Chiamarla miseria blu, o peggio ancora miseria asiatica, come viene spesso classificata, mi pare quasi un’espressione offensiva, specie in questi tempi di amore ed odio, di dolorosa ambivalenza verso tutto quello che arriva da lontano e dall’Estremo Oriente come lei. Non è altro che un altro tipo di erba miseria, molto simile a quella tradescantia (17 febbraio 2010), tanto generosa quanto modesta. Quell’ “ebreo errante” che trova spazio in qualsiasi appartamento anche ombroso, e cresce da un minuscolo pezzetto di fusto, da un’infima radichetta spuntata in un bicchier d’acqua.
L’erba miseria blu è un’infestante esotica che ormai si ritrova un po’ dappertutto. Nei giardini, certo, come l’ho trovata io, ma anche in campagna, negli incolti, al margine dei boschi. Dobbiamo farci l’abitudine, tutte queste piante colonizzano il nostro territorio e sarebbe assai difficile fermarle.
La tradescantia ha piccoli fiori bianchi, e la sua parente rossa, la setcreasea, fiori rosa. Piccoli, graziosi, sorprendenti. Come i fiori blu della miseria asiatica, due larghi petali, avvolti da una spata a doppia semiluna (che non si vede in questa foto). In questo genere, il terzo petalo è ridotto e praticamente assente e il fiore risulta così zigomorfo, cioè asimmetrico, a differenza di quello di altre commelinaceae che hanno fiori attinomorfi, cioè a simmetria raggiata. Ne ho trovato un getto in un aiuola e l’ho messo in un vaso laterale, per riempire il vuoto di qualche pianticella senza nome che non era soppravissuta all’inverno. Le sue piccole iridi di azzurro intenso si spalancano di mattina e durano meno di un giorno.
Cornus kousa
Forse non tutti sanno che
… i cornioli non sono solo alberi e arbusti dai fiori bianchi e il legno duro, sono anche bellissime piante ornamentali
… questa è una cultivar dell’esotico Cornus kousa
… i larghi lembi rosati non sono petali, ma brattee; i fiori, quelli veri, sono verdolini e raccolti in una piccola infiorescenza sferica al centro delle bratteee
… in inglese il corniolo si chiama dogwood, legno del cane, il perchè non è chiaro; forse i cani non c’entrano affatto, più che altro è un nome che deriva da qualche impiego del corniolo, legno notoriamente di eccelsa robustezza (potrebbe, dice wikipedia, venire da dagwood, ovvero legno per pugnali, frecce o qualt’altro)
Fotografata nel giardino botanico Hortulus di Dobrzyca, Pomerania (Polonia).
Abete coreano
Bellissima conifera dal vero aspetto asiatico. Le sue pigne hanno quasi gli occhi a mandorla.
Fotografata nel giardino botanico di Dobrzyca, Pomerania (Polonia). Questo giardino è annesso a un vivaio commerciale e si chiama Hortulus, che in latino significa qualcosa come giardinetto. Le pagine web sono in polacco … però con traduzione online anche in italiano
Fitolacca dioica
Pianta esotica longeva e tenace, è parente della fitolacca americana (17 agosto 2008), ormai naturalizzata e vigorosa infestante. I frutti, disposti in pannocchiette come quelli della sua parente più piccola, si intravedono appena dietro le larghe foglie.
Fotografata ai parchi di Nervi, agosto 2009
Euforbia prostrata
C’è una nuova infestante nel mio giardino. Si comporta un po’ come la Portulaca oleracea (27 settembre 2009), volgarmente porcellana, e si allarga a raggio sul terreno assumendo una forma circolare molto regolare e graziosa, oppure, nella vicinanza di altre erbette, raddrizza gli steli e si allunga verso l’alto. Abbandonata a se stessa forma cespi vigorosi, ma l’aderenza al terreno è debole e il cespo si sradica con una mano sola. Tanto ha la vitalità delle esotiche e ricaccia vigorosamente in ogni angolo. Persino, come si vede, nelle crepe delle mattonelle. Che fosse un’euforbia avrei dovuto accorgermene subito dall’immancabile lattice che sgorga dal fusto spezzato. Anche i microscopici fiori hanno l’aspetto inconfondibile di ciazi (vedi altre piante della famiglia). Ma il fusto non si spezza involontariamente e i fiori sono quasi invisibili. Così ho impiegato un po’ di tempo per riconoscerla.
