Nerine per sempre

Nerine sarniensis

Nerine sarniensis o bowdenii

L’autunno scompiglia il giardino, è più tiepido del previsto, quasi malato. Il giardino è sempre bello, anche se quest’anno l’ho un po’ trascurato, la stanchezza, talvolta, sconfigge anche l’amore.  Abbandonato a se stesso, senza più regole, appassisce sotto i suoi frutti e nutre la terra delle sue scorie; è diventato il giardino in movemento, il giardino planetario di Gilles Clement. Accanto a piante che non esito a definire orribili, euforbie neglette (vedi 14 marzo 2010, ma anche questa) e  giganteschi crespini, crescono broccoli siciliani da semi dimenticati, cespugli di prezzemolo e basse distese di veroniche. Queste ultime fioriranno a primavera, garantito. A ottobre sono fioriti i crochi da zafferano e l’infida piracanta si è coperta di perle scarlatte.

Nerine sarniensis

Nerine sarniensis

Sull’angolo dell’aiuola più grande, dorme sempre il grosso bulbo di amarillide belladonna, che si è anche moltiplicato e produce abbondanti foglie, ma in sei anni non si è mai degnato di fiorire.
Invece non tradiscono mai le nerine, cui ho già detto in passato, da San Diego, e poi ancora qualche anno fa. Ero indecisa sulla specie, ma nel frattempo ho ricevuto una cartolina dall’isola di Guernsey, un’isola della Manica che è dipendenza della corona britannica, con governo autonomo, ma si trova non lontana dalle coste della Bretagna francese, nel golfo di Saint-Malo. La Nerine sarniensis è il giglio nazionale dell’isola e la stessa viene indicata come Nerina bowdenii, che deve quindi essere semplicemente sinonimo. Originaria dell’Africa australe, questa amarillide deve essersi ben adattata al vento dell’Atlantico, fresca e gentile com’è, forse si adatta all’aria buona un po’ dappertutto.

Giaggiolo puzzolente

Giaggiolo puzzolente

Iris foetidissima
i fiori di maggio

Anche nel mio piccolo giardino scopro sovente qualcosa di nuovo: come un giaggiolo, nato sotto il ciliegio, con strani fiori fra il giallo e il marrone. Un grosso cespo, cresce da qualche anno, e non mi sono neppure chiesta da dove sia venuto. Il suo nome è Iris foetidissima, cioè giaggiolo puzzolente, per la proprietà delle sue foglie di emanare, se strofinate, un odore sgradevole. Un nome impietoso per un fiore raffinato, come spesso sono i nomi della tradizione, fermi al tempo in cui odori e sapori erano le caratteristiche più importanti di qualsiasi verdura. Gusto e odorato sono i sensi vitali, perchè quelli che valutano il cibo, la bontà e sicurezza di ciò che si mangia. La bellezza, il colore sono accessori, gradevoli, ma inessenziali.
Da dove viene questo giaggiolo? Potrebbe anche essere specie spontanea, un seme capitato per caso. Ho interrato molti bulbi in giardino, qua e là, ma non sotto il ciliegio. Ma se non viene da acquisti o regali, deve essere un vagabondo. Specie spontanea in tutta la penisola, apprendo dal solito actaplantarum.

Giaggiolo puzzolente

Iris foetidissima
le bacche autunnali

Nel giardino fradicio e sbrindellato di novembre, spicca il colore acceso delle sue bacche, rosse arancio, a grappoli fitti. Da lontano pensavo fosse solo il cotoneaster (Cotoneaster dammeri, vedi 31 dicembre 2008, anche detto cotognastro di Dammer), che allunga rami striscianti punteggiati di bacche rosse, singole e minute come perle. Le bacche di questo giaggiolo ricordano quelle del gigaro (Arum italicum), che tuttavia mi accorgo di non avere mai pubblicato (vedi 2 maggio 2010 per i fiori di questa pianta). Come quelle del gigaro appunto anche queste bacche sono tossiche. Ma il loro colore rosso acceso parrebbe attirare gli uccelli che, pur non cibandosene, le trasportano, favorendone la diffusione.

