Fiori d’ottobre: solanum

Solanum jasminoides

Solanum jasminoides

Ho anch’io il mio solanum da giardino, due piante che spero possano ancora sopravvivere all’inverno. E’ già il secondo anno che fioriscono, dall’inizio dell’estate all’autunno inoltrato. Nei vasi, anche se ampi, ci stanno un po’ stretti e soffrivano la sete, perchè la terra si asciugava rapidamente. Hanno gradito quindi l’abbondanza delle piogge e ora non si risparmiano i fiori, cascate di corolle bianche dalle sfumature azzurre e lilla. Si allungano e abbarbicano alla ringhiera con intenzione precisa. Tutto come le attese.
(vedi il post del 13 agosto 2011)

Solanum melongena

Solanum melongena
Melanzana

Di tutt’altro carattere le melanzane, tozze e tenaci. Quest’anno sono state molto generose nonostante la stagione inclemente. Grandi amanti del caldo, non si accasciano mai neppure nel sole più feroce. Non mi aspettavo che resistessero imperterrite, continuando a fiorire anche in questo fradicio autunno, quando i loro cugini pomodori, Solanum lycopersicum, sono finiti da tempo e ho già eliminate le piante. La melanzana, Solanum melongena, non è americana, ma viene dall’India, e in Europa è arrivata soltanto nel 1500. I suoi fiori sono attraenti, hanno corolle ampie e di colore lilla acceso, più grandi di quelle di S.jasminoides. Ma poco si fanno notare perché sono rivolti all’ingiù, pendono sotto le foglie dai robusti piccioli che si preparano a reggere il peso dell’ingombrante frutto (vedi anche 17 luglio 2008). Non spero davvero di incrementare il raccolto, ma mi lusingano quei fiori, tardivi e coraggiosi.

La famiglia della solanacee comprende molte specie commestibili e altre, forse di più, velenose e tossiche. Anche la melanzana, come la patata (Solanum tuberosum), non è molto salutare e digeribile da cruda. Il nome deriva dal latino “sólor” io consolo, “solamen”, conforto, perché, con la dovuta cautela, molte solanacee hanno proprietà medicamentose.

Zafferano

crocus sativus

Crocus sativus

Questo post poteva intitolarsi ‘i fiori se ne fregano’ ovvero ‘i fiori sono più forti di tutto’. Quando viene il loro tempo e la natura chiama, non stanno mica a guardare per il sottile, se sia il momento più adatto, se le carte sono in ordine, se veramente conviene, e che cosa ha fatto il vicino. Quando arriva il momento, sono pronti e basta. Sbocciano.
In questi giorni, da queste parti è piovuto molto. Abbiamo visto cascate dove erano semplici mucchi di pietre, maestosi temporali hanno illuminato a giorno la notte, la grandine ha falcidiato la cicoria e i cavoli. Il giardino, sotto il diluvio, sembrava una palude, e i germogli spuntavano appena nelle pozze. Ora che l’acqua è defluita lentamente, e la terra è umida e intrisa, ma è tornata terra, il crocus sativus, il fiore rosso degli dei, lo zafferano, è fiorito.
Il fiore dello zafferano contiene tre fili di color rosso vivo, gli stigmi, che sono le propaggini ultime del pistillo, il fiore femminile. In questo fiore si intravedono appena, ma a maturazione sono lunghe propaggini arcuate che bisogna cogliere al momento giusto, in una mattina asciutta, prima che appassiscano con la corolla. Perchè proprio dagli stigmi si ricava la polvere preziosa, la spezia, ricca di sostanze benefiche. Una polvere scarna, timida e vulnerabile, troppo facilmente contraffatta. Si può per esempio mescolare con il polline giallastro delle antere, la parte maschile del fiore che, curiosamente, sono in questo caso soprannominate ‘femminelle’, in un’espressione quasi dispregiativa per indicarne lo scarso valore. Perchè il polline non è zafferano e allo zafferano neppure lontanamente assomiglia.

crocus ligusticus

Crocus ligusticus
foto di Carla- Monte Treggin
ottobre 2002

Il crocus sativus non si trova spontaneo in natura, ma è specie selezionata da centinaia di anni per ricavarne la spezia. Si possono però incontrare nei campi fiori assai simili, come il Crocus vernus e il Crocus albiflorus (5 febbraio 2009), che fioriscono all’inizio della primavera, e il Crocus ligusticus (20 ottobre 2008), il più simile al nobile parente, succedaneo a volte, quasi a buon diritto (ma lo stimma è uno solo).