E’ comparsa con virulenza quest’anno, anche se da tempo è presente nell’area urbana genovese. Mentre scartabellavo in rete per conoscerla meglio, ho visto che la maggior parte dei giardinierii, quelli seri che riescono a mantenere il praticello all’inglese quasi dodici mesi all’anno, la trattano a botte di ‘antigerminello’, nomignolo fin troppo gentile per quei preparati antifecondativi che promuovo la pulizia etnica fra le specie vegetali e uccidono le biodiversità. E’ vero, l’euforbia prostrata , il cui nome scientifico è Chamaesyce prostrata è un’esotica invadente che dal Nord America è venuta a contaminare i nostri giardini. Io strappo e strappo, ma in fondo un posto a tavola qui c’è per tutti.
Acetosa
E’ una delle più famose ‘insalate selvatiche’, gradita da masticare per il succo acidulo e dissetante che contiene. E’ ricca di vitamina C, ma contiene anche ossalati e questo ne rende il consumo eccessivo dannoso allo stomaco. Si distingue dagli altri romici (rumex spp, 14 giugno 2009 ) per le foglie sagittiformi che abbracciano lo stelo con le loro orecchiette. I fiori sono pennacchi rossi, formati da piccoli fiorellini che presto si mutano in semi a forma di medaglietta. Con questa pianta si può preparare una salsa, con sale e pepe nero, adatta per accompagnare pesce o carne. Oppure, combinata con altre piante come la bardana (arctium lappa , 26 luglio 2009), si può utilizzare per un decotto efficace contro l’acne cutanea. O ancora, un infuso caldo funziona egregiamente per rimuovere le macchie di ruggine (grazie alle proprietà dell’ossalato).
La famiglia è quella della polygonaceae, caratterizzata da foglie provviste di una guaina caratteristica, chiamata ocrea, che circonda lo stelo alla base delle foglie. E’ pianta davvero comune, diffusa in tutt’Europa; l’esemplare a sinistra viene dallo stesso prato di giugno della filipendula di ieri, e la pianta a destra viene da un prato di luglio in un giardino della Pomerania.
Filipendula
Ho incontrato la filipendula e non l’ho neppure riconosciuta. E’ successo lo scorso giugno, sulla strada per Pratorondanino. Mi sono dovuta fermare vicino a un prato, un prato come solo possono essere i prati a giugno, inondato di colori. Ma se potevo riconoscere il blu dei geranei, e il giallo di qualche ginestrino o lotus dei campi, quell’esplosione di fiori bianchi che riempiva tutta quanta la scena, a quelli non sapevo dare un nome. Per vie traverse ci sono arrivata, dopo due mesi, ed era la filipendula vulgaris, stretta parente di quella filipendula ulmaria dalle straordinarie virtù medicinali.
La f. ulmaria, olmaria comune, si chiama anche spirea ulmaria, come già dicevo il 20 maggio 2010 e da quel nome, spirea, deriva la parola aspirina che i farmaceutici della Bayer inventarono per quel preparato di aceto acetilsalicilico che era destinato ad avere tanta fortuna per il benessere dell’uomo (effetti collaterali nonostante). Quindi non dal salice, ma dalla filipendula soprattutto deriva l’aspirina.
In Europa le specie di filipendula sono essenzialmente due, ulmaria, la pregiata medicina e vulgaris, parente più povera, chiamata olmaria peperina o erba peperina, salutare e commestibile, ma senza grandi pretese. Tutte e due hanno fiori incantevoli, che si aprono candidi da boccioli rosati, e a lungo fioriscono da maggio a luglio; e foglie composte, più frastagliate la vulgaris, più compatte e lanceolate la ulmaria (il suo nome suggerisce che le foglie assomiglino a quelle dell’olmo).
Originarie del Nord America sono invece le specie di filipendula più propriamente da giardino, come questa avvenente filipendula rubra, che ho fotografato in un vivaio in Pomerania (Polonia).
