Tussilago, tussilagine o farfara piede d’asino

Tussilago farfara

Tussilago farfara

Il nome, Tussilago, volgarmente tussilagine, è già un programma. Si capisce subito che si tratta di un’altra erba della tossa, quelle piante che la medicina tradizionale, ma anche la moderna fitoterapia, impiegano per le affezioni respiratorie. Questa pianta presenta una particolarità, che tuttavia non è così straordinaria. I fiori, bei capolini gialli all’apice di fusti squamosi, sbocciano all’inizio della primavera e precedono le foglie di parecchie settimane. Forse a ragione di questo bizzarro comportamento, i fiori mi erano sempre sfuggiti e facilmente confondevo le grandi foglie a forma di cuore, lanuginose sulla pagina inferiore, con quelle di altre asteracee, del genere Petasites. La tussilagine è pianta in realtà assai comune, e molto conosciuta, anche con l’antico nomignolo “filius antepatrem”, dovuto appunto all’apparizione tardiva delle foglie, oppure con nomi dialettali che significano piede d’asino, a causa della forma degli steli. Il suo comportamento non è, dicevo, poi tanto straordinario, esistono molte altre piante che fioriscono prima di mettere le foglie, per esempio moltissimi alberi, tutti i pruni da frutto, mandorlo, ciliegio, albicocco, pesco e via dicendo, e alberi grandi come i noci e noccioli, ma anche arbusti come la ginestra maggiore (Spartium junceum, 27 maggio 2008).  Anche se le foglie sono in ritardo, le virtù officinali della pianta si ritrovano già nei capolini, da cogliere quando ancora semichiusi perchè se maturano in soffioni, come può accadere anche durante l’essiccamento, perdono le sostanze terapeutiche. Come spiega con precisione Bruna Bianca Accame (in ‘Piante di casa nostra’, De Ferrari  editore, 2001), per l’uso officinale i fiori vanno sempre raccolti ancora in boccio. Sia i fiori che le foglie hanno altri molteplici utilizzi nella medicina popolare, dalla cura della distorsioni a quella della crosta lattea, fino ad applicazioni cosmetiche per prevenire le rughe.

La tussillagine cresce rigogliosa su suoli argillosi ed è per questo considerata infestante dei coltivi. Ma essendo una pianta perenne, questa sua caratteristica può anche essere utilizzata per creare coperture dove non cresce quasi nulla, o dove si vuole evitare la crescita selvaggia di altre erbe infestanti. Con il vantaggio che all’inizio della primavera il tappeto si coprirà di capolini gialli. La fioritura è molto precoce. Nella foto di questa pagina l’ho incontrata nei primi giorni di aprile in provincia di Alessandria, nel comune di Costa Vescovato, presso la cooperativa agricola Valli Unite.

La magia dei fiori di corniolo

Corniolo

Cornus mas

Il corniolo, albero schivo e tenace, fiorisce precocemente a partire dal mese di febbraio. Nel bosco spoglio di fine inverno, il sottobosco regala gioielli di inaspettata bellezza, come i crochi e le epatiche e, fra qualche giorno ancora, primule e scille (7 e 11 marzo 2009).
Sembra che gli alberi non abbiano niente da dire, gravidi di gemme marroncine, ma ancora addormentati. Finchè non ci si imbatte in una romantica (oggi è San Valentino) fioritura gialla. Queste corolle sono così microscopiche che bisogna davvero mettercisi d’impegno per ottenere una messa a fuoco decente. Per oggi mi accontento di quello che ho.

Del corniolo ho già detto e  molto ancora si potrebbe dire, pianta alimurgica e officinale, con proprietà tintorie, legno lucente, insostituibile. C.mas, corniolo maschio, è protagonista di leggende agli albori della civiltà mediterranea, dal cavallo di Troia alla fondazione di Roma.

Foliage

Gli affascinanti colori delle foglie autunnali sono un enigma. Perchè mai le foglie proprio poco prima di andarsene, quando è già avviato l’inesorabile processo che le conduce alla morte programmata si vestono di tinte sgargianti e sfumature ricercate? Ma chi glielo fa fare?

Foglie autunnali di Ulmus minor

Ulmus minor

I fiori primaverili sono variopinti, ma per un ottimo motivo, devono attirare gli impollinatori, blandirli, talvolta ingannarli. Altrimenti non si scomoderebbero a farsi così belli e si limiterebbero a tutelarsi e proteggersi, come i fiori di paglia delle graminacee, piante che per riprodursi si fanno aiutare soltanto dal vento.

