Il colore del pomodoro

Pomodoro giallo

Murabilia – Lucca 2012

In principio il pomodoro era giallo. Altrimenti perché si chiamerebbe pomo d’oro? Il mercato di questo fortunatissimo ortaggio ha premiato il colore rosso, e così non si trova grande scelta di pomodori gialli al mercato, anzi potrei dire che non ne ho mai visti. Però gli amatori del Solanum lycopersicum da sempre coltivano numerose varietà dorate, dai nomi sfavillanti. Per esempio Yellow pear, a forma di piccola pera, oppure Perle de Lait, i cui frutti sono giallo pallidissimo, quasi bianco, ma la polpa è dolce e gustosa. O ancora il Sunrise giallo, open source per distinguerlo dai pomodori Sunrise rigorosamente rossi e coperti da brevetto e il Piccadilly giallo, con sfumature arancio dorate.

Sunrise giallo

Pomodoro Sunrise giallo

Piccadilly giallo

Pomodoro Piccadilly giallo

Fra le centinaia di varietà o cultivar di pomodoro si trova poi  un vero e proprio arcobaleno di colori, oltreché di forme e sfumature. Se conoscerli tutti è impossibile, ne ho incontrato alcuni veramente fantasiosi, come ‘Cascade de lava’, rosso striato di rigature giallo verdi, ottimo in insalata, un’altra varietà della collezione del coltivatore Valter Marchetti, conosciuto grazie all’associazione Adipa (grazie a cui ho anche conosciuto il Perle de Lait menzionato sopra).

Cascade de lava

Pomodoro ‘Cascade de lava’

Pomodoro viola ucraino

Pomodoro viola ucraino

Pomodoro nero di Sardegna

Pomodoro nero di Sardegna

Per usufruire al meglio delle proprietà antiossidanti degli antociani, ma forse anche per il gusto di creare frutti originali, sono state selezionate poi numerose varietà con buccia e polpa scura, dal viola al nero. I più famosi sono i neri di Crimea, gustosissimi, adatti anche a una stagione breve come quella del loro luogo di origine.
Un altro pomodoro della tradizione ucraino/russa  è invece un’antica varietà di forma ovale di colore marrone viola, riportato alla luce nel 1980 dalla collezione della signora ucraina Irma Henkel Bell. Di perfetta forma rotonda invece è il nero di Sardegna, croccante e molto appetibile in insalata.

Blue Beauty

Pomodoro Blue Beauty

Ma anche il blu fa la sua comparsa nelle sfumature delle bucce, con il californiano Blu bellezza ovvero Blue Beauty, i cui semi sono facilmente reperibili in commercio.

Rimango in America del Nord con la mia scoperta dell’anno, Cherokee purple, una cultivar ritrovata in Tennessee negli anni 1990, ma risalente, a detta del coltivatore Craig LeHoullier che lo ha esaminato, ad almeno cento anni prima e appartenente alla tradizione agricola dei nativi americani Cherokee. I frutti sono bruno violacei, costoluti, piuttosto grossi con polpa variegata di violetto e rosa, gustosissimi.

Pomodoro Cherokee purple

Pomodoro Cherokee purple

Mentre molte cultivar si contendono il primato per il frutto più grosso, e certe varietà possono fornire in condizioni ottimali pomodori che pesano qualche chilogrammo, il  più piccolo è certamente la qualità ribes, con frutti grandi appunto quanto una bacca di ribes, ma squisitamente saporiti, uno dei pomodori più gustosi che io abbia mai assaggiato, anche se il suo utilizzo rimane ristretto a causa proprio delle dimensioni decisamente ridotte.

Pomodoro ribes

Il più piccolo : varietà ribes

Il pomodoro è una specie autoimpollinante, questo significa che i semi di un certo tipo danno origine in genere ad una nuova pianta della stessa varietà, permettendo di mantenere sempre le stesse qualità preferite nella coltivazione.

