Imperatoria di Tommasini

Tommasinia altissima

Imperatoria di Tommasini
Tommasinia altissima

Imperatoria di Tommasini
Assomiglia, e molto, all’Angelica (8 agosto 2008), tanto che può confondere anche osservatori più esperti di me, ma è ancora più imponente, spavalda, e il suo portamento suggerisce la statura imperiale del suo nome comune, imperatoria. Il nome scientifico viene da Muzio de Tommasini (1794-1879), uno statista triestino appassionato studioso della flora.

Tommasinia ha ombrelle ampie, frutti pesanti e un robusto fusto rossastro,  cilindrico, può raggiungere i 3 metri di altezza. Con angelica, che però è più piccola di statura, condivide una certa prestanza, le foglie cauline provviste di guaine rigonfie che avviluppano i rametti laterali e l’aspetto delle infiorescenze ancora in boccio.  Diversi i fiori, di colore giallo deciso nella tommasinia e bianco rosata, formata di corolle piccolissime nell’angelica.  Non è una painta acquatica, ma spesso si incontra  negli alvei dei fiumi e non si fa intimidire dalla corrente.  L’ho scoperta spesso sulle sponde del fiume Trebbia,  nelle vicinanze di Rovegno in questi giorni, come nel luglio 2011.  Ripropongo qui sotto anche le foto  pubblicate allora, quando l’avevo identificata con il sinonimo Tommasinia verticillaris.

Nonostante la somiglianza, non ha le virtù alimurgico medicinali dell’Angelica e, forse, neppure la sua fototossicità; anzi risulta una buona a nulla, assente da tutti i database e priva di utilizzo noto. Non ci credo… mi aggiorno.

Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini
Imperatoria di Tommasini

 

  

 
 

 

Agastache

Agastache mexicana

Agastache mexicana – luglio 2015

L’agastache è una pianta aromatica, commestibile, officinale.  Il suo nome significa qualche cosa come ‘dalle molte spighe’ dal greco ἄγᾰν molto, e στάχυϛ spiga.  Tutte le specie sono originarie del Nord America,  tranne A.rugosa che viene dall’estremo oriente asiatico(1), e quindi non si incontrano nei nostri prati.

Ho conosciuto  Agastache mexicana qualche anno fa ad una fiera di piante ed è stato amore a prima vista.  Ha il portamento snello e dimesso del nostro issopo (vedi 15 giugno 2009), con il quale nei luoghi di origine viene talvolta confusa, e piccoli fiori rosati.  Foglie e petali emanano un profumo squisito, dalla delicata fragranza citrina, e lo conservano, intatto, anche diseccati.  Purtroppo la pianta che avevo messo a dimora quattro anni fa mi pareva scomparsa e ne ho cercato a lungo e inutilmente un altro esemplare. Persino la coltivatrice che me l’aveva venduta non ne aveva più a disposizione.  Mi rimanevano le dolcissimo foglie secche, in un cartoccio, e un po’ di malinconia.

Agastache rugosa

Agastache rugosa

A settembre dell’anno scorso, alla fiera di Murabilia, presso lo stand dell’Associazione Adipa, trovo finalmente dei semi di Agastache rugosa, una specie simile, che mi riaccende la speranza.  Tutte e due le agastache sono piante perenni, piacevoli nell’aspetto e generose. Sono sempre stata abbastanza fortunata con i semi forniti da questa associazione e infatti Agastache rugosa è germogliata e cresciuta senza sforzo e ora ne ho un bel fazzoletto fiorito in un’aiuola. Viene chiamata menta, o issopo coreano (infatti è dall’Oriente che proviene) e il suo profumo è intenso, leggermente aspro,  ma non ha la squisitezza della A. mexicana.
Mi piace pensare che la vicinanza della cugina abbia risvegliato da un letargo durato anni la pianta di Agastache mexicana che credevo perduta.  Docile e snella è sbucata di nuovo, piccole foglie e microscopici fiori, pronta a formare un nuovo cespuglietto.