Foglie autunnali di Castanea sativa

Castanea sativa

Ma i colori dell’autunno a che servono? Soltanto alla tavolozza dei pittori? Certamente ne conosciamo l’origine, sono dovuti a flavonoidi, carotenoidi e antocianine,  sostanze che quando la clorofilla indietreggia prendono il sopravvento ed escono dall’ombra. Le foglie si preparano a una metamorfosi che non solo muta il loro aspetto, ma le rende progressivamente meno aderenti al ramo che presto abbandoneranno.

Foglie autunnali di Diospyros kaki

Diospyros kaki

Le sostanze che danno il colore alle foglie d’autunno hanno una serie di effetti benefici sulla pianta che si appresta al meritato riposo. Tuttavia una ragione semplice per tinte così accese non si trova facilmente.

Il colore più sorprendente di tutti è il rosso. E non solo perchè è così scenografico, ma perchè mentre il giallo e l’arancione derivano da flavonoidi e carotenoidi che la pianta produce in tutte le stagioni, il rosso deriva dalle antocianine che molte foglie cominciano a fabbricare proprio nella stagione autunnale. Ma perché?

Phytolacca americana

Phytolacca americana

Sono state fatte le ipotesi più disparate. Servono a proteggere le foglie senescenti da qualcosa? Forse a ritardarne la caduta?  Oppure a proteggerle dai parassiti? Ma ora che le foglie non stanno più nutrendo la pianta attraverso la fotosintesi, perchè sprecare preziosa energia per accudirle? Alcuni  scienziati hanno proposto che viceversa la produzione di antocianine serva a facilitare l’accumulo  di sostanze tossiche sulle foglie, che presto lasceranno la pianta aiutandola a disintossicarsi. Altri preferiscono accontentarsi della soluzione banale: le antocianine non verrebbero prodotte per motivi funzionali, ma sono semplicemente una sorta di sotto-prodotto dell’invecchiamento.

Foglie autunnali di Celtis australis

Celtis australis

Ma si può anche immaginare qualche spiegazione un po’ più soddisfacente. Ci sono piante che hanno foglie rosse in tutte le stagioni e chi le cresce sa che l’intensità del colore aumenta quando la luce è più forte; sembra quasi che le foglie si abbronzino e le antocianine agiscono da fotoprotettore.  In modo simile, l’intensità del colore rosso nelle foglie autunnali aumenta con la luce, ma anche con le temperature fresche (ma non gelide) e lieve siccità. Quindi anche durante la senescenza le antocianine contribuiscono alla schermatura dei cloroplasti fogliari dall’eccessiva luce solare (1); ma non solo, contribuiscono anche ad accrescere le capacità antiossidanti e la tolleranza alle basse temperature(2).

Ceriana (IM)

Ceriana (IM)

Però non tutte le foglie autunnali sono rosse, ed evidentemente la produzione di antocianine non è l’unico meccanismo di difesa. Piante diverse in condizioni ambientali differenti utilizzano altri meccanismi e altre molecole per rispondere alla rigidità della stagione. Può essere proprio questa varietà di comportamenti a creare tutte le sfumature di colore che rendono così affascinante il bosco d’autunno.

(1) Feild et al. (2001) Why Leaves Turn Red in Autumn. The Role of Anthocyanins in Senescing Leaves of Red-Osier Dogwood. Plant Physiology 127:566–574, https://doi.org/10.1104/pp.010063

(2)Zhang et al. (2019) Accumulation of Anthocyanins: An Adaptation Strategy of Mikania micrantha to Low Temperature in Winter Front Plant Sci10:1049. doi:10.3389/fpls.2019.01049

Felci, queste sconosciute

Ho appena terminato di leggere un libro molto divertente, Diario di Oaxaca, di Oliver Sacks. Questo eclettico neurologo era anche appassionato di chimica (Zio Tungsteno) e di botanica. In questo libro, racconta un breve viaggio nella regione di Oaxaca, in Messico meridionale, al seguito di un gruppo di singolari amatori delle felci, soci dell’American Fern Society. Questo territorio è uno dei più ricchi al mondo per la varietà di felci, ma nasconde molte altre curiosità e tesori che naturalmente l’insaziabile Oliver non si lascia sfuggire. Per esempio, nei pressi della città di Oaxaca, la capitale, sorge uno degli alberi più maestosi del mondo, l’albero di Tule, cipresso di Montezuma (Taxodium mucrunatum), secondo alcuni (ma non è confermato) l’albero più antico del mondo.

