Gelso bianco

Morus alba

Le foglie, con i piccoli fiori, che appaiono nelle fotografie di oggi, appartengono a un grande albero di gelso bianco che si trova a Carpenissone, nel territorio del comune di San Colombano Certenoli, val Fontanabuona, dove ho trascorso il 25 aprile molti anni fa. Che fosse un gelso bianco lo diceva la scritta sul suo tronco, come si trattasse di esemplare da orto botanico; ed esemplare prezioso deve essere, perché il gelso non è comune dalle nostre parti, e soprattutto di quelle dimensioni. Il gelso è una pianta importata ed oggi quasi scomparsa. La scritta sul tronco specifica anche che il gelso appartiene alla famiglia della Urticaceae, cosa mi ha lasciato un poco perplessa sul momento perché ricordavo che la famiglia del gelso (e del fico) è quella delle Moraceae. In effetti, secondo la classificazione Cronquist, schema che è oggi parzialmente superato, la famiglia delle Moraceae faceva parte dell’ordine delle Urticales, e ciò suggerisce che così qualche parentela con l’ortica, seppure alla lontana, i gelsi devono ben averla.
morus albaIn Italia vivono due specie di gelsi, all’apparenza assai simili, il gelso bianco, Morus alba, e il gelso nero, Morus nigra. Le foglie sono ovate, con apice appuntito e margini seghettati; ma mentre quelle del gelso bianco sono chiare e lucide, quelle del gelso nero sono più scure e ricoperte di peluria (vedi 3 luglio 2008). Il gelso nero è originario della Persia, ha le foglie ruvide quasi come quelle del fico, i frutti rosso vivo come il sangue, dal sapore agrodolce forte, rami nodosi come la quercia e crescita lenta. Non bisogna confonderlo con il Morus alba nero, varietà di Morus alba, che ha i frutti di colore nero olivastro ed sapore dolce acidulo, le foglie un po’ più scure del Morus alba bianco, ma sempre lucide e tenere e il portamento eretto. E’ quest’ultima la varietà, di origine ovviamente cinese, che si usava per nutrire le larve del baco da seta (Bombyx mori) per cui il gelso è universalmente conosciuto.

originariamente pubblicato il 30 aprile 2009

Broussonetia kazinoki

Broussonetia x kazinoki

Broussonetia x kazinoki

Non conosco quasi nulla di questa pianta. Soltanto che è una Moracea, cioè della famiglia del fico e del gelso, e parente stretta di quel gelso da carta (Broussonetia papirifera) che non è difficile incontrare persino per strada, perché è rustica e cresce facilmente dappertutto (vedi 1 settembre 2009).
Questa broussonetia invece è un esemplare particolare ed è capitata nel mio giardino per caso, regalata da un amico appassionato di piante. Non so neppure bene come la devo chiamare, ma il suo nome corretto è probabilmente Broussonetia x kazinoki perché secondo quanto leggo in questa pagina dovrebbe essere un ibrido B.papyrifera appunto e B.monoica.

Broussonetia x kazinoki

Broussonetia x kazinoki

Dovrebbe (e mantengo il condizionale) essere di portamento arbustivo (il gelso da carta invece è un albero) ed essere anche lei un’essenza da carta, almeno nel suo paese di origine, Giappone ovviamente, dove viene chiamata Kōzo.

Broussonetia x kazinoki

Broussonetia x kazinoki

Ha passato l’inverno in un vaso del mio giardino e ha perso tutte le foglie. Poi sui rami spogli hanno cominciato a comparire singolari infiorescenze di diverso tipo, che interpreto come fiori maschili e femminili su una pianta monoica (che contiene cioè sullo stesso esemplare fiori di entrambe i sessi). Adesso  lentamente, si cominciano ad aprire anche le foglie, a lobi grossolanamente triangolari. Ma quando, e se, diventerà un cespuglio, non sarà facile trovarle uno spazio e forse dovrò separarmene come è accaduto per altre essenze straniere.