Agastache mexicana

Agastache mexicana
il nuovo germoglio – agosto 2019

Le qualità officinali di Agastache mexicana  sono ben note nell’etnomedicina del suo paese.  Con le parti aeree della pianta o l’infiorescenza isolata vengono preparati infusi e decotti o macerati alcoolici per trattare gli stati di ansia, insonnia e ipertensione, ma anche reumatismi e dolori causati da affezioni gastrointestinali. Uno degli utilizzi più diffusi è per alleviare i dolori addominali, e sembra proprio che una sottospecie, A. mexicana ssp. xolocotziana, chiamata “toronjil blanco” o issopo bianco, contenga un efficace principio spamolitico.(2)  Leggo che questa sottospecie si riconosce anche dal caratteristico aroma di limone.  Devo approfondire, ma forse è proprio la mia.

(1)Fuentes-Granados R.G. et al. (1998) An overview of Agastache research – J.Herbs Spices Med. Plants, 6:69-97
(2)Ventura-Martínez R et al. (2017) Spasmogenic and spasmolytic activities of Agastache mexicana ssp. mexicana and A. mexicana ssp. xolocotziana methanolic extracts on the guinea pig ileum. J Ethnopharmacol. 196:58-65 doi: 10.1016/j.jep.2016.12.023.

Iperico arbustivo

Iperico arbustivo

Iperico arbustivo
Hypericum androsaemum

E’ finita ormai la stagione verde, quella dell’erba fresca e dei colori delicati, dell’esplosione di germogli e corolle, delle fronde morbide e leggere. Il terreno asciutto è allagato a giorni alterni da acquazzoni repentini ed effimeri. L’erba cresce già gialla, contorta, increspata. Quasi tutte le piante hanno già dato, cresciute, fiorite, pesanti di frutti. E nel frattempo hanno anche dato da mangiare a un bel po’ di specie del regno animale, che più o meno gentilmente le hanno attraversate, percorse, scavate, divorate. Adesso sì che la pianta è forte, adesso sì può prepararsi al riposo. Bacche e frutti si disfano per lasciar cadere nella terra la promessa del seme, le foglie ingialliscono, si contorcono, cambiano forma.  In quest’estate avanzata, le  piante si caricano del caldo colore della maturità.

Questa varietà di iperico, o erba di San Giovanni arbustiva, è un suffrutice perenne (qui nella forma primaverile)  e ha  l’aspetto solare di tutte le erbe del suo genere (vedi anche 10 luglio 2009). Inoltre contiene praticamente tutti gli stessi principi attivi del suo celebre parente, Hypericum perforatum (vedi anche 21 giugno 2008).  Un tempo incluso nella famiglia delle Guttifere (oggi rinominate Clusiacee) per la presenza di minute vescicole ricche di fluido su varie parti, soprattutto le foglie,  oggi nelle Hypericaceae, l’iperico è una delle piante officinali più conosciute e investigate.  Viene utilizzato come antivirale, ma soprattutto come ansiolitico, grazie alla presenza nelle foglie, germogli e fiori del composto ipericina, ma anche l’iperforina, a cui sono state riconosciute anche significative proprietà antidepressive.

 

Potentilla erecta

Potentilla erecta

Potentilla erecta

Pianticella dai molti nomi e dalle molte forme, ha portamento slanciato (eretto) per quanto possibile per un’erbetta minuta, con foglie palmate, frastagliate, tre segmenti e due stipole, foglie sfuggenti, che scappano quando sbocciano i fiori, sgargianti corolle gialle in cui  neppure il numero dei petali è definito (possono essere da 3 a 6).  Varie specie del genere Potentilla si chiamano volgarmente cinquefoglie e neppure questa fa eccezione, con il curioso aggettivo di tormentilla, che era il nome originariamente attribuitale da Linneo nel 1753.  Questo singolare nome di tormentilla deriverebbe da torméntum, per la capacità della pianta di alleviare il dolore,  mentre il nome attuale deriva semplicemente da potens, potente e si riferisce ancora una volta all’efficacia delle sue qualità curative.

