Il grande e buono albero del mango

Mangifera indica

Albero del mango
Mangifera indica

Originario dell’India, o meglio del Sudest asiatico, l’albero del mango si è lentamente, ma inesorabilmente adattato in tutte le zone tropicali del mondo. Che sia un albero straordinario, lo testimonia la sua storia millenaria e molte leggende, per lo più indiane, della sua magnificenza. Pimentel Gomes, autore di un importante manuale di frutticultura brasiliana, racconta che l’imperatore Akbar Mogul, che regnò nell’India del Nord dal 1556 al 1605, quando ancora i frutteti erano cose da contadini, fece piantare mille alberi di mango vicino a Darbhanga, dimostrando con questo gesto il valore che una civiltà magnificente come quella indiana attribuiva all’albero del mango. Tre secoli dopo, il frutticoltore inglese Charles Maries trovò alcuni esemplari di quegli alberi ancora vivi e vegeti, una prova dell’estrema longevità di questi alberi.

Mangifera indica

Albero del mango
Mangifera indica

Furono ancora una volta i grandi navigatori portoghesi a contribuire alla diffusione di questa specie in tutto il mondo, esportandolo dapprima in Africa e poi in Sud Ameriaca, da cui raggiunse nel XIX secolo il Messico e la Florida.

Frutti del mango

Frutti del mango
in una casa rurale dell’interno di Bahia

Il mango, mangeira in portoghese, si è adattato benissimo in Brasile, da Belem a Rio, ed è certamente uno degli alberi più rappresentativi della flora rurale brasiliana e uno dei primi che anch’io ho imparato a riconoscere. Alto, fiero e generoso, ha una imponente forma arrotondata, foglie lunghe, solide, lucenti, con ampie nervature e infiorescenze dorate e lussureggianti. Il frutto, lo sanno tutti, è ottimo e nutriente e ne esistono centinaia di varietà, di cui diverse decine tipiche brasiliane.

Alle nostre latitudini, l’albero di mango si trova praticamente soltanto come curiosità botanica nei giardini (ne avevo mostrato uno dell’orto botanico di Lucca il 16 settembre 2009), ma anche coltivato ad arte soprattutto in Sicilia.

Passiflora

Dell’amore di una passiflora (Passiflora caerulea) e un abete di Douglas (Pseudotsuga menziesii).

Passiflora caerulea

Passiflora caerulea
Pseudotsuga menziesii

La Passiflora caerulea, parente povera, ma altezzosa, delle passiflore tropicali che producono il gustoso frutto della passione, è l’unica specie del genere che si è bene adattata al clima italiano. E si è adattata così bene che molti amanti del giardinaggio la guardano con sussiego considerandola troppo invadente. Potenza delle piante tropicali, quando attecchiscono.
La forma del fiore, che dà origine al nome, è assai nota, e tutti lo abbiamo imparato fin da bambini. I tre stili raffigurano i chiodi, gli stami il martello, e la raggiera corollina la corona di spine. I viticci poi, quelli con cui la pianta si avvinghia avidamente ai sostegni, rappresenterebbero la frusta con cui Cristo venne flagellato. Tutto grazie alla fervida, e un po’ esaltata immaginazione, di qualche giovane gesuita del 1600. Ma questa raffigurazione è ormai entrata a far parte anche della nostra immaginazione a tal punto da apparire di ovvia evidenza.
I frutti sono grosse bacche giallo arancio, piene di semi, che non contengono certo la polpa zuccherina del frutto della passione che cresce ai tropici (in brasiliano maracujà), ma morfologicamente gli assomigliano.
Nel post del 25 luglio 2008 (che oggi un po’ ripropongo) ho mostrato anche due delle decine di specie diverse che si possono ammirare a Villa Hanbury (Capo Mortola presso Ventimiglia).

Trovo la passiflora una pianta straordinaria.
L’ho coltivata in balcone in un vaso, dopo averla strappata dalla massicciata della ferrovia, dove cresceva strisciando e arrotolandosi su per i tralicci. Nei giardini prospera ovunque, ricoprendo le reti e colonizzando le siepi. I fiori durano meno di un giorno, ma la fioritura è talmente abbondante che la loro caducità passa inosservata.
La pianta di questa fotografia cresce nel giardino dei miei vicini. La casa è in vendita per anzianità dei proprietari e ai fiori e frutti manca la cura affettuosa di cui erano oggetto da decenni. La passiflora sfuggita ai controlli si è allungata a dismisura e si è avvinghiata con voluttà all’immenso abete di Douglas (Pseudotsuga menziesii) che la sovrasta. La invidio un po’, non è mica così facile, in questa dissestata esistenza, incontrare appigli così solidi e nobili.