Nonostante l’odore, anche questo giaggiolo è una specie da giardino, perchè ha fiori moderatamente appariscenti e fogliame lucido. Una delle sue attrattive più ricercate sono proprio le bacche dal colore brillante, il colore dell’autunno.

Salvia minore

Salvia minore

Salvia minore o verbenaca
Forte dei Ratti (Genova)

La Salvia verbenaca viene chiamata salvia minore perchè è una specie di sorella minore delle grandi salvie, la Salvia officinalis prima di tutto, ma anche le comuni Salvia pratensis e Salvia sclarea. In Italia sono presenti più o meno 25 specie diverse di salvie, delle quasi 1000 descritte sul pianeta. Tutte le salvie, dal latino “salus” o salute, sono piante officinali e commestibili, con aroma più o meno accentuato e gradevole. La salvia comune (S. officinalis), per esempio, è una famosissima erba aromatica, ma l’odore delle sue foglie fresche stropicciate può non piacere, anche se questo ha poco a che fare con il sapore che conferisce agli intingoli e alle minestre. Tutte le salvie inoltre contengono modeste tracce di una sostanza, un chetone detto tujone, che è presente anche nelle artemisie e in particolare nell’assenzio (27 luglio 2008), e oltre ad avere proprietà digestive e antimicrobiche, è un modesto stimolante. Per questo la salvia è tradizionale ingrediente degli elisir di lunga vita per tenere attive le funzioni della memoria, ma anche potenziale veleno neurotossico se ingerita in quantità eccessive.

La salvia minore è una delle specie più comuni, presente in collina, in campagna, ma talvolta persino nei parchi e gli incolti di città. E’ uno di quelle piante cocciute, che non smettono mai di fiorire durante tutti e quanti i mesi dell’anno. Nonostante qualche inevitabile differenza nell’aspetto, le sue foglie ruvide fortemente incise sono facilmente riconoscibili.
Così l’ho incontrata alla fine di aprile sulla costa battuta dal vento delle colline alle spalle di Genova (forte dei Ratti), e adesso, a fine ottobre, in mezzo all’erba selvatica del cortile di una scuola nella periferia romana del Tufello. In questo cortile scopro fiori autunnali ancora freschi e floridi e erba rinverdita dalla recente pioggia. Specie comuni, modeste, ma a modo loro ricercate. Qui le foglie della salvia hanno l’aspetto più verdeggiante e tenero di quelle della sua gemella della costa, gli steli sono più slanciati, quasi a volersi staccare dalla sporcizia del suolo, il cespo più rado e le inconfondibili rosette basali invisibili in mezzo al folto dell’erba. I fiori sono ancora in boccio sulle spighette, ed io esito nell’attribuzione, ma non trovo una soluzione diversa che salvia minore. Mi conforta un sito, dedicato alla flora del parco di villa Torlonia che dichiara che questa pianta a Roma “è praticamente ubiquitaria, dal centro all’estrema periferia”.

Salvia minore

Salvia verbenaca
Roma, Tufello

Salvia minore

Salvia verbenaca
Roma, Tufello

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Che pianta è mai questa che cresce spavalda in un cortile di periferia con fiori che sembrano rose e foglie che sembrano pampini della vite? Devo guardarla più volte per convincermi che non è una rosa. Ingrandire la foto per sincerarmi che veramente quei fiori carnosi sbocciano su un arbusto, un arberello ordinato che non mostra neppure una spina. Assomiglia a un ibisco?  Ho cercato inutilmente il lungo pistillo come spada sguainata verso il cielo che spesso caratterizza i fiori di ibisco. Non c’è. Ma è un ibisco. Dopo varie ricerche incrociate, mi convinco che si tratti di Hibiscus mutabilis e ne leggo veramente … di tutti i colori.

