Malva domestica

malva neglecta
Questa malva ha fiori piccoli, candidi e appena rosati, e portamento prostrato e non eretto come la maggior parte delle sue sorelle maggiori. In realtà riesce a stento a innalzarsi dal suolo se non trova un appoggio. le foglie, verde scuro, sfrangiate, hanno lunghi piccioli. E’ malva a tutti gli effetti e possiede molte delle mirabili proprietà medicamentose della Malva sylvestris. E’ emolliente, calmante e blandamente lassativa, ma è semplice e dimessa anche nel nome, quel neglecta che la fa pensare trascurata come poco importante. Vero è che in certi testi viene chiamata semplicemente malva rotundifolia, nome originale, ma che le rende più giustizia.

Fotografata ieri in un viottolo fra le case nel borgo di Canate

Prugnolo

prunus spinosa

Sembrano più mirtilli che prugne, i frutti del prugnolo, prugno selvatico, contorto e spinoso. Si possono mangiare come le prugne, ma devono essere molto maturi e comunque sono sempre molto aspri. Così venivano per lo più usati per marmellate, ma anche liquori, bibite e vino. Bellissimo all’inizio della primavera quando si copre di nubi di fiori bianchi (vedi vecchio blog 14 aprile 2010), il prugno selvatico tende a crescere in gruppi cespugliosi e come tutte le piante selvatiche è protagonista di miti e leggende.
Il susino (prunus domestica) e l’albicocco (prunus armeniaca) venivano innestati su questa specie. L’arte dell’innesto è arte antica perché da millenni la coltivazione degli alberi da frutto si fonda su questa tecnica e non ne potrebbe fare a meno.

Fotografato sulla strada per Canate, la perduta Shangri-La della val Bisagno. A Canate il sole splende tutto il giorno perchè il paese guarda a sud ed è protetto dai venti del nord. A Canate crescono lecci, corbezzoli e olivi, e i prugni, peschi e meli sono carichi di frutti. A Canate arrivano molte strade, quella da Marsiglia e quella da Cavassolo, la scala dei millecinquecento gradini che sale da San Martino di Struppa, e la strada che scende dall’Alta Via dei Monti Liguri dalle pendici del Monte Alpesisa. A Canate non arriva l’unica strada, una strada carrozzabile, che potrebbe dare nuova vita a un piccolo paradiso.

Pino aristato

pinus aristata
pinus aristata
Nativo delle Montagne Rocciose del Nord America, è un albero che si distingue per la sua eccezionale longevità. Il pino più longevo di tutti, pinus longaeva è un suo stretto parente e la leggenda vuole che un esemplare di questo pino, che cresce in California in una località mantenuta segreta, abbia oltre 4700 anni. Non se li porta benissmo, è quasi tutto secco, ma qualche rametto mette aghi nuovi ancora tutti gli anni. Viceversa per il pinus aristata più vecchio che si conosca è stato stimata un’età di ‘soltanto’ 2435 anni. Ho fotografato quest’albero nel già citato giardino dendrologico di Przelewice (Pomerania). La targa, in polacco, faceva certamente riferimento alla longevità, ma era per me per lo più incomprensibile. Per esempio, le Montagne Rocciose (Rocky Mountains) diventano in polacco Gorach Skalistych e così via. Dato che citava l’età di 4600 anni (numeri arabi), forse non diceva altro che supergiù le stesse cose che ho detto io …