Brugmansia

Brugmansia

Brugmansia suaveolens

Parchi di Nervi (Genova), nei pressi del roseto. Un placido cespuglio dall’aria esotica nascosto dietro un padiglione semi abbandonato, allunga i rami verde giallo contro i vetri di una vecchia finestra. Conosco i fiori di questa pianta, lunghe campane dai colori sgargianti e delicati che pendono come gioielli e hanno meritato il soprannome di trombe degli angeli (vedi anche 20 luglio 2008). Oggi i fiori sono appassiti da tempo, ma nel tepore della costa ligure, l’arbusto non ha perso le foglie, che conservano il loro verde delicato, e, fra le foglie,  rimangono  i calici vuoti, e i frutti, lunghe bacche verdastre.
Queste principesche solanaceee si chiamavano un tempo tutte Datura, sia le specie arboree che quelle erbacee, o meglio così le aveva chiamate Linneo. Ma in seguito le varietà arboree sono state attribuite al genere Brugmansia, in onore ovviamente di un botanico, l’olandese Sebald Justinus Brugmans.

Brugmansia

Brugmansia suaveolens

Insieme alla cugina Datura, ma anche ad altre solanaceae come Hyoscyamus, Brugmansia è una pianta molto velenosa e l’arcano potere dei loro succhi è qualcosa di leggendario. Si racconta, tanto tempo fa come ai giorni nostri, che soltanto respirarne il profumo soave possa essere molto pericoloso e comunque provocare notevole malessere.  Contiene un alcaloide la scopolamina, chiamato anche burundaga, che è potentemente neurotossico e allucinogeno anche se per lo più è conosciuto come antidoto al mal d’auto e mal di mare, naturalmente in dosi ridottissime.  E sempre a dosi ridottissime viene utilizzato per provocare la dilatazione delle pupilla per esami oculari.

Salpichroa, piccola solanacea

Salpichroa origanifolia è una pianta perenne della famiglia delle Solanaceae, originaria del Sud America

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
foglie a fine giugno

Alloctona casuale, ma anche naturalizzata, in molte regioni d’Italia, non l’avevo mai incontrata in campagna o nel verde, e ho dovuto scoprirla in città, in un aiuola nei pressi del Pronto soccorso dell’ospedale San Martino, il più grande della città.  Il suo fogliame ha occupato gran parte dell’aiuola dove dimorano giallissime lantane camara, e forse è proprio arrivata insieme a loro, perché mi stupirebbe che sia stata collocata di proposito.   La foglia è carnosa e piacevolmente verde, e la forma ricorderebbe le foglie dell’origano, da cui il nome.

Ho fotografato distrattamente le foglie con il telefonino alla fine di giugno, chiedendomi che pianta mai fosse. Quando ho scoperto chi era e qualcosa in più di lei, sono tornata dopo un mese, per vedere la fioritura.

I microscopici fiorellini sono timidi e sfuggenti, assolutamente non vistosi, ma  a loro modo sorprendenti. Dalla loro forma, e colore, deriverebbe il nome del genere, dal graco σάλπιγξ, sálpinx che significa tromba e χρόα, croa,  pelle.  Di campanelle effettivamente si tratta, bianche, minute, appena appena bombate, così piccole e nascoste fra le foglie che bisogna fare una certa attenzione per vederle. Un fiore diverso da quello di quasi tutte le altre solanacee, che in genere presentano corolle aperte e piatte.  Persino Physalis (12 novembre 2009 ), l’alchechengi  coi frutti a forma di lanterna, ha fiori a stella.  Finalmente li scopro, oltre  la ringhiera; e scovo persino qualche traccia precoce del frutto che stanno preparando, questo sì abbastanza simile a quello di altre solanacee più famose, Solanum nigrum (erba morella, 15 ottobre 2008), Solanum dulcamara (dulcamara, 28 giugno 2009), o addirittura Solanum melangona (melanzana).

