gli eucalipti di queste fotografie sono così profondamente diversi che rendono un po’ di giustizia alla varietà del genere.
Immenso come un capannone si estendeva l’eucalyptus sideroxylon di Villa Hanbury (fotografato fine di agosto 2010), sottile e aereo è questa varietà di eucalyptus glaucescens (fotografato a Murabilia 2010, Lucca, settembre 2010), i cui tralci sono anche utilizzati dai fioristi per guarnire i mazzi di fiori.
La famiglia è quella delle myrtaceae che nelle regioni temperate come la nostra è rappresentata quasi soltanto dal mirto comune (vedi 17 settembre 2009).
Cipresso del Kashmir
Quest’albero, particolarmente elegante, con morbidi rami penduli, non è più conosciuto allo stato selvatico. Si ritiene però che sia originario dell’Himalaya, da cui il nome. Anche quell’aggettivo ‘cashmiriana’ fa anche pensare alla morbidezza delle sue forme. Le foglie, molto piccole, sono squamiformi come si conviene a un cipresso e hanno sommità libere che si allargano, rendendo il fogliame irregolare al tatto. Il colore è glauco, a tratti di un brillante verde pallido, e a sorpresa blu-grigio con sfumature che sfuggono.
Fotografato nella villa Hanbury, agosto 2010.
Asparago falcato
Sembra che questa varietà di asparago esotico (l’origine è Africa tropicale) sia improvvisamente comparso in Italia allo stato spontaneo, avvistata all’isola d’Elba nel marzo 2010. Non si sa ancora tuttavia se si possa considerare naturalizzata, forse solo sfuggita alle coltivazioni, ovvero addirittura semplicemente coltivata. La pianta è molto robusta, attraente, esuberante; ed è conosciuta come ornamentale.
Lontano dagli onori della cronaca, io qui l’ho fotografata nei giardini botanici Hanbury. Gli asparagi appartengono alla grande famiglia delle liliaceae, recentemente divisa in numerose famiglie più ‘tematiche’, e quindi confluiti nella famiglia delle asparagaceae. Come ho già commentato in altra occasione, preferisco tenermi le liliaceae perchè, in prima approssimazione, mi semplifica la vita.
Noce alato del Caucaso
Il noce del Caucaso è un albero monumentale per vocazione, perchè ampio, folto e maestoso, e può raggiungere i 30 metri di altezza. E’ anche un albero ornamentale per eccellenza, coltivato nei parchi e nei giardini, specie nel Nord Europa, dove questi giganti verdi trovano un habitat a loro più congeniale, nel clima fresco ed umido, caratterizzato da piogge abbondanti e temperature più rigide.
In inglese si chima “wingnut”, noce alato. Infatti i piccoli frutti sono circondati da due ali semicircolari verdi, e portati da esili amenti penduli, lunghi fino a 50 cm, molto decorativi. Anche in polacco, si chiama allo stesso modo. In italiano trovo più frequentemente il nome di noce nero del Caucaso, che è infatti la sua regione di origine. Ma noce alato è più poetico e gli rende più giustizia.
Fotografato in un parco della cittadina di Kołobrzeg, cittadina polacca sul mar Baltico.