Simile alla Potentilla reptans (cinquefoglie comune, vedi 27  marzo 2009), che ha un portamento strisciante e foglie palmate, composte di cinque foglioline seghettate, anche questa è una pianta ricca di importanti principi attivi, soprattutto tannini, utili per il trattamento della diarrea e le infiammazioni della cavità orale.

Circaea, l’erba della maga Circe

Circaea alpina

Circaea sp.  –  Erba maga

Saltellavo fra sasso e sasso, sulle sponde verdi e limpide del fiume Trebbia, dove l’acqua cristallina è così fredda che è quasi impossibile immergersi anche nell’inesorabile calura di agosto.  Pochi fiori, ormai è estate piena. Ma la montagna ha sempre risorse. E così inciampo in una pianticella da niente, che mi ammalia e stupisce.  Devo tornare indietro a guardarla.  E’ una pianta magica, anche se nessuno  ricorda perchè.  La fattucchiere lo sapevano, ma non l’hanno lasciato scritto.  Intitolata alla maga Circe, il suo nome è Circaea e volgarmente erba maga. In Italia se ne incontrano soprattutto due specie principali. Quella comune si chiama C.lutetiana,  nome che le deriva semplicemente dal fatto che il botanico che  per primo la classificò viveva a Parigi e,  non so se per vanto o per mancanza di fantasia, le dedicò il nome della sua città.  L’altra è  C.alpina, che spunta sopra i 300 metri di altezza, ed è più minuta ed esile. Le differenze sono subdole e irrilevanti;  ma siccome la differenza fondamentale sarebbe la dimensione, a me questa piaticella minuscola parrebbe  C.alpina, mentre i database di riferimento mi riportano implacabili a C. lutetiana.
Circaea alpina
Così lasciamo andare,  erba maga è ed erba maga rimane,  gelosa di filtri e di incantesimi, cuoriformi le foglioline, cuoriformi i microscopici petali sulle minute corolle bianco rosate. Insieme ad epilobi ed enotere (vedi sotto), appartiene alla famiglia è quella delle Onagraceae, il cui nome deriva dal greco ὄναγρος asino selvatico, forse a causa della forma delle foglie, lunghe ed appuntite come le orecchie degli asini, oppure perchè, come un po’ tutte le erbe, erano considerate cibo da asini.

Le altre onagracaea:
Epilobium angustifolium21 agosto 20084 agosto 2011
Epilobium dodonaei 11 luglio 2011
Epilobium hirsutum4 ottobre 2010
Epilobium roseum8 luglio 2011

Oenothera erythrosepala14 luglio 2011
Oenothera sp1 novembre 2011

Erba medica in campagna e in città

Medicago - campagna

Medicago sativa

L’erba medica è un prezioso foraggio, ma non è, come ingenuamente si potrebbe pensare, un’erba medicinale. Il suo nome scientifico, Medicago, significa erba della Media, una regione della Persia da dove si riteneva appunto che quest’erba fosse originaria , e probabilmente da dove più o meno proveniva.  Oggi si considera archeofita naturalizzata, un termine che più o meno significa che non esatamente nata qui, ma c’è arrivata un bel po’ di tempo fa. Nota in tutto il mondo come alfalfa, dall’arabo al-fáṣfaṣa che significa foraggio, è una pianta dalle numerose proprietà curative, non tutte confermate scientificamente.

Medicago

Medicago sativa
aprile in città

La medicina tradizionale ne riporta l’uso per migliorare la memoria, curare disturbi del sistema nervoso, l’ipercolesterolemia, come antiossidante, antiulcera, antimicrobico, ipolididemico, nel trattamento dell’aterosclerosi, disturbi cardiaci, ictus, cancro e diabete. E poi? Sfogliando distrattamente PubMed, vengo per esempio a sapere che è ha anche proprietà estrogeniche utili per alleviare i sintomi della menopausa e  viene anche utilizzata dalle madri come galattoforo. Però quest’ultimo utilizzo non è veramente confermato ed esige cautela.  Meno male.