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
fiore

Salpichroa

Salpichroa origanifolia
Fiore e inizio del frutto

La salpicroa è una specie tossica perchè contiene alcaloidi che hanno effetti allucinogeni.  In questo ricorda altre solanacee più famose di lei, come la datura , celebre pianta stupefacente per la presenza di atropina e  scopolamina,  e il tabacco, che ha grandi fiori tubulosi e contiene una potente droga, la nicotina.  Anche le nobili solanacee alimentari, come patate, pomodori e melanzane,  contengono alcaloidi tossici , primo fra tutti la solanina.

In queste piante sono anche presenti composti  denominati witanolidi, molecole della famiglia degli steroidi, che possono avere attività antiproliferativa sulle larve di insetti come le mosche, e forse proprietà antitumorali.

 

Patata, forse non tutti sanno che …

Solanum tuberosum - patata a fiori rosa

Solanum tuberosum – patata a fiori rosa

… patata potato pomme de terre Kartoffel batata ecc ecc …

Solanum tuberosum - patata a fiori bianchi

Solanum tuberosum – patata a fiori bianchi

Non avevo mai pensato che avrei pubblicato un post sulla patata (Solanum tuberosum), finchè in quel di Montebruno, ridente paese della alta val Trebbia, ho visto questo bellissimo campo di patate dai fiori rosa. Ignoro di che varietà si tratti, ma certo è differente da quelle più comuni, con fiori bianchissimi, e che nello stesso campo sembrano essere leggermente più indietro nella crescita. Il colore che conta, nel caso della patata, è quello del tubero, della buccia e della polpa, mentre il fiore del S.tuberosum non suscita il ben che minimo interesse. Invece io, incuriosita da questa inusuale fioritura, ne prendo spunto per approfondire.

Forse non tutti sanno che la patata

…  è il quarto vegetale più consumato al mondo (i primi tre sono il riso, il frumento e il mais), coltivata in oltre cento paesi distribuiti su tutte le latitudini, con le condizioni climatiche più diverse, dalle zone prossime al circolo polare artico fino all’estremità meridionale del continente sudamericano

… è un tubero, ovvero una porzione di caule o fusto (no, non è una radice) di forma allungata e globosa in cui si accumulano sostanze di riserva, i tuberi si trovano sottoterra (no, le patate non crescono appese fra le foglie …) e se ne possono raccogliere numerosi dalla stessa pianta

Roccatagliata

Targa sulla piazza della chiesa di Roccatagliata (Neirone, Genova)

… fu introdotta in Europa, ovviamente, dagli spagnoli che avevano conquistato il Perù, e arrivò in Italia nel 1584, portata dai frati carmelitani scalzi, proprio a Genova. Da lì passò in Toscana, nelle valli piemontesi, e poi, ad opera dei valdesi, in Svizzera, Austria e Germania. La Liguria fu la prima regione italiana ad impiegare la patata per preparare purè e gnocchi, nel periodo pre e postnapoleonico, ma non fu facile farla accettare ai contadini. Nel 1792, Michele Dondero, parroco di Roccatagliata, un paese dell’alta val Fontanabuona, dovette mangiare un piatto di patate di fronte a tutti suoi compaesani per convincerli a cibarsene. A lui, come pioniere della coltivazione delle patate, è dedicata la piazza del paese e certamente meritevole fu il suo impegno dato che, come lui stesso racconta, le sue patate salvarono molte famiglie dalla fame e dalla dispersione.

…come altre solanacee, contiene diverse sostanze tossiche (glicoalcaloidi), soprattutto nelle parti verdi, nei fiori, nei germogli, nei frutti e nei tuberi che esposti alla luce si rinverdiscono, come difesa all’essere scoperti. La principale di queste tossine è la solanina, che è presente in minima parte nel tubero (meno di 10 mgr per 100 gr) e concentrata soprattutto nella buccia. Mio padre raccontava che nel campo in Pomerania, dove era prigioniero come IMI nel 1944, la fame li aveva spinti a provare ad assaggiare anche le bucce delle rade patate che avevano a disposizione, ma il risultato fu abbastanza disastroso. La solanina provoca gastroenterite, vertigini, tachicardia e crampi.