Questa varietà di ibisco, originaria della Cina, si distingue per l’inusuale proprietà dei suoi fiori di mutare colore nell’arco del giorno, in risposta all’intensità e temperatura della luce. Durano un giorno soltanto e al mattino si schiudono bianchi; ma via via che il calore della luce aumenta, diventano rosa o rossi, fino al viola intenso nella sera, quando appassiscono. Non ho assistito a questa meraviglia e li ho ammirati soltanto intorno al mezzogiorno del 30 ottobre, in una giornata cominciata in altalena con una scossa di terremoto pericolosamente percepita anche nella cintura periferica di Roma dove mi trovavo. In quel giorno, e a quell’ora, l’ho già detto, apparivano in tutto e per tutto delle rose.

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis con Brugmansia versicolor e Plumbago capensis

L’Hibiscus mutabilis è un arbusto generoso e di poche pretese, moderatamente resistente al freddo, fiorisce anche in dicembre e tollera pazientemente anche i parassiti. Ha estimatori entusiasti e anche qualche detrattore. Nel forum di actaplantarum, la mia bibbia in fatto di piante, in questo post, un utente afferma “l’ Hibiscus mutabilis viene coltivato con 2 varietà, una fiori semplici, molto bella, l’altra a fiori stradoppi, secondo me orribile”.
Forse frutto di ibridazioni senza freni e per questo a volte snobbato, questa è certamente la varietà a fiori stradoppi, e a dire il vero, a me non sembra affatto orribile. All’ombra dell’immancabile pino domestico, slanciato e regale, fra una brugmansia rosa arancio e una celestiale plumbago, non sfigura per niente. Anche se i suoi delicati fiori già stanno cominciando a cambiare colore per l’ultima volta.

Hibiscus mutabilis

Hibiscus mutabilis

Ecco qualche link per immagini ad altre specie di ibisco:

Hibiscus rosa-siniensis giallo e rosso
Hibiscus syriacus, 6 luglio 2008
Hibiscus trionum

 

Chayote, la zucca spinosa

Sechium edule

Sechium edule

Per gli estimatori della cucurbitacee è già un mito. Il chayote viene dal centro America e può essere cucinato come uno zucchino, fritto e ben condito, oppure stufato; anche foglie e radici sono commestibili.
L’ho scoperto sui banchi del variopinto mercato di Val Melàina, dove Roma assomiglia un poco a Bangkok. E poi in un favoloso orto giardino oltre le sbarre di una scuola di periferia, lungo una delle strade limitrofe, fra via delle Isole Curzolane e via Monte Ruggero. Fra bietole, spinaci e stupende spalliere di bignonia rosa, appese a steli rigogliosi sotto le grandi foglie palmate, penzolano queste piccole zucche, pelose e a forma di pera. C’è già chi lo chiama sechia, italianizzando il nome scientifico (Sechium edule). Ma il nome originale è quello della sua terra, chayote, che sa di Messico e nuvole.

Olivi a Paestum

Il sito archeologico di Paestum, comune di Capaccio, nel salernitano, è un luogo di nobile fascino.  Nulla di nascosto e segreto, tutto ostentato e grandioso, divino. Anche le piante di olivo, che potrebbero persino essere sempre le stesse, hanno un’imponenza magica.

Non sono piante da olio, sono piante da storia.

Rucola selvatica a Paestum

Diplotaxis tenuifolia

Diplotaxis tenuifolia


…dal post del 13 luglio 2009 … “Va sotto il nome di ‘rucola selvatica’ per distinguerla dall’altra rucola, forse più comune Eruca sativa (vedi 13 ottobre 2008). E’ della stessa famiglia, crucifere o brassicaceae che dir si voglia, ma diverso genere; dalla rucola comune differisce per la forma delle foglie, più lunghe e frastagliate, per l’aspetto dei fiori, ovviamente a quattro petali, ma gialli e non bianchi e anche più minuti, e per il sapore più piccante e deciso. Inoltre questa pianta è molto rustica ed è perenne anche nei climi più freddi.”
Non è il caso certo di Paestum, una stupenda piana soleggiata e aperta dove questa gustosa erbetta cresce spavalda fra le pietre, in buona compagnia.

Dal 2009 nel mio giardino si è propagata senza sosta, abbandonando la postazione originale, dove è stato messo a dimora un’ingombrante corbezziolo (Arbutus unedo). Ora cresce in mezzo ai lamponi, e nelle crepe del cemento, sempre gustosa, prima della fioritura.