Kumquat, mandarino cinese

fortunella margarita
Questo piccolo agrume ornamentale ha avuto molto successo nei giardini perché di poche pretese e assai resistente al freddo. Per queste sue proprietà sto pensando di metterne una pianta nel mio giardino, per rimpiazzare gli aranci tristemente uccisi dal gelo di quest’inverno (vedere nel vecchio blog, 23 dicembre 2009, l’ultima, ahimè, immagine di uno dei miei aranci sotto la neve). Pianta e frutto ornamentale, oltre che commestibile, i frutti del kumquat si mangiano interi, buccia compresa e sono asprigni, ma gradevoli, e assai decorativi specie per le tavole natalizie. Dovrebbero maturare in inverno, ma questo piante che ho incontrato nelle vicinanze della stazione ferroviaria e scogliera di Sori (Genova) sono già cariche di frutti che si dividono lo spazio sui rami con i candidi fiori stellati. Esistono due specie di kumquat, quello a frutti ovali, più diffuso, Fortunella margarita e quello a frutti tondi, Fortunella japonica, a dire il vero non saprei a che specie attribuire questi alberi, i frutti mi paiono abbastanza oblunghi, probabilmente F.margarita.

Aesculus parviflora

Aesculus parviflora

 

 

E’ l’unico esponente del genere Aesculus a portamento arbustivo.

Assomiglia in tutto e per tutto al suo fratello più massiccio, l’ippocastano, soltanto è un cespuglio, una siepe di candelabri bianchi.

Anche lui l’ho fotografato nel giardino botanico di Przelewice (Pomerania). La famiglia si chiamava Hippocastanaceae, ma recentemente ha cambiato nome e si chiama Sapindaceae

Lupino

lupinus polyphyllus

Quando la stagione dei fiori è terminata, ci si può sempre consolare con i frutti. Questo lupino ornamentale, ricercato per i giardini e coltivato ovunque, sfugge talvolta alla coltivazioni e prosegue spontaneo il suo cammino, come avventizia.
Qui, nel già menzionato giardino botanico di Przelewice (Pomerania), sfoggia una mirabile profusione di bacelli, scuri e diritti che sebbene non possano competere con gli splendidi fiori papilionacei che ha appena perduto, sono tuttavia degni di figurare in un’immagine inconsueta.
Della famiglia della fabaceae, con fagioli, fave e piselli, non sorprende che numerose specie di lupini siano state coltivate fin dall’antichità per cibarsi dei semi. Commestibili, seppure con qualche inconveniente dovuto alle presenza di sostanze amare e/o velenose da eliminare con lungo lavaggio, erano alimento di un’agricoltura povera, semiscomparsi dalle coltivazioni, per tornare recentemente alla ribalta perchè privi di glutine e per di più possibile alleati nella battaglia contro il colesterolo. A parte le proprietà organolettiche, tutti i lupini, anche quelli alimentari (l. albus, l. luteus, l.angustifolius), hanno fioriture copiose ed attraenti come il l.polyphyllus. Le foglie sono palmato-composte, formate cioè da numerose foglioline lanceolate disposte a raggera. I frutti sono legumi scuri, pelosi, piatti, come da foto.

Melissa

melissa officinalis melissa officinalis

Il nome melissa vuol dire semplicemente che è tanto gradita alle api da poter essere considerata pianta da miele per eccellenza. Curiosamente però non ho mai assaggiato, nè ricordo in commercio il miele di melissa. O sono molto ignorante, o altrettanto distratta, o forse la melissa non è altro che una importante componente di quel millefiori, miele generico e generoso, fatto dalle api più sbarazzine e volubili. Altro nome della melissa è limonina o limoncella perchè le sue foglie hanno un buon odore di limone. Non è rara nella famiglia della lamiaceae trovare piante con foglie aromatiche; anzi la maggior parte della piante aromatiche appartiene a questa famiglia.
Pianta di aspetto dimesso, ma ricca di proprietà offcinali, è coltivata e spontaneizzata un po’ dappertutto. Si è stabilita nel mio giardino (foto a sinistra), ospite inattesa, ma gradita. Ormai la fioritura è terminata, i tubetti candidi dei fiorellini sono tutti caduti e le foglie tendono al rossiccio. Verde smaglainte erano invece le foglie della melissa che ho trovato in Polonia, nel giardino della mia amica Irena, vicino a Stettino, nello scorso mese di luglio (foto a destra).

