Questo fiore è nato dalla stesso seme della mattiola incana che ho preso da una pianta del vicino. Il fiore di regola è viola a quattro petali regolari, come nella vecchia foto del 5 giugno 2009. Come mi ero riproposta allora, avevo prelevato un paio di silique e preso i semi, e messi nella terra. E dopo due anni ho avuto un bellissimo cespuglio dalle foglie argentee e i fiori viola, incredibilmente precoci (vedi 5 febbraio 2011), ed altrettanto abbondanti (ce ne sono ancora un paio di irriducibili). Qualche semino avanzato si è infilato anche nelle semine di questa primavera, ed è puntualmente germogliato in un cespuglietto di foglie lanceolate. Di questi, due cespuglietti sono alti e floridi, ma senza fioritura. Non ho fretta, la mattiola è una pianta perenne ed avrà tempo di darmi soddisfazioni. Invece in questo vasetto è nato uno stelo più esile, con le stesse foglie cinerine e allungate e questi strordinati fiorellini a fiori doppi, che hanno proprio tutta l’aria delle violacciocche dei fiorai. Sarà un seme divers? O più probabilmente quel fenomeno che muta gli stami in petali e genera, come nelle rose e nelle camelie per esempio, i fiori doppi. Devo documentarmi un po’ meglio. Per ora mi tengo il piccolo gioiello, sperando che non sia un miracolo isolato.
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Enagra di Lamark
L’enotera o enagra, in passato detta onagra, è un genere importante, che dà il nome a una famiglia, le onagraceae e deve tutti i suoi nomi alla forma delle foglie che ricorderebbero le orecchie di un asino. La sua forma selvatica più diffusa, Oenothera biennis, enagra comune, fornisce un olio importante in fitoterapia per il trattamento delle sindromi di dolori mestruali. Le enagre sono tutte originarie del’America e naturalizzate in Europa un po’ dappertutto. I grandi fiori gialli si aprono di notte per accettare l’impollinazione da parte degli insetti notturni. Quest’ampia pianta, la più imponente del suo genere, cresceva sul bordo di un viale a Munster, in Germania, lo scorso giugno. I calici arrossati già in quella stagione fanno supporre che il suo genere sia Oenothera erythrosepala perchè questo aggettivo specifico significa ‘dai sepali rossi’. Questa pianta si chiama anche Oenothera glazioviana ed è rinvenuta spesso ormai anche in Italia, specie nel Nord.
Shamrock
Questa pianta viene dall’Irlanda, anche se a prima vista non sembrerebbe proprio perchè cresce spontaneamente dappertutto nel mio giardino. Però queste foglioline sono nate da una bustina contrassegnata dal nome ‘Irish shamrock’, trifoglio irlandese. Lo ‘shamrock’ è il simbolo dell’Irlanda e della festa di St. Patrick, 17 marzo, il patrono della nazione. La parola ‘shamrock’ è un’anglicizzazione della parola gaelica o irlandese antico (‘seamrog’) che significa semplicemente ‘piccolo trifoglio’ e non indica con assoluta precisione una particolare pianta; piuttosto un gruppo di piante, fabaceae per lo più, ma anche oxalidaceae, che hanno piccole foglie a tre lembi. E’ molto importante che le foglioline siano in gruppo di tre per via della simbologia religiosa che si richiama alla Santissima Trinità.
Io ho seminato questa pianta prestando molta attenzione alle istruzioni (tenere i semi in frigo per una notte, mettere il vaso a bagno per venti minuti e chiudere in un sacchetto di plastica fino a germinazione) e ho atteso con ansia il risultato. Devo dire che non mi sarei mai aspettata che nascesse un cespetto di erba medica lupolina (15 luglio 2009), un’erbetta, dicevo, comunissima nel mio giardino. Quando sono spuntate le prime piccole infiorescenze gialle, sono stata lì lì per estirparla, pensando che fosse nata per caso. Se non che mi sono messa a leggere, e ho scoperto che lo shamrock poteva benissimo essere lei, la piccola medicago lupolina, come può essere un tipo di trifoglio (28 aprile 2009). Ora che ho imparato che cosa è lo shamrock, credo proprio che sia giunto il momento di riportarlo nel suo ambiente naturale, toglierlo dal vaso e trapiantarlo nel prato.