Ricordo che si può, anzi si deve, cliccare sull’immagine per vederla più grande

Alcea rosea

Alcea rosea

Alcea rosea

Splendida fioritura del malvone, alcea rosea o malva rosa, nel mio giardino, due colori raffinati e forme perfette, per una pianta robusta ed esuberante, che resiste senza scalfirsi al caldo torrido e inusuale di questo giugno. A volte questa pianta viene chiamata Althaea e tuttora non sono venuta a capo della differenza. Come la malva comune, pianta diffusissima che dà il nome alla famiglia, possiede proprietà officinali e curative di antica tradizione. Tanto che il suo nome, Alcea, deriverebbe dal greco “alké” rimedio. Per altro anche Althaea ha simile significato, in quanto deriva dal greco “ἀλθαία àlthaía”, nome usato da Teofrasto e derivato da “αλθαινω altháino”, io medico, risano, con riferimento appunto alle proprietà medicinali.

Alcea rosea

Alcea rosea

Questa pianta si incontra spesso come flora urbana nei piccoli paesi e ai bordi delle strade, come incolto raffinato ed attraente che, non necessitando di particolari cure, riempie di colore i muri della via. Come altea rosata nigra l’ho mostrata nel post del 1 luglio 2008, fotografata per le strade di Triora, bel borgo delle montagne imperiesi.

Spesso coltivata come annuale o biennale, l’ho messa a dimora da una radice acquistata su una bancarella almeno tre anni fa e da allora sopravvive e fiorisce, tenera e generosa.
Nello stesso luogo avevo seminato un’altra malva, fiori più piccoli color lilla scuro, molto seducente, che però è fiorita soltanto per una stagione e poi è scomparsa. La malva selvatica (Malva sylvestris) invece, non mi abbandona mai, spontanea, vitale in ogni anfratto, robusta, perenne, indomabile, sulle massicciate, nei tombini, sul bordo delle aiuole.

Tutti i cedri del mondo

Cedri - Cedrus libani

Cedrus libani – Orto botanico di Lucca
settembre 2010

Esistono quattro specie di cedri, genere Cedrus, della famiglia delle Pinacee. Tutti e quattro sono originari di una regione montuosa molto circoscritta e particolare. Il più famoso è il cedro del Libano, che appare in sagoma stilizzata sulla bandiera del suo paese. Poi c’è il cedro dell’Himalaya o deodara, dalla forma conica e compatta, diversa dalla chioma larga ed espansa di quello del Libano e dal fogliame grigio argenteo; il nome ‘deodara‘ deriva dal sanscrito “devadara” che significa albero degli dei ed è considerato un albero sacro. Le altre due specie sono il cedro di Cipro e il cedro dell’Atlante, la regione montuosa nell’Africa nord occidentale. Tutti sono splendide conifere ornamentali e formano rade foreste, a volte da soli, a volte insieme a pini, abeti, tassi, o anche aceri.

Il cedro del Libano nella foto a sinistra si trova nell’orto botanico di Lucca. La targa (fare click sull’immagine per vederla ingrandita) ricorda la sua età e la provenienza. L’albero viene chiamato Abies cedrus e si dice provenire dalla Siria. Quest’esemplare ha quasi 200 anni ed è molto imponente. Ha qualche acciacco, tanto che l’ultima volta che l’ho visto era puntellaCedri - Abies cedrusto per evitare il crollo di qualche ramo. Ma osservandolo si riconosce la forma inconfondibile dei cedri del Libano: chioma verde scuro, ampia e maestosa, a palchi sovrapposti, grossi rami che partendo dalla base del tronco si incurvano in alto per poi espandersi orizzontalmente.

Gli esemplari più giovani sono in genere meno riconoscibili e per distinguere fra di loro le varie specie di cedro bisognerebbe osservare coni (pigne) e foglie e a volte, naturalmente, si può sbagliare.

Le piante della seconda foto, a destra,  si trovano nel vasto parco che circonda la Badia di Tiglieto (Genova), un antichissimo complesso monastico, ampiamente rimaneggiato nel corso di molti secoli, ma che ancora conserva la maestosità e il fascino delle abbazie di montagna.

Cedri dell'Atlante

Cedri dell’Atlante nel parco Salvago Raggi della Badia di Tiglieto (ottobre 2018)

Avevo già parlato di uno di questi magnifici alberi nel vecchio blog, il 1 febbraio 2009 e lo avevo identificato come cedro deodara o dell’Himalaya Tale mi pareva per la sua forma conica e precisa.
Tornata in vista alla Badia, ho imparato un po’ di più su questo parco, per molti anni proprietà della famiglia Salvago Raggi, e apprendo che i cedri in questione siano invece cedri dell’Atlante, Cedrus atlantica.