Polypodium vulgarisMa tornando alle felci, piante solo apparentemente dimesse, esse sono in realtà esseri affascinanti. Sono fra le creature viventi più antiche sulla terra emersa e possiedono un sistema riproduttivo complesso e misterioso che non cessa mai di sorprendermi. Una volta si chiamavano crittogame, a significare ‘piante ad accoppiamento nascosto’, in contrasto con le piante cosidette ‘superiori’ (ma superiori a chi? queste scale di valori sono ridicole) che si chiamavano fanerogame, ad accoppiamento palese. Le felci mascondono i propri organi riproduttivi, quasi con pudore, addirittura si camuffano in altre spoglie per riprodursi. Che contrasto stringente con le piante più moderne, che viceversa ostentano, con spocchia quasi pacchiana, i loro organi riproduttivi nelle forme spesso sgargianti e fantasmagoriche dei fiori!

E’ la loro timidezza che Sacks e i suoi amici amano soprattutto delle felci, piante lievi e sommesse, che brillano di verde lucido anche in autunno.Così oggi ho deciso di riprendere due post del mio vecchio blog, rispettivamente del 9 e 12 novembre 2008. Ecco il primo, dedicato al Polipodio, o felce dolce.

“Da qualche giorno sto a curiosare su rocce e muri umidi (nel frattempo continua a piovere). E naturalmente ho rincontrato lui, una vecchia conoscenza. Quanti ricordi. Da bambini lo chiamavamo reganisso, credo una deformazione dialettale della parola liquirizia. Quando si riconoscevano le foglie sui muri umidi come questo, si tirava fuori la bianca radice, che è poi un rizoma, cioè un fusto sotterraneo, da cui si dipartono sottili radici marroncine. Il rizoma del polipodio è fibroso e dolce. Ripulito alla bell’e meglio della terra e della pellicola esterna, si succhia avidamente.

Adiantum capillis-veneris

Capelvenere

E’ un po’ amaro, ma sa irrimediabilmente di liquirizia. La liquirizia, quella vera, si ottiene dalla radice di una pianta delle leguminose che si chiama Glycyrrhiza glabra ed diffusa nel Mediterraneo orientale ed anche in Italia. Il polipodio é una felce, quindi una pianta molto differente dalla liquirizia, ma il suo rizoma contiene la sostanza glicirrizina, che é poi il principio attivo dell’estratto di liquirizia e quella che le conferisce il sapore caratteristico, dolce e aromatico. I rizomi, essicati, di polipodio a volte si trovano anche in vendita. Ma vuoi mettere l’emozione di tirar fuori la radice dal terreno e succhiarne l’umore, un po’ acre, stritolando fra i denti la scorza così terrestre, umida, coriacea, dolce. Quanti ricordi.”

E poi il secondo, dedicato al capelvenere, una delle felci più delicate e attraenti.

“Cresce copiosa sui muri umidi, coprendo con le sue morbide chiome, lunghe fino ad oltre mezzo metro, grondanti pareti di roccia. Le sue foglioline verde tenero sono molto decorative ed usate anche dai fiorai. Conosco un posto, non lontano da casa mia, dove è particolarmente abbondante e lussureggiante e lì l’ho fotografata domenica scorsa, durante un breve intervallo fra violenti scrosci di pioggia. Era coperte di gocce, ma asciutta. Perchè il capelvenere ama l’acqua, ma non si inzuppa, mai. Felce della famiglia delle Pteridaceae , deve il suo nome agli steli, neri e sottili come capelli (ma Venere non era bionda?), ma anche al fatto che dalle sue foglie si ricavava un infuso utile al benessere delle chiome. Ha altre proprietà e veniva usata per curare affezioni delle vie respiratorie. Contiene anche una misteriosa sostanza che aiuterebbe a guarire dal vizio del fumo e dell’alcool. Di più non so. Ho smesso di fumare diversi anni fa, e senza capelvenere. Penso però che le felci, come gli equiseti, siano tutte piante un po’ magiche, antiche e primitive possiedono virtù che si perdono nella notte dei tempi, di cui si è persa memoria e parole.”