Euforbia arborea

Euphorbia dendroides

Euphorbia dendroides

A monte della strada i cespugli di lantana gialla, verso il mare giù per la scogliera della costiera amalfitana prosperano le euforbie arboree (Euphorbia dendroides). Pianta antichissime, già diffuse nell’era terziaria, possono elevarsi fino a tre metri di altezza e prosperano nei climi caldi.

Euphorbia dendroides

Euphorbia dendroides

Lantana in costiera

Lantana camaraUna vistosa profusione di giallo e arancio investe il viaggiatore non appena supera la punta sopra Sorrento e scende lungo l’assolato crinale della costiera amalfitana, verso un mare di puro cristallo blu. Arduo descrivere con parole un luogo così incantevole. Ma è quanto meno curioso che il fiore dominante, in questo assolato settembre, sia la lantana camara, esotica essenza vagabonda di origine americana. Il termine ‘vagabonda’ è quello che usa  Gilles Clement, il geniale architetto paesaggista autore del manifesto del Terzo paesaggio e teorico del giardino planetario, ed è un modo romantico di chiamare quelle che gli altri paesaggisti classificherebbero come pericolose infestanti. Sono le ‘erbe, arbusti e fiori che hanno conquistato il mondo’,  si adattano ad ambienti nuovi con facilità e crescono esuberanti fuori da ogni controllo. Esistono piante bellissime e preziose che hanno questa proprietà. La lantana camara, famiglia delle Verbenaceae, è originaria dell’America e importata in Europa come ornamentale, è da tempo considerata invasiva negli ambienti tropicali. Neppure Clement le risparmia critiche, per la rigidità del portamento (crespa come gli steli delle eriche…), la rugosità del fogliame al tatto (effettivamente sembra una grattugia…) e quell’aria sicura e al tempo stesso rustica e irregolare, senza alcuna modestia. Una pianta sfacciata insomma, dalla fioritura troppo lunga, monotona, talmente presente da diventare invisibile.
E pensare che io la ammiravo  tanto le prime volte che l’avevo incontrata nei vivai una quindicina di anni fa, e la trovavo graziosa, generosa e potente. Mi aveva impressionato positivamente la sua resistenza agli estremi del clima, non al freddo certo, ma al caldo torrido dell’estate 2003, che niente ebbe da invidiare alle estati tropicali (vedi il post dell’ 8 novembre 2009). Poi la sua persistenza, capace di fiorire e rifiorire fino all’autunno (vedi 26 ottobre 2014).
Tant’è la lantana mi piace, e le perdono la brutta fama di invadente che l’ha da tempo bandita dall’Australia (paese severissimo nella guerra implacabile, anche se non so quanto efficace, contro le vagabonde di tutto il pianeta) e da vari paradisi tropicali. Non dalla costiera amalfitana però, dove tutto sommato fa proprio una bella figura.

Crassula falcata

Crassula falcata

Crassula falcata

La maggior parte delle piante del genere crassula ha fiori insignificanti. Ma in questo la crassula falcata fa decisamente eccezione.
Quando ho acquistato questa pianta, mi aveva colpito la forma singolare delle sue foglie, raccolte come un libro sfogliato, e dall’aria così robusta. Che sia una pianta tenace lo dimostra la sua autosufficienza idrica e la caparbietà con cui cresce, in questo simile ad altre succulente. Era rimasta un po’ in disparte, non proprio negletta, ma in osservazione, tanto che mi ero persino dimenticata il suo nome. Ma la fioritura, eccezionale ed assolutamente inaspettata, fitti grappoli rosso arancio in infiorescenze bifurcute, l’ha riportata prepotentemente alla ribalta. Nel frattempo  all’orto botanico di Palermo, ho riconosciuto una sua simile e recuperato il nome.
Indimenticabile adesso, che è di nuovo fiorita e ha anche alcune figlie disseminate nei vasi vicini. Un po’ di pazienza e fioriranno anche loro.