vedi anche post del vecchio blog 22 settembre 2009

Salpichroa, piccola solanacea

Salpichroa origanifolia è una pianta perenne della famiglia delle Solanaceae, originaria del Sud America

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
foglie a fine giugno

Alloctona casuale, ma anche naturalizzata, in molte regioni d’Italia, non l’avevo mai incontrata in campagna o nel verde, e ho dovuto scoprirla in città, in un aiuola nei pressi del Pronto soccorso dell’ospedale San Martino, il più grande della città.  Il suo fogliame ha occupato gran parte dell’aiuola dove dimorano giallissime lantane camara, e forse è proprio arrivata insieme a loro, perché mi stupirebbe che sia stata collocata di proposito.   La foglia è carnosa e piacevolmente verde, e la forma ricorderebbe le foglie dell’origano, da cui il nome.

Ho fotografato distrattamente le foglie con il telefonino alla fine di giugno, chiedendomi che pianta mai fosse. Quando ho scoperto chi era e qualcosa in più di lei, sono tornata dopo un mese, per vedere la fioritura.

I microscopici fiorellini sono timidi e sfuggenti, assolutamente non vistosi, ma  a loro modo sorprendenti. Dalla loro forma, e colore, deriverebbe il nome del genere, dal graco σάλπιγξ, sálpinx che significa tromba e χρόα, croa,  pelle.  Di campanelle effettivamente si tratta, bianche, minute, appena appena bombate, così piccole e nascoste fra le foglie che bisogna fare una certa attenzione per vederle. Un fiore diverso da quello di quasi tutte le altre solanacee, che in genere presentano corolle aperte e piatte.  Persino Physalis (12 novembre 2009 ), l’alchechengi  coi frutti a forma di lanterna, ha fiori a stella.  Finalmente li scopro, oltre  la ringhiera; e scovo persino qualche traccia precoce del frutto che stanno preparando, questo sì abbastanza simile a quello di altre solanacee più famose, Solanum nigrum (erba morella, 15 ottobre 2008), Solanum dulcamara (dulcamara, 28 giugno 2009), o addirittura Solanum melangona (melanzana).

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
fiore

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
Fiore e inizio del frutto

La salpicroa è una specie tossica perchè contiene alcaloidi che hanno effetti allucinogeni.  In questo ricorda altre solanacee più famose di lei, come la datura , celebre pianta stupefacente per la presenza di atropina e  scopolamina,  e il tabacco, che ha grandi fiori tubulosi e contiene una potente droga, la nicotina.  Anche le nobili solanacee alimentari, come patate, pomodori e melanzane,  contengono alcaloidi tossici , primo fra tutti la solanina.

In queste piante sono anche presenti composti  denominati witanolidi, molecole della famiglia degli steroidi, che possono avere attività antiproliferativa sulle larve di insetti come le mosche, e forse proprietà antitumorali.

 

Salvia glutinosa

Salvia glutinosa

Salvia glutinosa

Ripropongo questo post del 28 luglio 2009

Appiccicaticcia. Questa secondo me è la traduzione più fedele di glutinosa, anche se in generale il nome comune di questa pianta è ‘salvia vischiosa’. Se la toccate si può capire perchè “dalla pianta è possibile ricavare gomma”. I fiori hanno ampie labbra, sporgenti e arcuate, gialle, punteggiate di marrone. Anche se manuali e trattati non lo spiegano proprio bene, ho imparato che i fiori di questa forma particolare sono del genere salvia. Che mentre le altre piante della famiglia (labiate appunto) sono più discrete, mimetiche, con le labbra atteggiate a piccola bocca composta, quando le labbra sono grandi, spalancate, sguaiate, potete stare sicuri che è una salvia. Con grande gioia, almeno così fantastico, degli insetti, che possono usarle quasi come un dondolo, un’altalena. La pianta è alta, le foglie ampie e verdi, appiccicaticce, e difficilmente passa inosservata. Ha anche virtù officinali, rinfrescanti e disinfettanti. Prospera al margine dei nostri boschi di castagno dove, anche in odore di agosto e di solleone (ormai ci siamo), i fiori non mancano mai.