Ho piantato una ventina di bulbi di zafferano in giardino, alcuni sono ancora troppo piccoli per fiorire, altri fioriranno troppo velocemente per poterli raccogliere, a qualcuno forse riuscirò a strappare i preziosi stimmi, raccoglierli con cura, asciugarli a una moderata fonte di calore, e conservarli per un risotto.

Gaultheria

Gaultheria procumbens

Gaultheria procumbens

Siamo ormai nella stagione delle bacche e, seppure i fiori non siamo proprio del tutto scomparsi, sono loro a guadagnare la prima fila
Ho visto per la prima volta questa pianticella americana su un banco di fiori di un mercato rionale, in un microscopico vasetto di plastica, di quelli fatti apposta per costringere le radici, e l’aspetto esattamente come nella foto. Chiedo il suo nome, che non era indicato, e la venditrice mi guarda smarrita.
“E’ una pianta che fa delle bacche rosse”, mi spiega.
Per fortuna il suo collega il nome lo conosce e mi ragguaglia anche un po’ sulle sue proprietà. E’ un cespuglietto di piccole dimensioni, rustica e resistente al gelo. Dopo essermi documentata un po’ meglio, apprendo che predilige ombra e mezz’ombra piuttosto che il sole pieno e che è una pianta commestibile, salutare anzi. Si possono consumare i frutti e preparare tisane digestive con le sue foglie. Pare addirittura che contenga salicilati, il principio attivo dell’aspirina.

Bacche di goji

Lycium barbarum

Lycium barbarum

Prepotentemente salite alla ribalta da un paio d’anni e pubblicizzate come toccasano universale per ogni sorta di malanni, le bacche di goji non sono certo una novità per la cucina e la medicina tradizionale cinese. L’improvvisa popolarità nei paesi ‘occidentali’ di questo piccolo frutto, che secco ha un leggero sapore di uvetta amarognola, non è immune da dubbi ed equivoci. A cominciare dal nome. Il nome moderno goji sarebbe una translitterazione di un cinese gǒuqǐ (vi risparmio i caratteri), che significa … bacca. Le proprietà medicinali, o quantomeno preventive, di queste “bacche bacche” sono legate alla presenza di flavonoidi con rilevanti proprietà antiossidanti e antimicrobiche. Qualche risultato in tal senso è stato certamente documentato, ma i flavonoidi sono contenuti in quasi tutte le piante. Che quelli del goji siano migliori e più efficaci, francamente non saprei. In più, il Lycium, nome scientifico che deriverebbe dall’origine persiana (Licia era l’antico nomea della Persia), appartiene alla famiglia delle Solanacee, una famiglia ambigua che comprende pomodori, patate, peperoni e melanzane, ma anche piante decisamente velenose come la belladonna e il giusquiamo nero, le dature e il tabacco. Secondo certi studi, anche le bacche di goji contengono atropina, l’alcaloide velenoso della belladonna, seppure in quantità probabilmente modeste.
Molti dubbi e poche certezze, ma anche tanta curiosità. E una pianticella di goji è arrivata nel mio giardino ed è cresciuta spavalda resistendo a una attacco di parassiti che ha coperto le sue foglie di piccole ciccatrici biancastre. E’ fiorita abbondantemente, coprendosi di stelline viola pallido, e ha prodotto moltissime bacche, rosse. Le abbiamo assaggiate, crude, decisamente amare, assai meno gradevoli di quelle passite che si trovano in commercio.
Sono contenta che cresca e spero possa guarire. Da lei non mi aspetto miracoli, guarigioni prodigiose o eterna giovinezza. Ma la compagnia discreta e divertente di un alberello esotico dalla storia millenaria.