Ammofila
Anche l’ammofila cresce sulla spiaggia accanto alla jasione, terribilmente a suo agio sull’arena, come anche il suo nome proprio suggerisce. Ammofila significa che ama la sabbia e arenaria conferma il suo habitat ideale. E’ la prima pianta della famiglia della poaceae (più familiarmente note come graminaceae) che metto su questo blog. E poche davvero ne avevo inserite anche nel vecchio blog. Queste monocotiledoni, a cui tanto deve il genere umano, mi sono assolutamente ostili per quanto riguarda classificazione e riconoscimento. In altre parole, dovrei studiare a lungo prima di cominciare appena a cimentarmi con loro. L’ammofila di questa fotografia è di casa sulle spiagge mediterranee, e anche sull’Atlantico; ma è stata introdotta un po’ dappertutto, non c’è costa europea che non le abbia dato asilo, perchè le sue radici stabilizzano le dune di sabbia, le trattengono dallo scapparsene via. Si trova persino in California e più su verso il Canada. Elegante nelsuo ciuffo di foglie verde argenteo e con le sue lunghe spighe dorate.
Jasione montana
Il nome italiano, vedovella annuale, non mi dice nulla. Non potrei ricordarmela com questo nome. Per me le vedovelle sono Scabiosa o Knautia, famiglia dipsacaceae. Invece la Jasione è una campanulacea, anche se l’aspetto è quello di un capolino fitto, potrebbe essere qualsiasi cosa. Si chiama J.montana, e da noi certo cresce in collina, su suoli aridi e sabbiosi, sulle arenarie disfatte. Sul Baltico si comporta un poco da pianta pioniera, e cresce sulla spiaggia. La salsedine è meno aspra che da noi, e la vegetazione gentile. Però ho visto anche Cakile maritima (ravastrello o ruchetta di mare, 22 aprile 2010) esattamente come sulla spiaggia della Costa Smeralda in aprile. Non escludo di trovare magari un giorno anche sulle nostre spiagge mediterranee una morbida fioritura di bottoni azzurri come questo.
Fotografata sulla spiaggia del Baltico, vicinanze di Kołobrzeg (pronuncia Kouobjeck, tedesco Kolberg), luglio 2010
Liquirizia
Non è proprio la ‘vera’ pianta della liquirizia, come me l’avevano spacciata, ma per lo meno ne è una stretta parente. Ci sono piante che sanno un po’ di liquirizia e qualcuno le chiama liquirizia, così per modo di dire. Come il volgare polipodio (9 novembre 2008) che da bambini succhiavamo chiamandolo reganisso. O addirittura l’elicriso (5 luglio 2008), il cui odore sì penetrante, ma non certo dolce, poco ricorda la liquirizia, ma con questo nome viene chissà perchè talvolta spacciato nei vivai.
Ma è dalla radice di questa pianta, il cui nome scientifico Glycyrrhiza significa proprio radice dolce, che viene estratta la vera liquirizia. La liquirizia propriamente detta, Glycyrrhiza glabra, è una pianta dell’areale mediterraneo di cui non si conosce esattamente il luogo d’origine. A causa della notorietà medicinale e alimentare, è difficile dire quanto della sua attuale presenza e diffusione sia naturale o piuttosto ciò che resta dell’intensa coltivazione che se ne faceva un tempo proprio nell’area mediterranea. Comunque io non l’ho mai vista o riconosciuta nei campi. Questa pianta l’ho comprata a una mostra mercato e l’ho messa a dimora nel mio giardino. Ho tribolato per lei durante il lungo inverno gelato, era scomparsa, ma sapevo che sarebbe tornata. I fiori me li sono persi mentre ero in Polonia, ma ora è piena di frutti, magari poco interessanti, ma numerosi e bizzarri, piccoli bacelli rossastri, appressati e … pelosi. Allora non è lei ! Non può essere Glycyrrhiza glabra, che come indica il nome ha legumi privi di peluria. Credo si tratti di Glycyrrhiza echinata, liquirizia setolosa, pianta originaria delle coste del Mar Nero e presente forse ancora allo stato spontaneo in Puglia e Basilicata, dove fu segnalata in passato. Si distingue per i racemi (infiorescenze) più densi e per i legumi irsuti anzichè glabri. Sono sorpresa, ma non dispiaciuta. Non avevo nessuna intenzione di estrarre la liquirizia dalle radici della mia pianta.