Verbaschi

Dalla val Trebbia alla val Roya, l’estate risplende di verbaschi, piante selvatiche e leggiadre, di antica rinomanza farmaceutica.

Verbaschi

Verbascum thapsus
Tasso barbasso sul fiume Roya

Verbaschi

Verbascum nigrum
sulle rive del fiume Trebbia

Il più famoso è il tasso barbasso, Verbascum thapsus, che colpisce l’immaginazione subito a causa del nome, tanto singolare quanto ovvio, semplice trasposizione in lingua italiana del latino.  Verbascum deriva da barbáscum, che a sua volta probabilmente derivato da barba,  con riferimento alle foglie pelose, o da vérber verga, per la verticalità del fusto che regge i fiori.  Da ragazzina non conoscevo il nome delle piante e avevo dato loro dei soprannomi, il tasso barbasso era il fiore campanile, allampanato e inconfondibile, dai fiori profondamente gialli.  Ho già parlato di questa pianta tanti anni fa, agli albori del blog (25 giugno 2008), ricordando come nei tempi passati i contadini ne usassero le morbide e larghe foglie per imbottire le scarpe,  scarpe di pezza, o legno, rigide come pietre e abbondanti di misura, e renderle più morbide.

Ha il cuore viola porporino il fiore dell’altro verbasco, Verbascum nigrum, che ha foglie più lisce e dal peduncolo scuro. I suoi ‘campanili’ sono un po’ più bassi, con contrafforti  meno possenti di quelli del tasso barbasso,  ma ugualmente si stagliano vivaci e nobili sull’argento della roccia. Questa specie viene impiegata dalla medicina popolare come diuretico e quest’azione è effettivamente confermata dall’efficacia di particolari flavonoidi contenuti nella parte aerea.

Della famiglia della Scrophulariaceae, tanti verbaschi popolano la nostra estate.  In città soprattutto incontriamo il Verbascum sinuatum (vedi anche 29 giugno 2009).  Fiori stupendi, ma fragili; come quasi tutti i fiori selvatici,  la loro schietta vitalità si spegne molto velocemente se recisi.

Scaevola, pianta dei ventagli

Scaevola

Scaevola aemula

Che cosa hanno in comune questa vanitosa pianta australiana e il giovane patrizio romano Caio Muzio Scaevola che si arse la mano destra per sfidare il re etrusco Porsenna?
Della famiglia delle Goodeniaceae, Scaevola è una pianta che incanta per la forma singolare dei suoi fiori, le cui corolle sembrano tagliate a metà e ricordano dei piccoli ventagli, i ventagli delle fate in inglese (fairy fan-flower).  Tuttavia è a una mano che dovette pensare chi coniò il nome, la sola mano rimasta a Caio Muzio dopo la sua impresa. Le analogie finiscono qui, ma l’infarinatura di storia romana della nostra adolescenza ci aiuta a tenere a mente il nome di questa nuova inquilina abbastanza esotica di terrazzi e giardini.  E’ generosa e si slancia ricadendo verso il basso con i sui lunghi steli, fasciati dalle foglie densamente decorrenti, come una corazza.

Si dice pianta tollerante della siccità, ma tutto è relativo e nelle estati torride come questa vi chiederà costantemente da bere, specialmente se l’avete costretta in vaso per goderne di più la fioritura. Già la fioritura. Ma chi l’ha detto che una corolla deve essere circolare, rotondi sono i fiori banali, attinomorfi, sempre uguali a se stessi comunque li si guardi. Invece questi fiori ci spiegano senza ombra di dubbio che significa essere zigomorfo, gli originali, cinque petali e un solo, unico asse di simmetria.  Le Goodeniaceae presentano tutte fiori con morfologie diverse tanto che gli angoli che formano i petali fra di loro diventano un carattere distintivo per riconoscerle.