Jaca, frutto esagerato

Jaca

Frutto di jaca – Ilhabela, stato di São Paulo, Brasile

La jaca,  Artocarpus heterophyllus, a volte chiamata giaca in italiano, è conosciuto come il più grande frutto commestibile che cresce su un albero.  L’albero, che può essere alto fino a 20 metri, è originario dell’India, del  Sud Himalaya o forse  Gati occidentali, la catena montuosa della penisola indiana, ma è diffuso in tutte le aree tropicali e ha trovato casa e fortuna anche in Brasile, sulla costa atlantica.
A causa della sue dimensioni, il frutto si sviluppa sui rami più grandi, talvolta persino sulle radici scoperte, ma soprattutto sul tronco; infatti i rami più esili non potrebbero sorreggerne il peso che può raggiungere qualche decina di chilogrammi. Per questo la pianta viene detta cauliflora che significa appunto che porta i fiori lungo il tronco.  E’ anche monoica, con fiori maschili, inseminatori, e femminili, che danno origine ai frutti, sulla stessa pianta.

La jaca, preferisco chiamarla così, con il suo nome portoghese con cui l’ho conosciuta, è un frutto dai molteplici usi e qualità. Il  sapore varia a seconda della maturazione, conservazione e cottura, ma è sempre gradevole.  Zuccherino come il fico (appartiene alla stessa famiglia, le moracee),  ha sapore di mela e ananas quando è  fresco, ma cambia sapore e diventa una pietanza se cucinato opportunamente. Se ne mangiano anche i semi, simili per gusto alle castagne. Facilmente deperibile, è meno apprezzato il suo odore che può talvolta in ambienti con scarso ricambio d’aria risultare nauseabondo.

Pastel de palmito de jaca

Vale do Capão – Chapada Diamantina

Una delle ricette più singolari a base di questo frutto gigante sono le frittelle di jaca (“pastel de palmito de jaca”), piatto tipico del Nord Est brasiliano, in particolare di quella zona dello stato di Bahia che si chiama Chapada Diamantina.  Si tratta di vere e proprie focaccette  fritte, ripiene delle ‘palma di jaca’, una parte appiccicosa che si trova dentro il frutto e potrebbe rappresentare uno scarto, cucinata come fosse carne di pollo.

Questo frutto ha anche utilizzi medicinali.   I frutti, ma anche la corteccia e le foglie di questa pianta sono utilizzati dalle  popolazioni del Vietnam, Tailandia e Laos per le proprieta galattagoghe, cioè perchè aumenta la secrezione di latte di donne e animali, mentre  il popolo Van Kieu, indigeni del Vietnam, la utilizza come antidoto alla depressione postparto, ma anche per i disturbi della lattazione, la febbre e i dolori addominali.

Il nome del genere,  Artocarpus, significa frutto pane e il genere comprende anche Artocarpus altilis, specie nota appunto come albero del pane, detto in sanscrito panasa, da cui il genovese panissa.

 

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Ficus macrophylla, l’albero più grande d’Europa

Ficus macrophylla

Ficus macrophylla – Palermo, piazza Marina

 

Ecco un altro albero venuto da lontano e piacevolmente (per lui) acclimatato nella soleggiata Sicilia. In realtà più che semplicemente acclimatarsi, parrebbe ne abbia preso sconsideratamente possesso.

Secondo l’autorevole parere dell’Accademia dei Georgofili, riportata qui dal prof. Giuseppe Barbera, il Ficus macrophylla subsp. columnaris, di piazza Marina a Palermo con i suoi 10.000 metri cubi  di chioma fogliare è il più grande albero d’Europa. Sotto le sue chiome, la domenica mattina, si svolge un animato e piacevole mercatino delle pulci (vedi foto a destra). La specie è più conosciuta con il vecchio sinonimo, Ficus magnolioides Borzì, un nome che fa riferimento alla somiglianza della sue foglie con quelle della Magnolia grandiflora, con la quale continua ad essere confuso. Tanto che i palermitani chiamano queste piante  ‘magnolie’ ed esiste un viale costeggiato da questi fichi che si chiama appunto Viale delle Magnolie.

Ma è naturalmente nell’orto botanico, dove non mancano altri esemplari che contendono il primato al gigante di piazza Marina, che tutta la storia dei fichi magnolioidi palermitani è cominciata. E proprio lì leggo le loro gesta.

