La rosa dei Cherokee

Rosa laevigata

Rosa laevigata

La rosa dei Cherokee – Orto botanico di Genova

Questa splendida, delicatissima rosa è originaria del Sud Est asiatico, ma è diventata il fiore simbolo dello stato americano della Georgia. Essa è anche il simbolo del sentiero delle lacrime, the ‘Trail of tears’, la strada lungo la quale furono deportati i nativi americani dalle loro terre di origine nel Sud Est degli Stati Uniti fino ai territori indiani dell’Ovest, nell’Oklahoma. I Cherokee furono la tribù che resistette più a lungo di tutte all’imposizione di abbandonare la loro terra e furono anche quelli che soffrirono di più nel viaggio verso l’esilio. Quasi un quarto della popolazione perì lungo la strada. La leggenda racconta che bianche rose delicate sbocciarono lungo il sentiero delle lacrime, sette petali come il numero dei clan della tribù, bianchi come le lacrime delle madri e gialle in centro come l’oro che gli Yankee portarono via agli indiani.

La prima pioggia dell’estate

rosa rugosa

Rosa rugosa


Quasi inaspettata, anche se la desideravamo da giorni, è arrivata la pioggia, abbondante e gentile. In quest’estate umidiccia, di cielo opaco e tramonti velati, un po’ di pioggia vera rasserena, anche se in fondo la pioggia fa sempre un po’ autunno.
Le rose rugose hanno terminato la fioritura e adesso sono coperte di grappoli di bacche (cinorrodi) rosso aranciato. Queste rose, originarie dell’estremo oriente, ma importate in Europa già nel XVIII secolo, sono fra le più commestibili. Dai petali si prepara lo sciroppo e dai frutti si può fare una ottima marmelalta, anche se l’operazione è un po’ laboriosa perchè le bacche contengono moltissimi semi e soprattutto piccoli peli pungenti e orticanti che vanno assolutamente eliminati. Per lo sciroppo invece basta, si fa per dire, spazzolare tutti i petali, uno per volta, perchè lavandoli si disperde il profumo.
Il nome rugosa deriva dall’aspetto delle foglie, verde brillanti e solcate da solche e nervature pronunciate. Gia incontrata in Polonia, qui, me ne sono innamorata e ne ho messe già due in giardino.

Rosa di San Giovanni

rosa sempervirens

Rosa sempervirens


San Giovanni è ancora lontano (ma non poi tanto a ben pensare) e già i pendii ombrosi sono coperti di rose, che aprono le loro luminose corolle bianche, confondendosi nella lontananza con i cisti (cisto femmina cistus salvifolius, 6 maggio 2009). Ma mentre i cisti formano cuscinetti e hanno fiori compatti, bianchissimi, con il centro sempre giallo oro, le rose sono arrampicatrici, ricadenti, vagabonde. Il fiore fresco ha un centro giallo, con la caratteristica colonna stilare sporgente al di sopra degli stami; ma invecchiando le antere si fanno brune e il centro del fiore diventa scuro. Fra le decine di foto scatate, ho scelto un giovane fiore, un po’ solitario, adagiato sulla roccia.

Fotinia

Photinia

Photinia x fraseri


 
La siepi di fotinia, pianta ornamentale di origine manco a dirlo cinese, sono molto diffuse e di ottimo effetto nei parchi e giardini grandi e piccoli, dai più semplici ai più eleganti e preziosi. I fiori sono nuvole bianche adagiati su foglie verdi e rosse. Questa pianta si trova nel giardino di villa Durazzo, a Santa Margherita Ligure, una villa nobile ed elegante, il cui parco si apre per fortuna almeno una volta all’anno gratuitamente ai visitatori della fiera mercato “L’Erba persa”, appuntamento ormai tradizionale del weekend di Pasqua.
Sulla specie non sono sicura. Si coltiva frequentemente la P.serrulata per realizzare siepi compatte. Ma sono diffusi anche molti ibridi, di cui il più comune è appunto P x fraseri.

La stagione delle bacche: sorbo montano

Sorbus ariaDa tanti anni lo conosco e d’estate lo avevo già mostrato (8 settembre 2008), un alberello che trasmette la sensazione inebriante di aria libera, frizzante e leggera. Aria di montagna. Cresce spesso sui pendii e sui crinali, fino alle coste più esposte al vento, con le sue foglie larghe, nervose e sfrangiate, grigio verde da una parte e argentee e pelosette dall’altra. Difficile non riconoscerlo. Il frutto è una piccola sorba, povero, ma commestibile, tanto che l’albero venne anche detto farinaccio perché le piccole bacche, disseccate e ridotte in polvere, venivano consumate mescolate al pane. Potenza della fame. Oggi neppure i frutti del sorbo domestico, che sono un po’ più grandi e succosi, godono più di alcuna considerazione alimentare. Eppure certi sapori meriterebbero di essere riscoperti.

Dei sorbi ho parlato anche in questa pagina.