Sorbo torminale

Questo post è una rielaborazione di quello originariamente pubblicato sul mio vecchio blog il giorno 16 ottobre 2008, con il titolo Sorbo selvatico. Continuo a riprendere i post più anziani, un po’ per rinfrescarmi le idee, magari talvolta correggendo qualche inesattezza (ma gli errori gravi rimarranno tutti) e un po’ per averli più accessibili, su pagine giornaliere invece che mensili. Le foto originali sono più piccole, e anche aprendole non si ingrandiscono granchè; quella più recente si apre 800×600-

Sorbo torminale

Sorbus torminalis

 

L’autunno ci sovrasta, anche se la temperatura è ancora più che gradevole e la pioggia si fa ancora desiderare. Ma le foglie, già affaticate dall’arsura di questa estate, sono ormai sfrangiate e disperse. Ancora di più ai bordi delle strade, là dove le piante lottano ogni giorno per conquistarsi spazio e aria e fluidi vitali. Stropicciate e scolorite sono le foglie nella foto a sinistra, tanto che a stento le riconosco. Ma alla fine sì, è proprio lui, non un acero, ma una rosacea, del genere Sorbus, il sorbo torminale o sorbo selvatico, in contrapposizione al sorbo domestico.
Chiamato anche sorbo montano, o ciavardello, talvolta addirittura corbezzolo (anche se certo non in Liguria dove il corbezzoolo è il ben più celebre Arbutus unedo), quest’albero dal nome curioso si incontra nei boschetti di mezza montagna.

Sorbo torminale

L’esemplare della foto qui a destra cresceva  (ottobre 2002) proprio sulla sommità della Rocca dell’Adelasia, nell’entrotera di Savona, un bel punto panoramico da cui si contempla l’imponente e placida cerchia delle Alpi dominata dal Monviso. Tutt’intorno circondano la rocca splendidi boschi di castagni e faggi. Più fortunato del fratello cittadino, era carico dei piccoli frutti, oggi ignirati e negletti, ma in passato graditi e consumati per alimento e medicina, perchè ricchi di vitamine.
Sorbus torminalis è uno dei primi alberi che tinge il bosco di rosso. Appartiene al genere Sorbus, come il sorbo domestico (Sorbus domestica), il sorbo montano (Sorbus aria e 8 settembre 2008), il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia, 2 agosto 2008) o l’esotico sorbo del Cashmire. Tutti questi alberi, assai comuni nei nostri boschi, si assomigliano non tanto per la forma delle foglie, che sono al contrario di fogge assai diverse, composte e sottili, lisce o dentellate, oppure ovali ed ampie, o profondamente lobate, come quelle del ciavardello; piuttosto sono simili nella caratteristica dei frutti, bacche che crescono a grappoli, commestibili, ma solo a maturazione avanzata, anche se certo non prelibate. Cibo per poveri e uccelli. Bacche medicinali. Le sorbe del ciavardello venivano impiegate per curare le coliche e la dissenteria, e dal latino tormìna, che significa colica, deriverebbe il nome scientifico della pianta.

Clematide fiammella

Clematide fiammella

Clematide fiammella o Fiammola
Clematis flammula

Sorella quasi gemella della più nota Clematis vitalba, faccio un po’ di fatica a riconoscere come clematide fiammella questa bella pianta rampicante di fronte al ‘castello’ del parco di Villa Pallavicini a Pegli (Genova).  Sono tornata nella villa dopo quasi cinque anni dall’ultima volta, che risale al 2 gennaio 2010, in una assolatissima giornata invernale che fu preludio a una abbondante nevicata. Eravamo saliti fino alla sommità della collina dove si erge appunto il castello, a quel tempo inaccessibile e pesantemente vandalizzato. oggi una paziente e accurata opera di restauro sta restituendo a questo gioiello di parco romantico la natura scenografica che lo ha ispirato. Il castello è in parte diroccato, ma solo a causa dell’attacco nemico della finzione scenica.
E in un’estate torrida e avara di fioriture, mi saluta all’ingresso questa pianta coperta di gioiosi e delicati fiori bianchi. Proprio come una vitalba. Ma vitalba non è, e quindi comincia la mia solita caccia agli elementi identificativi che per me non riesce mai ad andare molto oltre una goffa osservazione da dilettante. Tutti gli esperti però concordano, clematide vitalba e clematide flammella sono molto molto somiglianti,  e le principali differenze risiedono in due precisi caratteri morfologici: fiammola ha foglie bipennatosette, mentre vitalba le ha semplicemente pennate, e i sepali pelosi solo nella pagina inferiore, mentre vitalba li ha pelosi su entrambe le pagine. Semplice no? Niente affatto naturalmente, tanto più che la forma delle foglie di questa pianta in particolare mi confondono abbastanza le idee.  Per fortuna mi aiutano le fotografie, ampiamente disponibili in rete, e ne trovo molte con foglie proprio simili alla mia, e che, a dir la verità, di bipennatosette non hanno granchè. Alla fine mi riconcilio con il mondo verde, osservando la grazia modesta e prorompente di una pianta selvaggia, ma non troppo.