Ficus macrophylla subsp. columnaris

Ficus macrophylla subsp. columnaris – Orto botanico di Palermo

Nel suo ambiente naturale, l’isola di Lord Howe in Australia, il Ficus macrophylla subsp. columnaris comincia la sua vita come ‘epifita’, ovvero avvinghiandosi ad altre piante senza tuttavia diventarne un vera e proprio parassita. Gli uccelli si cibano dei suoi frutti e trasportano i semi disperdendoli sui rami più alti, dove essi germogliano. Dopo un breve tempo di crescita, le giovani piante emettono radici aeree che si spingono fino a terra trasformandosi in pseudo tronchi che sostengono e nutrono la pianta. Questi pseudo tronchi si fondono insieme formando una gigantesca e compatta massa legnosa indistinta che progressivamente ingloba e inviluppa la malcapitata pianta ospite. L’albero possiede anche delle grandi radici tabulari a forma di lama che principalmente servono a mantenere l’equilibrio. Queste radici emergono dal terreno spesso estendendosi fino a lunga distanza.  Le foglie coriacee hanno la lamina superiore glabra di colore verde scuro e quella inferiore lanuginosa e color ruggine. Le infiorescenze, siconi o fichi, sono raggruppati alla sommità dei rami. Esse non producono frutti in Italia perchè manca l’insetto impollinatore specifico (1).

Ficus macrophylla

Particolare dell’enorme tronco di Ficus macrophylla dell’orto botanico

L’esemplare delle foto fu introdotto nell’orto botanico all’inizio del 1800. Da qui si è diffuso e sparso in tutti i parchi e giardini della costa siciliana. Oggi si incontrano comunemente individui di proporzioni monumentali la cui crescita esuberante ha irreparabilmente trasformato l’ambiente immediatamente circostante, comprese le costruzioni. Insieme al Ficus aurea, una specie originaria della Florida e ad altre specie di varia provenienza, questo Ficus costituisce un gruppo noto come ‘fichi strangolatori’ o ‘necat plantas‘, piante assassine, in ragione delle loro abitudini di crescita aggressiva, nella quale inglobano ogni altra pianta o materiale che trovano sul loro cammino.

Ricordo che si può, anzi si deve, cliccare sulle immagini per vederle più grandi

(1) La straordinaria storia dell’impollinazione dei fichi è raccontata nel bellissimo libro di Giuseppe Barbera “Tuttifrutti”  Mondadori, 2007

Maclura

maclura pomifera
Inconfondibile quando porta i frutti, piccoli e rugosi, ma raccolti in grappoli così densi da assumere la forma di un pomo. Nonostante l’aspetto vagamente invitante, i frutti non sono commestibili.
Senza frutti, sembra un albero alquanto comune, con foglie ovate, alterne, affusolate lungamente verso l’esile apice. Erano ancora verde brillante in questo inizio d’autunno, anche se pronte ormai ad ingiallire velocemente. Senza i frutti bisogna aiutarsi con altri particolari per riconoscerla. Per esempio le lunghe spine che compaiono sui rami, o la corteccia con profonde fenditure e un colore marrone aranciato.
L’albero è originario dell’America del Nord, ed è stato importato in Europa per sostituire il gelso, decimato da una malattia. Sono infatti entrambi della famiglia della moraceae; ma i bachi da seta non gradiscono le foglie della maclura. E’ rimasto, comunque, come albero ornamentale, abbastanza comune su suoli umidi. Questo esemplare si specchiava, insieme a vari suoi simili, nell’acqua ferma del fossato del castello di Paderna (Piacenza).

Sicomoro


Il sicomoro propriamente detto è un albero simile al fico (Ficus carica, 9 agosto 2008) che cresce in Africa e in Medio Oriente, e per questo citato spesso nel Vangelo. E’ un grande fico che cresce infiorescenze carnose dette siconi, erroneamente viste come frutti. Anche se il sicomoro non è originario della California, di un sicomoro parla J. Steinbeck, uno dei miei scrittori preferiti, nel romanzo breve Junius Maltby, per me un piccolo capolavoro. Il protagonista di questo romanzo sedeva con i figlio sul vasto tronco dell’albero, con i piedi penzoloni nello stagno, leggendo romanzi e lasciando così trascorrere con intensa svogliatezze le ore. La vegetazione della California non è molto ricca, ma il clima ha permesso l’adattamento di specie da tutto il mondo, fra le quali certo il sicomoro. Invece in Italia, il sicomoro non esiste, e per questo rimane un albero mitico, un simbolo, un nome dal suono musicale.
Fotografato a Murabilia, all’interno di una mostra di piante alimentari, dove era indicato come “fico noto fin dall’antichità per i suoi frutti di grato sapore”.