Acero striato

Acer pensylvanicum

La sua corteccia, striata come la pelle di un serpente, è liscia come velluto al tatto.
L’albero è magnifico e altero, un altro nobile rappresentante della collezione dendrologica del giardino di Przelewice (Pomerania).

Si tratta ovviamente di specie americana e già ne avevo mostrato le foglie rosso aranciate fotografate nel centro di Washington DC (vecchio blog, 23 novembre 2008). Qui si presenta in tutto il suo splendore nel chiaroscuro dell’ombra estiva, le foglie verde pallido, rilucenti.

Carpino cordato

carpinus cordata
Il mio primo e vero amore rimangono i grandi alberi. Ed immensi e solenni ne ho incontrato nel mio viaggio in Polonia, perchè gli alberi del Nord non soffrono per l’arsura, ma sono vasti e potenti, come le intemperie che devono sopportare. Lassù, olmi, frassini e faggi raggiungono dimensioni impensabili nel bosco mediterraneo. Paradiso dei grandi alberi, e non solo, è il meraviglioso orto botanico di Przelewice (Pomerania), giardino dalla storia tragica e gloriosa, oggi patrimonio della comunità. Dopo alterne vicissitudini, fu ricostruito e portato a grande splendore negli anni ’30 del secolo passato da Conrad von Borsig, geniale architetto del paesaggio che pagò con la vita l’amore per le sue piante. I soldati sovietici che occuparono la regione nel 1945 avevano poco a cuore il destino degli alberi e lo colpirono a morte il 13 febbraio mentre cercava inerme di opporsi alle loro razzie.
Oltre agli alberi autoctoni, il giardino accoglie alberi da tutto il mondo. Come questo carpino cordato, famiglia betulaceae, originario del Giappone. I frutti assomigliano a quelli del carpino nero, ostrya carpinifolia (vecchio blog 11 giugno 2008, e poi 2 aprile e 5 dicembre 2009), seppure più grossi e lunghi, e le foglie, lanceolate, lucide e percorse da fini nervature, sembrano lontanamente quelle del castagno. Elegante e leggero, per me indimenticabile.

Erba miseria blu

commelina communi
Chiamarla miseria blu, o peggio ancora miseria asiatica, come viene spesso classificata, mi pare quasi un’espressione offensiva, specie in questi tempi di amore ed odio, di dolorosa ambivalenza verso tutto quello che arriva da lontano e dall’Estremo Oriente come lei. Non è altro che un altro tipo di erba miseria, molto simile a quella tradescantia (17 febbraio 2010), tanto generosa quanto modesta. Quell’ “ebreo errante” che trova spazio in qualsiasi appartamento anche ombroso, e cresce da un minuscolo pezzetto di fusto, da un’infima radichetta spuntata in un bicchier d’acqua.
L’erba miseria blu è un’infestante esotica che ormai si ritrova un po’ dappertutto. Nei giardini, certo, come l’ho trovata io, ma anche in campagna, negli incolti, al margine dei boschi. Dobbiamo farci l’abitudine, tutte queste piante colonizzano il nostro territorio e sarebbe assai difficile fermarle.
La tradescantia ha piccoli fiori bianchi, e la sua parente rossa, la setcreasea, fiori rosa. Piccoli, graziosi, sorprendenti. Come i fiori blu della miseria asiatica, due larghi petali, avvolti da una spata a doppia semiluna (che non si vede in questa foto). In questo genere, il terzo petalo è ridotto e praticamente assente e il fiore risulta così zigomorfo, cioè asimmetrico, a differenza di quello di altre commelinaceae che hanno fiori attinomorfi, cioè a simmetria raggiata. Ne ho trovato un getto in un aiuola e l’ho messo in un vaso laterale, per riempire il vuoto di qualche pianticella senza nome che non era soppravissuta all’inverno. Le sue piccole iridi di azzurro intenso si spalancano di mattina e durano meno di un giorno.