La mattanza dell’aconito

L’aconito è una pianta molto velenosa. Ed è anche un fiore incredibilmente bello. Ne ho parlato parecchio in un post dedicato due anni fa (vedi qui), perchè lo avevo incontrato, in modo inaspettato, lungo una stretta carrozzabile di crinale che congiunge la Val Brevenna con Crocefieschi. Una strada magica, da dove il cielo sembra molto vicino. Proprio nell’agosto di due anni fa, percorrendo quella strada senza nome, superato un crinale, lungo una dolce discesa verso il colle vicino, quasi all’improvviso, mi era apparsa un’abbondante fioritura blu che guarniva compatta il bordo dell’asfalto, uno spettacolo imperdibile.
Sono tornata apposta lungo quella strada quest’anno nello stesso periodo per cercare la fioritura di aconito blu. Ho guardato dappertutto, a lungo, ad ogni svolta della strada. Ma non riuscivo a vedere  nessun fiore. Mi pareva impossibile che fosse sparito, impossibile che non riuscissi a ritrovare il luogo. Sono ripassata di lì diverse volte in questi giorni di agosto, e ancora non riuscivo a trovarlo.

bordo strada

La pulizia della strada che collega la val Brevenna a Crocefieschi

Poi ho cominciato a notare il profondo intervento di ripulitura che era stato effettuato lungo tutta la strada, un intervento probabilmente ritenuto indispensabile per garantire la praticabilità, ma che aveva reciso e ridotto a monche stoppie tutte le piante fino a qualche metro dal ciglio. E mentre felci, vitalba e rovo si riprendono subito con vigore, lo stesso non si può dire che accada all’aconito, che sembrava inesorabilmente scomparso.

Aconito Aconitum napellum

Aconito blu
Aconitum variegatum

A forza di osservare con attenzione ogni erba sul ciglio, dove due anni fa lo avevo visto crescere così copioso, ho finalmente ritrovato la foglia, e alla fine ho riscoperto nella sterpaglia un paio di fiori blu, seminascosti da una prorompente crescita di steli di equiseto (vedi 6 settembre 2008).

Forse alla lunga l’aconito si riprenderà il territorio, come lo sta facendo l’equiseto, erba preistorica certamente resistente. Ma questo episodio mi ha fatto riflettere su come l’intervento umano, seppure inevitabile, modifichi nel profondo, dall’inizio della storia, l’ambiente e la natura. La pulizia ad oltranza delle strade di campagna favorisce inesorabilmente la diffusione di poche specie resistenti a tutto, che piano piano prendono il sopravvento su tutte le altre, destinate a diventare sempre più rare.

Jaca, frutto esagerato

Jaca

Frutto di jaca – Ilhabela, stato di São Paulo, Brasile

La jaca,  Artocarpus heterophyllus, a volte chiamata giaca in italiano, è conosciuto come il più grande frutto commestibile che cresce su un albero.  L’albero, che può essere alto fino a 20 metri, è originario dell’India, del  Sud Himalaya o forse  Gati occidentali, la catena montuosa della penisola indiana, ma è diffuso in tutte le aree tropicali e ha trovato casa e fortuna anche in Brasile, sulla costa atlantica.
A causa della sue dimensioni, il frutto si sviluppa sui rami più grandi, talvolta persino sulle radici scoperte, ma soprattutto sul tronco; infatti i rami più esili non potrebbero sorreggerne il peso che può raggiungere qualche decina di chilogrammi. Per questo la pianta viene detta cauliflora che significa appunto che porta i fiori lungo il tronco.  E’ anche monoica, con fiori maschili, inseminatori, e femminili, che danno origine ai frutti, sulla stessa pianta.