… nel XV secolo, gli indios che vivevano sugli altopiani andini coltivavano più di 3000 varietà di patate, un tipo di patata diversa per ogni ambiente. La biodiversità assicurava il successo, se una varietà andava male, ce n’era sempre un’altra che poteva salvarsi. Oggi si tendono a usare poche varietà, con il rischio della monocultura, come quella che provocò la grande carestia irlandese del 1845, causata da un’epidemia di peronospora che distrusse tutti i raccolti.

… mentre esistono migliaia di varietà di patate della specie Solanum tuberosum, distinguibili per la dimensione, la forma e il colore dei tuberi (pelle bianca, gialla, bruna, rosa, rossa, viola, nerastra) il colore e la qualità della ‘pasta’ (bianca, rossa, gialla viola) e la tenuta nella cottura, ci sono anche centinaia di specie di patate selvatiche differenti da S.tuberosum, non impiegate per la produzione,  ma assai importanti come tesoro di diversità genetica. Infatti esse possono presentare geni di resistenza alle malattie e di adattamento a condizioni ambientali difficili, utili al miglioramento della patate coltivate.

Tabacco

Tabacco Nicotiana tabacum

Nicotiana tabacum

Tutte le solanacee sono piante stregate. O meglio stregone. Piante dalla doppia vita e identità, cibo e piacere, veleno e morte. Chi più del tabacco, una foglia che ha ucciso decine di milioni persone, ne ha reso succubi della dipendenza miliardi, ha provocato guerre e schiavitù, e fruttato all’industria 300 miliardi di dollari?
E tutto questo soltanto perchè questa piccola pianta opportunistica contiene un alcaloide che le serve per tenere lontano insetti e parassiti, una sostanza denominata nicotina. Che sta in buona compagnia di altre sostanze simili, come l’anabasina, entrambe feroci antagonisti dell’acetilcolina, il composto endogeno che presiede alla trasmissione neuromuscolare. Anche se non è solo o tanto l’avvelenamento acuto che uccide, ma l’assuefazione lenta e le sue conseguenze più subdole.

Le solanacee sono piante stregate. Ma sono anche belle. Molte piante sono velenose, ma non occorre assaggiarle. Molte piante contengono sostanze estranee che sarebbe meglio evitare. Ma il fatto che possano nuocere chi le consuma o le respira non toglie nulla al loro fascino.

Nonostante la tossicità, anche il tabacco ha i suoi parassiti. Il più importante è il fiabesco bruco Manduca sexta, un lepidottero sfingide che ha probabilmente ispirato il brucaliffo di Alice nel paese della meraviglie (semplicemente ‘caterpillar’ nell’originale Alice in Wonderland). Tutto raccontato con ricche foto da Andrea Bonifazi in questa gustosissima pagina

La mia foto è scattata all’orto botanico di Genova.

Mandragora

Mandragora autumnalis

Mandragora autumnalis

L’assolata costa siciliana, in un novembre che aveva i colori dell’estate, mi ha regalato il primo incontro della mia vita con un’erba magica che pensavo non avrei mai incontrato. La specie più famosa, Mandragora officinarum L., dalla fioritura primaverile, non si incontra più in Italia. La sua presunta magia le derivava non tanto dall’umore, tossico e medicamentoso, che contiene, quanto dall’inquietante e straordinaria forma antropomorfa della sua radice. Un po’ stilizzata nella stampa antica, credenze popolari le attribuivano virtù afrodisiache caMandragorepaci di aumentare la fertilità.
Oggi sulle coste italiane meridionali si incontra abbastanza facilemente questa specie autunnale, dalle grandi campanule azzurre. Mescolata a erbacce di campo, non bisogna confondere la sua foglia, ampia, ovale, verde carico con ampie nervature carnose. Mi chiedo se anche la radice di questa specie ha la forma bizzarra della leggenda. Ma resterò nel dubbio, già abbiamo perduto la officinarium, proteggiamo almeno questa autumnalis senza sradicarla. E lasciamola alle farfalle.