Verbena del Brasile

Verbena litoralis

Verbena litoralis


Nel disordinato e asciutto greto del torrente Bisagno, non molto lontano dal ciglio della strada, incontro questa verbena che è diversa da quelle conosciute. Si chiama verbena del Brasile perchè è nativa dell’America centro meridionale, anche se si è velocemente e felicemente diffusa un po’ dappertutto, dall’Australia al Sud Afriaca, dalle Hawai al Mediterraneo occidentale. In inglese si chiama anche verbena delle spiagge (seashore vervain), nome che rieccheggia quello scientifico. Cresce sottile e robusta, come tutte le verbene selvatiche, sui lunghi steli i suoi fiorellini minuscoli si perdono nella polvere dell’estate.

Verbasco porporino

Verbascum phoenicium

Verbascum phoenicium


Dopo una settimana di caldo torrido, oggi sono previsti temporali. Li stiamo aspettando dal mattino e finalmente, sono ormai quasi le 4 del pomeriggio, il cielo si è fatto cupo e rumoreggiante e comincia a cadere la pioggia.

Ora piove davvero. Mentre mi auguro che duri almeno un po’, spero che non sia devastante.

Il precoce caldo estivo ha rinvigorito le piante. Questo verbasco è un nuovo arrivo, seminato alla fine di marzo in serra, ora numerose piante sono a dimora nell’aiuola. Pianta perenne, spero che mi accompagni e allieti con i suoi fiori, semplici e raffinati, negli anni a venire. Rosa lilla e bianche, disposte in densi racemi, le corolle si spalancano nel mattino, e si chiudono, un po’ scomposte, nel sole del pomeriggio.

Lupinella

Onobrychis viciifolia

Onobrychis viciifolia

 

Foraggera, mellifera, questa graziosa piantina rosata e screziata di rosso, è un nobile esempio della generosità vegetale. Il suo nome scientifico, di antiche origini, suggerisce che fosse cibo gradito degli asini che ne brucavano avidamente. Anche le api la bottinano, confezionando un miele delicato e chiarissimo.
Ho assegnato questo esemplare alla specie più diffusa, Onobrychis viciifolia o lupinella a foglie di veccia, che veniva coltivata abbondantemente come foraggio e, sfuggita alla coltivazione, ha colonizzato colline e pendii di mezza Italia. Ma potrebbe essere anche Onobrychis supina, lupinella sdraiata, molto simile in colori e forma, anch’essa comunque a quanto pare non disdegnata dall’ape.
Fotografata vicino alla velenosissima coriaria (vedi ieri), sulle montagne fra Imperia e Savona nei pressi del passo del Ginestro.

Sommacco provenzale

Coriaria myrtifolia

Coriaria myrtifolia

Sulla morbida montagna del ponente ligure, fra il rosa dei cisti e il giallo delle ginestre, nei pressi del passo del Ginestro (Imperia – Savona), cresce un suffruttice, cioè un arbusto, della macchia mediterranea occidentale, le cui foglie ricordano quelle del mirto (da cui il nome).
Ma non facciamoci ingannare,  si tratta di una delle piante più velenose di questo ambiente. Le sue bacche contengono una tossina, la coriamirtina, con violenti effetti neurotossici, che possono provocare crisi epilettiche, coma e apnea. Naturalmente, se l’avvelenamento viene individuato in tempo, esistono antidoti, come è spiegato nell’articolo che ho citato sopra. Non ne conosco l’aroma, ma la definirei non adatta alla preparazione dei liquori.

Miltonia

Miltonia

Miltonia


Queste orchidee, di difficile attribuzione fra il genere miltonia e miltoniopsis, sono anche dette orchidee viola del pensiero o orchidee pansè per via della forma dei fiori che ricorda appunto una viola del pensiero o pansè. Nel caso di questo esemplare, che codvrebbe essere miltonia, la somiglianza non è così evidente, ma i fiori sono senza dubbio molto attraenti e duraturi.
La difficoltà sarà assicursi una nuova fioritura quando inesorabilmente i fiori saranno terminati e incontrare i suoi gusti in fatto di luce, ananffiature e temperature. A leggere i manuali e i consigli dei siti di giardinaggio non è così semplice. Mi pare che questa pianta necessiti di irrigazioni abbastanza frequenti e luce non diretta. Per resto, se i fiori torneranno, lo considererò un regalo personale.