La jaca, preferisco chiamarla così, con il suo nome portoghese con cui l’ho conosciuta, è un frutto dai molteplici usi e qualità. Il  sapore varia a seconda della maturazione, conservazione e cottura, ma è sempre gradevole.  Zuccherino come il fico (appartiene alla stessa famiglia, le moracee),  ha sapore di mela e ananas quando è  fresco, ma cambia sapore e diventa una pietanza se cucinato opportunamente. Se ne mangiano anche i semi, simili per gusto alle castagne. Facilmente deperibile, è meno apprezzato il suo odore che può talvolta in ambienti con scarso ricambio d’aria risultare nauseabondo.

Pastel de palmito de jaca

Vale do Capão – Chapada Diamantina

Una delle ricette più singolari a base di questo frutto gigante sono le frittelle di jaca (“pastel de palmito de jaca”), piatto tipico del Nord Est brasiliano, in particolare di quella zona dello stato di Bahia che si chiama Chapada Diamantina.  Si tratta di vere e proprie focaccette  fritte, ripiene delle ‘palma di jaca’, una parte appiccicosa che si trova dentro il frutto e potrebbe rappresentare uno scarto, cucinata come fosse carne di pollo.

Questo frutto ha anche utilizzi medicinali.   I frutti, ma anche la corteccia e le foglie di questa pianta sono utilizzati dalle  popolazioni del Vietnam, Tailandia e Laos per le proprieta galattagoghe, cioè perchè aumenta la secrezione di latte di donne e animali, mentre  il popolo Van Kieu, indigeni del Vietnam, la utilizza come antidoto alla depressione postparto, ma anche per i disturbi della lattazione, la febbre e i dolori addominali.

Il nome del genere,  Artocarpus, significa frutto pane e il genere comprende anche Artocarpus altilis, specie nota appunto come albero del pane, detto in sanscrito panasa, da cui il genovese panissa.

 

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Heliconia

Heliconia rostrata

Heliconia rostrata
casa di Chica da Silva, Diamantina, MG, Brasile

 

Heliconia è un’affascinante pianta tropicale che prende il nome dal mitico monte Elicone, in Grecia, sacro ad Apollo e alle Muse. E’ l’unico genere della famiglia della Heliconiaceae.

La pianta della foto a sinistra, tutt’intera, cresce in un giardino storico della casa di Chica da Silva, a Diamantina. Non solo la fioritura, ma anche il giardino dove si trova, è sorprendente.  Situata a più di 1000 metri di altitudine, nelle montagne del Minas Gerais, Diamantina è una città di origine coloniale, capolinea della storica Estrada Real, un percorso che unisce le regioni minerarie al mare. Chica de Silva visse a Diamantina nel XVIII secolo. Era una bellissima schiava mulatta che conquistò il cuore e la mano del suo padrone, João Fernandes de Oliveira, un ricco commerciante e governatore della città, acquisendo fama e ricchezza come e più di una signora bianca. Nonostante la sua posizione altolocata, non si può dire che Chica de Silva si sia risparmiata, ebbe infatti 15 figli, di cui 13 con João Fernandes. Il loro amore è rimasto leggendario.
Un altra celebre personalità legata alla città di Diamantina è Juscelino Kubitschek de Oliveira, che vi nacque nel 1902 ed è stato presidente del Brasile dal 1956 al 1961. Amico del grande architetto Oscar Niemeyer, concepì e inaugurò nel 1960 la capitale Brasilia, una città nuova, appositamente collocata nelle stato di Goias, al centro del paese.

Tornando alla meravigliosa heliconia, le sue vistose infiorescenze sono costituite da larghe e coloratissime brattee che racchiudono i piccoli fiori. Sono molto resistenti e durature, il che ne fa una pianta ornamentale assai ricercata per i giardini, ma coltivabile anche in vaso e quindi anche in appartamento.

Heliconia

Heliconia rostrata

<em>Heliconia stricta</em>

Heliconia stricta

Uno dei suoi nomi comuni in brasiliano, bananeira ornamental, richiama il fatto che la pianta assomiglia abbastanza a quella del banano.  Nella  specie H.rostrata , le brattee hanno una singolare forma di becco, o rostro.  Nella specie H. stricta l’infiorescenza  ricorda un poco l’uccello del paradiso (Strelitzia). Infatti Heliconiaceae, Strelitziaceae e Musaceae (le banane) sono tre famiglie di piante affini che appartengono allo stesso ordine, Zingiberales, come lo zenzero e la curcuma (famiglia Zingiberaceae).

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