Lattuga montana
Con l’esile, sgargiante corolla reclinata verso il basso (il suo nome deriva da ‘prenes’ che significa appunto reclinato), le lunghe foglie abbracciate al fusto slanciato (può raggiungere altezze ragguardevoli, fino a un metro e mezzo), questa pianta è un piccolo miracolo perchè cresce all’ombra di grandi alberi ombrosi, davvero non un posto da fiori. Cresce in media alta quota, sotto i faggi, ed è di un faggio la liscia radice che si intravede nello sfondo.
Epilobio a foglie di rosmarino
Appena fuori dal bosco del passo della Scoglina, sul bordo della carrozzabile, cespi rosa si slanciano verso il sole. E’ la stagione dell’epilobio, fra i fiori più attraenti dei prati di luglio. Questa specie ha fiori non molto diversi da quelli dell’epilobio più comune, Epilobium angustifolium; ma ha foglie sottilissime che ben si adattano al suo nome volgare ‘a foglie di rosmarino’. Il nome scientifico è un omaggio al botanico olandese R. Dodoens, vissuto nel XVI secolo e autore di un importante trattato.
Preferisco evitare il nome comune di ‘garofanino’ che mi pare generare soltanto confusione, e chiamare la pianta con il suo nome vero, una nome che deriva proprio dal suo aspetto, anzi dalla sua morfologia. Coniato da due botanici nel XVI secolo (Corrado Gessner e Jacob Dillen), epilobio risulta dalla fusione di ben tre radici greche che significano rispettivamente “sopra”, “frutto” e “violetta”, come a dire che si tratta di una pianta che ha una violetta (il fiore) sopra il frutto (in realtà sopra l’ovario). Infatti gli epilobi, come le altre onagraceae, hanno i petali inseriti nella parte superiore dell’ovario. Dettaglio per specialisti, ma interessante per capire l’origine del nome.
Varie specie di epilobio, fra cui E. angustifolium (21 agosto 2008) e E. dodonaei, sono commestibili, e venivano consumati cotti o seccati per preparare il the, usanza quest’ultima tipicamente russa. La miscela di the cinese (Camellia sinensis) e Epilobium dodonaei veniva chiamato Ivantschai o Thé di Ivan. La similitudine continua, anche con il rosmarino infatti si può preparare una specie di thé.
Fisospermo di Cornovaglia
Nonostante il nome complicato e la provenienza apparentemente nordica, si tratta di un pianta di ambiente mediterraneo, comune nella mezz’ombra del bosco. Quando ero bambina, usavamo queste foglie per rappresentare il sedano nel gioco del mercato. E la famiglia è proprio quella del sedano, le apiaceae, da Apium, sedano, una famiglia molto ampia, ma che conosco poco e che mi risulta piuttosto ostica. Infatti non è rappresentata in questo blog come dovrebbe, data la sua diffusione e la sua importanza.
Tornando al fisospermo, il nome significa che ha semi rigonfi, come si potrebbe intuire dalla, pur scadente, fotografia. Nonostante l’aspetto, le foglie di questa pianta non pare siano commestibili e non ho trovato citato alcun utilizzo. Poco male, non le ho mai mangiate davvero.
Mi rimane una certa sorpresa ad apprendere che una pianta per me così familiare (e lo è, nei boschi di castagno e faggio dell’Appennino) non sia niente di conosciuto, non una specie di sedano o prezzemolo selvatico (come quel Oreoselinum nigrum incontrato il 10 ottobre 2009 ai piani di Praglia), ma un personaggio un po’ arcano, che viene dalla Cornovaglia (nota penisola dell’Inghilterra del Sud), assente nei trattati elementari e diverso da forme conosciute… Come sono complicate queste ombrellifere. Come sono complicate le piante in generale, come è illusorio imparare a conoscerle e riconoscerle da qualche decina di fotografie o di immagini anche accurate, ma insufficienti.
Il fisospermo, comunque, io lo tengo sempre vicino al mio cuore, come il mio ‘sedano’ personale.