Agrimonia

Agrimonia eupatoria
Erba famosissima e di ricca tradizione officinale, non mi è riuscita di trovarla in tutto il suo splendore, ma solo in qualche piccolo esemplare sparuto e sfrangiato nel sottobosco. Qualche curiosità su di lei. In una regione del Veneto (Feltrino, provincia di Belluno), viene chiamata ‘erba delle due Marie’ perchè va raccolta fra la festa che celebra l’Assunzione della Madonna (15 agosto) e quella che ne celebra la nascita (8 settembre). Evidentemente si tratta di zona montana, perchè la raccolta della sommità fiorite a quote collinari si deve fare fra i mesi di giugno e luglio e non sorprende che io l’abbia oggi trovata già sfiorita. L’elenco delle affezioni per cui questo infuso è indicato è molto lungo e le sue proprietà sono antinfiammatorie e depurative. Oppure si usano le foglie fresche e se ne fanno impacchi per curare l’emicrania, ma anche distorsioni e contusioni.

Sorbo domestico

Sorbus domestica
Ho incontrato moltissimi sorbi montani (Sorbus aria, 8 settembre 2008), sorbi degli uccellatori (Sorbus aucuparia, 2 agosto 2008) e persino sorbi selvatici o ciavardelli (Sorbus torminalis, 16 ottobre 2008). Ma curiosamente conosco soltanto un albero di sorbo domestico, quello di questa fotografia, che cresce lungo la scalinata che dal ponte dell’Aurelia (SS1) conduce verso l’abitato della cittadina di Sori (Genova). L’ho visto decine di volte, in mezzo alle macerie, sullo sfondo della centenaria chiesa parrocchiale, spoglio, fiorito, e ora carico di frutti, quei frutti antichi così conosciuti e apprezzati un tempo, ma ormai quasi dimenticati. Sono frutti molto rustici, come l’albero d’altra parte che, secondo i manuali, non viene attaccato da nessun genere di parassita. I frutti, che contengono molta vitamina C e sono graditi agli uccelli, non si possono consumare alla raccolta, ma devono essere sottoposti ad ammezzimento, proprio come le nespole comuni (Mespilus germanica, 5 ottobre 2009); cioè si raccolgono acerbi e vengono conservati per diversi mesi nella paglia, finchè assumono una consistenza molle e un sapore dolce. Vengono usati soprattutto per confetture, liquori o bevande fermentate come il sidro. Non so se la vicinanza della SS1 giovi alle loro proprietà, ma ne dubito. Per assaggiarlo preferirei cercare un esemplare più rurale.

Con insolito aggiornamento per un post di diversi anni fa, oggi, 5 agosto 2015, devo purtroppo documentare che questa pianta, come molte altre che hanno incrociato la mia strada, oggi non c’è più, essendo il dirupo dove cresceva attualmente interessato da un’opera di ristrutturazione che ha estirpato, spero solo temporaneamente, tutta la vegetazione. E’ scomparsa così l’unica pianta di sorbo domestico che conoscevo con precisione, ahimè.

Rovo bluastro

rubus caesius
Non appartiene al gruppo di Rubus fruticosus questo rovo dai frutti commestibili, ma dai caratteri particolari, come le foglie a tratti palmate e di colore verde azzurro. Il suo nome specifico caesius si richiama proprio al colore nerazzurro.
Per questo nel complicato universo del genere rubus, non è poi così difficile identificarlo. I frutti sono commestibili, anche se meno dolci di quelli del gruppo dei suoi cuginetti del gruppo di R. fruticosus.

Alchemilla

Alchemilla vulgaris
L’alchemilla è un’erba montana alle nostre latitudini, presenti in Alpi e Appennini, sui prati umidi, nei pascoli e nei boschi. Nel bel giardino botanico di Przelewice in Pomerania (Polonia) era a fine fioritura nel luglio 2010. E’ un’erba dalle foglie graziose e plisettate, che si aprono come ventaglietti, conservando sempre una lieve traccia delle pieghe primitive. Alla forma delle foglie deve il nome comune di erba ventaglina, mentre il nome di erba stella le deriva dai minuscoli fiori giallini, che formano densi corimbi apicali; fiori composti di un calice di colore verde giallastro e di un calicetto, ma senza petali. Fiori assai singolari per una pianta della famiglia della rosaceae.
Il nome deriva dall’arabo alkemelych perchè questa pianta era utilizzata dagli alchimisti che raccoglievano la rugiada depositata nel cavo delle sue foglie. Evidentamente la pianta le trasmetteva proprietà che le altre rugiade non avevano.
L’alchemilla è erba officinale, utile per curare le affezioni epatiche, come antidiarroico e diuretico. E’ anche erba commestibile dalle eccellenti qualità sia cruda che cotta. Nei tempi antichi veniva utilizzata particolarmente per l’alimentazione del bestiame da latte. Una manciate di foglie secche veniva bollita nell’acqua e data da bere alle mucche, sostituendo egregiamente la bevanda ricavata dalla decozione dei semi oleosi. Il latte delle mucche nutrite con questa erba dava doppia produzione di burro. Questo è ciò che tramanda la saggezza popolare, che suggerisce anche come tanta forza nutritiva debba avere qualche validità anche nell’alimentaziuone umana, anche se sarebbe illusorio aspettarsi identici, miracolosi risultati.