Un albero che è quasi il simbolo del Brasile e si presenta in diversi colori, sempre molto appariscenti.
L’ipê rosa è il nome che viene comunemente attributo all’Handroanthus impetiginosus, anche se ci sono discordanze di nomenclatura e spesso viene chiamato anche Tabebuia impetiginosa, che è sinonimo. Il suo legno è molto duro, difficile da lavorare, ma utile nelle costruzioni. Talvolta viene confuso con il legno brasile, ‘pau brasil’ in portoghese; ma quest’ultima è specie molto differente, la Caesalpinia echinata, da cui fra l’altro deriva il nome del paese.
In Brasile l’ipê è un albero molto comune, con molti soprannomi. Handroanthus impetiginosus fiorisce in inverno e fra giugno e luglio è facile imbattersi nelle sue nuvole rosa, passeggiando per i viali di San Paolo, come ho già mostrato qui.
E’ stato durante un autunno italiano, invece, che ho incontrato, non senza sorpendermi, le sue chiome frondose. Senza fiori, ma cariche di frutti, lunghi bacelli che ricordano come la pianta sia della stessa famiglia della Bignonia, naturalmente in uno dei luoghi più tropicali del nostro paese, l’orto botanico di Palermo.
Anche l’esuberante ipê giallo, l’ ipê-amarelo-da-serra (Handroanthus albus), fiorisce durante l’inverno tropical australe, ma un po’ più avanti nella stagione. Infatti avevo fatto la sua conoscenza la prima volta che andai in Brasile, nel lontano agosto 1979. E’ visibile nello sfondo di questa vecchia fotografia, alle spalle di quella bimbetta con la camicia rossa, ancora incredula di aver attraversato l’Atlantico tutta da sola.
Ipê-amarelo
Handroanthus albus
Tutte le specie di Handroanthus sono rosa o gialle, ma talvolta si incontrano degli ipê bianchi, un’affascinante rarità.
Varie specie del genere venivano usate nella medicina tradizionale come antiparassitari, antitumorali e antimalarici. Dalla corteccia si ricavava un the molto amaro, detto lapacho, utilizzato per calmare la tosse; inoltre era considerato un immunostimolante ed efficace contro le candidosi. Fra i suoi principali costituenti si trovano tre composti, chiamati rispettivamente lapachol, α- e β-lapachone, che sono farmaci piuttosto tossici, oggi investigati anche per utilizzo nella chemioterapia antitumorale. Anche questi alberi fanno parte di quell’immenso patrimonio vegetale che ancora ci riserva affascinanti sorprese.