Liriope
Piccola pianta ‘da ombra’ che prospera nel mio giardino, producendo una profusione di bacche e riproducendosi con esuberanza. Tanto che devo trovare una collocazione per tutte le piante nuove comparse un po’ ovunque nell’aiuola. L’ho chiamata per molto tempo liriope muscari (27 ottobre 2008), ma osservandola meglio mi pare si tratti di liriope spicata, perchè le foglie hanno cinque nervature e sono larghe poco meno di un centimetro. Inoltre non è più classificata nelle liliaceae, e neppure come fu per un breve tempo nelle convallariaceae, ma nella grande famiglia della asparagaceae in cui oggi si classificano anche tutti gli agli, ma anche le agavi e i giacinti.
Epilobio roseo
Dovrei chiamarlo garofanino roseo, il suo nome comune.
Ma fra gli epilobi e i garofani non vedo davvero grande somiglianza e quindi lo chiamo epilobio e basta.
Ancora, dovrei chiamarlo ‘epilobio mister X’ perchè stasera sono davvero troppo stanca per aprire libri e libroni e almanaccare se la mia determinazione sia giusta. Probabilmente non lo è, anche perchè le mie foto non sono particolarmente riuscite, sbiadite e sfuocate, e la pianta non c’è più, estirpata come erbaccia un giorno che ero stufa di vedermela salire sempre più alta senza riuscire a darle un nome e un’origine (me ne sono un po’ pentita, ma davvero non posso dare asilo a tutte le piante trovatelle del circondario). Che sia Epilobium hirsutum, pianta che avevo scoperto l’anno scorso sul bordo della strada e che ho rivisto quest’anno alta e slanciata sempre dalle stesse parti, lo escluderei per quel vago colore dei fiori, minuti e bianchi con la gola rosa, quasi rossa. I fiori del garofanino d’acqua (Epilobium hirsutum, ma perchè mai lo chiamano garofanino?) sono di color rosa acceso, deciso, carico. Altro non saprei dire, se non che la pianta era vigorosa e aggraziata, spuntata per caso nell’aiuola, con le foglie lucide e affusolate, vagamente intagliate ai bordi. Ed è proprio la forma delle foglie che mi ha fatto decidere, a torto o a ragione, per Epilobium roseum.
Gli epilobi appartengono alla famiglia delle onograceae, da onagro, asino selvatico, in ragione delle foglie allungate che ricordano le orecchie dell’asino. Fra di loro la bellissima fucsia (vedi 7 ottobre 2009), esotica, generoso ornamento degli angoli ombrosi di terrazzini e davanzali.
Portulaca
E’ la sorella quasi gemella della pianticella infestante che si trova in tutti i prati e che ho descritto due anni fa (28 settembre 2009).
Dato che uno dei suoi nomi comuni è porcellana, a volte capita che venga chiamata ‘pianta vetro’. Ma non bisogna confondere il vetro con la porcellana e la pianta vetro per eccellenza per me rimane l’impatiens ovvero balsamina (26 agosto 2009).
La portulaca è facile da coltivare e cresce nei vasi su davanzali e balconcini, con coloratissimi fiori, assai più grandi e appariscenti di quelli della varietà selvatica.
Hosta
Le Hosta hanno foglie ampie ed appariscenti. Anche i fiori sono attraenti e raffinati, ma talvolta le piante vengono coltivate solo per le foglie. Ricordo che una volta chiesi a un’amica che abitava in campagna di che colore fioriva la sua hosta e mi rispose stupita di non averne mai visto i fiori, ma di averla sempre conosciuta da sua madre come ‘foglie’. Questa nuova inquilina del mio giardino è un esperimento. Non se fiorirà, e per ora non me ne curo. Non sono così risentita come per le peonie, già mi rallegro che cresca rigogliosa. Dicono che queste piante preferiscano la mezz’ombra e comunque credo che le affiancherò qualche compagna per creare un piccolo angolo di ‘foglie’. Aspettando, se arriveranno, i fiori …
Come ho avuto e avrò ancora occasione di far notare, le hosta venivano classificate nelle liliaceae, ma oggi sono inserite nelle asparagaceae dalla nuova classificazione APGIII. Per evitare confusioni manterrò un poco entrambe le classificazioni.