Mandragora autumnalis

Fotografata sulla costa di Palma di Montechiaro (Agrigento), presso il castello detto del Gattopardo perchè appartenuto alla famiglia Tomasi di Lampedusa, in una mattinata limpida e fresca, prima della notte oscura di Parigi.

So poco di Palma, una piccola città sconosciuta, ornata di chiese e edifici barocchi, dove abbiamo acquistato deliziosi dolcetti di mandorla in un convento di clausura. Leggo però che questa cittadina è stata la settimana scorsa teatro di un oscuro episodio di violenza con il rinvenimento di un rudimentale ordigno nei pressi di un orfanotrofio, una bomba di piccolo potenziale esplosivo, ma certo in grado di far molto male a un bambino che l’avesse manipolata. Strane coincidenze e tristi realtà, oltre le  favole e le leggende di piante e castelli.

Fiori d’ottobre: solanum

Solanum jasminoides

Solanum jasminoides

Ho anch’io il mio solanum da giardino, due piante che spero possano ancora sopravvivere all’inverno. E’ già il secondo anno che fioriscono, dall’inizio dell’estate all’autunno inoltrato. Nei vasi, anche se ampi, ci stanno un po’ stretti e soffrivano la sete, perchè la terra si asciugava rapidamente. Hanno gradito quindi l’abbondanza delle piogge e ora non si risparmiano i fiori, cascate di corolle bianche dalle sfumature azzurre e lilla. Si allungano e abbarbicano alla ringhiera con intenzione precisa. Tutto come le attese.
(vedi il post del 13 agosto 2011)

Solanum melongena

Solanum melongena
Melanzana

Di tutt’altro carattere le melanzane, tozze e tenaci. Quest’anno sono state molto generose nonostante la stagione inclemente. Grandi amanti del caldo, non si accasciano mai neppure nel sole più feroce. Non mi aspettavo che resistessero imperterrite, continuando a fiorire anche in questo fradicio autunno, quando i loro cugini pomodori, Solanum lycopersicum, sono finiti da tempo e ho già eliminate le piante. La melanzana, Solanum melongena, non è americana, ma viene dall’India, e in Europa è arrivata soltanto nel 1500. I suoi fiori sono attraenti, hanno corolle ampie e di colore lilla acceso, più grandi di quelle di S.jasminoides. Ma poco si fanno notare perché sono rivolti all’ingiù, pendono sotto le foglie dai robusti piccioli che si preparano a reggere il peso dell’ingombrante frutto (vedi anche 17 luglio 2008). Non spero davvero di incrementare il raccolto, ma mi lusingano quei fiori, tardivi e coraggiosi.

La famiglia della solanacee comprende molte specie commestibili e altre, forse di più, velenose e tossiche. Anche la melanzana, come la patata (Solanum tuberosum), non è molto salutare e digeribile da cruda. Il nome deriva dal latino “sólor” io consolo, “solamen”, conforto, perché, con la dovuta cautela, molte solanacee hanno proprietà medicamentose.

Bacche di goji

Lycium barbarum

Lycium barbarum

Prepotentemente salite alla ribalta da un paio d’anni e pubblicizzate come toccasano universale per ogni sorta di malanni, le bacche di goji non sono certo una novità per la cucina e la medicina tradizionale cinese. L’improvvisa popolarità nei paesi ‘occidentali’ di questo piccolo frutto, che secco ha un leggero sapore di uvetta amarognola, non è immune da dubbi ed equivoci. A cominciare dal nome. Il nome moderno goji sarebbe una translitterazione di un cinese gǒuqǐ (vi risparmio i caratteri), che significa … bacca. Le proprietà medicinali, o quantomeno preventive, di queste “bacche bacche” sono legate alla presenza di flavonoidi con rilevanti proprietà antiossidanti e antimicrobiche. Qualche risultato in tal senso è stato certamente documentato, ma i flavonoidi sono contenuti in quasi tutte le piante. Che quelli del goji siano migliori e più efficaci, francamente non saprei. In più, il Lycium, nome scientifico che deriverebbe dall’origine persiana (Licia era l’antico nomea della Persia), appartiene alla famiglia delle Solanacee, una famiglia ambigua che comprende pomodori, patate, peperoni e melanzane, ma anche piante decisamente velenose come la belladonna e il giusquiamo nero, le dature e il tabacco. Secondo certi studi, anche le bacche di goji contengono atropina, l’alcaloide velenoso della belladonna, seppure in quantità probabilmente modeste.
Molti dubbi e poche certezze, ma anche tanta curiosità. E una pianticella di goji è arrivata nel mio giardino ed è cresciuta spavalda resistendo a una attacco di parassiti che ha coperto le sue foglie di piccole ciccatrici biancastre. E’ fiorita abbondantemente, coprendosi di stelline viola pallido, e ha prodotto moltissime bacche, rosse. Le abbiamo assaggiate, crude, decisamente amare, assai meno gradevoli di quelle passite che si trovano in commercio.
Sono contenta che cresca e spero possa guarire. Da lei non mi aspetto miracoli, guarigioni prodigiose o eterna giovinezza. Ma la compagnia discreta e divertente di un alberello esotico dalla storia millenaria.

Solano

solanum spRimpiango il solanum che l’anno scorso avevo piazzato nei vasi in cima alla scala e mi aveva dato la sua fioritura violetta ininterrottamente senza stancarsi da aprile a novembre. Fiorito ancora sotto la prima neve, con le minuscole melanzane verde scuro, poi ha dovuto soccombere al gelo sempre più intenso. Questa varietà da vaso non sopravvive all’inverno, o quanto meno non è sopravissuta il mio, ma certo ne è valsa la pena e le piante che ho messo negli stessi vasi quest’anno, per cambiare, non mi hanno dato neppure un centesimo della soddisfazione. Conosco però vari giardini del circondario (lato Bavari, esposizione a mezzogiorno) in cui i solanum ornamentali sono perenni (vedi 24 agosto 2009) e ne ho trovati simili in certi giardini che si affacciano lungo le ripide scale in città. Come questo qui sotto, fotografato in corso Montegrappa, la varietà bianca è solanum jasminoides var. album ovvero solanum laxum.solanum sp

Datura in fiore

Datura

Datura wrightii
5 agosto

Datura

Datura wrightii
6 agosto

Nata senza fatica da semi raccolti in un giardino botanico, non sono sicura di quale specie di datura si tratti. Tutti i semi sono germogliati velocemente e la maggior parte hanno prodotto piante già alte e pronte alla fioritura. Da giorni, due di loro preparavano un lungo bocciolo, e li osservavo con ansia mentre cominciavano a srotolarsi. La fioritura è stata sorprendente. La prima foto a sinistra si riferisce al pomeriggio del 5 agosto e la seconda alla mattina del 6.
Le trombe dell’angelo (angel’s trumpet è il nome comune inglese di questi fiori, per ragioni abbastanza ovvie) si sono aperte quasi contemporaneamente poche ore dopo, prima di sera il giorno 6 agosto.
Il nome Datura richiama altre suggestioni, non solo quelle visive per la bellezza dei fiori.

Datura

Datura wrightii

Note per le proprietà allucinogene, sono prima di tutto piante molto velenose. La leggenda racconta l’uso delle specie più selvatiche (quali Datura stramonium), nei tempi passati e presso civiltà sciamaniche, come medicina estrema, per esempio per causare stati di trans affini all’anestesia, che quindi permettevano le operazioni chirurgiche. Ovvero stati di allucinazione che favorivano meditazione e illuminazione.
Così mi piace pensarla, una pianta estremamente attraente e magica, il cui mito si perde nella notte dei tempi come quella di ogni erba fatata.

Questa specie dovrebbe essere Datura wrightii Regel, perenne, ma non rustica. Se qualche vaso sopravvive all’inverno, ve lo dirò il prossimo anno.