I cedri sono anche alberi di città, come racconto in questo post nel blog “La città segreta”

Ancora saponaria rossa

Saponaria ocymoides

Saponaria ocymoides

Il nostro inverno non è mai così cupo da negarci il piacere di qualche dolce fioritura. Del calicanto ho già detto qualche giorno fa (e oggi un fiore è sbocciato, finalmente) e della stupenda Camelia hiemalis ho già pubblicato per tutti i gusti, al sole e sotto la neve. Anche quest’anno è tornata a coprirsi di gioielli, seppure un po’ in ritardo per l’autunno insolitamente mite.
Ma la fioritura della saponaria rossa, che avevo già mostrato in primavera qualche anno fa, mi ha sorpreso davvero. Vero è che oggi era una giornata speciale, tiepida e leggera, con il cielo calmo e sgombro dopo le bufere e le piogge dei giorni scorsi. Una giornata speciale, anche se è il primo dei giorni della merla, che godono della triste fama di essere i più freddi dell’anno. Vero è che sono solo due timidi fiorellini sparuti e non il cuscinetto di fiori che normalmente regala la pianta. Ma sono eretti e sgargianti, fra foglie lucide e sane, un piacere vederli.
Ho seminato questa pianta due anni fa. Come tutte le speci perenni, comincia in sordina. Per il primo anno dopo la semina, i fiori sono scarsi e tardivi, tanto che talvolta si può rimanere un po’ delusi. Le perenni sono così, ma raramente tradiscono. Già l’anno scorso mi aveva regalato una fioritura abbondante e duratura. Quest’anno anticipa ogni previsione. Pianta rustica e da brughiere, non teme il gelo e il vento. Spero solo che non sia stata troppo frettolosa, gli esperti di actaplantarum la danno in antesi da maggio ad agosto e per la fioritura principale di certo ci vorranno ancora diversi mesi.

Fiori di calicanto

Chimonanthus fragrans

Fiori di calicanto
Chimonanthus fragrans

Il calicanto fiorisce d’inverno. Il suo nome scientifico, come ho già scritto qualche mese fa, è Chimonanthus fragrans, o C. praecox che è sinonimo, e significa esattamente “fiore d’inverno”. E’ stato emozionante vederlo crescere, le prime foglie quasi irriconoscibili, poi sempre più simile alle aspettative, ovali, ruvide, disordinate. A tre anni dalla semina, è diventato un alberello, e l’anno scorso sono spuntati i primi tenui boccioli, pochi e tardivi. Quest’anno sono molti di più, bianco crema, sparsi sul ramo perfettamente spoglio, timidi e un po’ impacciati. Il loro cuore rosso scuro è nascosto perchè di sbocciare, con questo freddo, non osano davvero.

Corylus avellana

Amento di nocciolo
foto di Luca – dicembre 2008

Austero e profumatissimo, lo definisce Paolo Pejrone, artista di giardini, mentre l’osserva nell’inverno spoglio accanto al nocciolo, ornato anche lui di penduli gioielli. Sarà che è cresciuto sotto i miei occhi fin dal primo germoglio, sarà che i suoi fiorellini sembrano così piccoli e scarni,  mi fa tenerezza, e austero non mi sembra proprio. E se potrebbe apparire un po’ bruttino, confrontato con le lussureggianti fioriture di certi suoi fratelli, la sua impresa mi pare coraggiosa nel lucido gelo di questi giorni, e lui bellissimo.

Suo cugino estivo, il calicanto propriamente detto (Calycanthus floridus), fiorisce fra giugno ed agosto ed ha fiori rosso porpora molto scuro. Entrambe fanno parte della famiglia della Calycanthaceae, un nome che deriva dalla caratteristica forma dei fiori, dal greco κάλυξ, υκοϛ cályx, -ykos calice e άνϑοϛ ánthos fiore: un fiore fatto a calice, perché i sepali, le foglie modificate che normalmente formano il calice, e i petali, che nei fiori di solito costituiscono la corolla, sono indifferenziati. L’invernale Chimonanthus è originario dell’Est asiatico, mentre l’estivo Calycanthus dell’America settentrionale, ma sono i due soli generi della stessa famiglia, preziosi e nobili, coraggiosi e  anticonformisti, fiori ridondanti di petali/sepali, pupille scure.

Fiore di calicanto

Fiore di calicanto
sbocciato il 29 gennaio, primo giorno della merla

Il prato in attesa

Germogli di iris sul prato spoglio

Germogli di iris sul prato spoglio

Assopito dall’inverno, da questa fiera tramontana che attraversa inesorabile il cielo gelido e terso, inaridito da un freddo che non è gelo e non è neve, ma ammutolisce il respiro, il prato aspetta. Non c’è traccia degli animaletti che lo popolano, solo qualche chiocciola sigillata, non saprei se viva, sotto pietre o foglie, rigide e mute. Forse qualche insetto ha bucato le foglie delle fave. I gatti escono veloci e chiedono in fretta di rientrare. Ma talvolta si attardano, nell’assolata aria frizzante, e il loro pelo è sempre più folto e brillante.

I bulbi non si attardano, fra pochi giorni, neve o non neve, saranno pronti a fiorire, crochi di fine inverno e minuti giaggioli.

L’inverno del liriodendro o albero dei tulipani

Liriodendro Liriodendron tulipifera

Liriodendron tulipifera
Liriodendro o Albero dei tulipani

Il liriodendro, o albero dei tulipani, nome che gli deriva dalla forma dei fiori, è una pianta originaria del Nord america. Gli indigeni (indiani d’America) lo chiamavano l’albero canoa perchè i tronchi massicci venivano utilizzati tutti interi per costruire le canoe. E’ un albero di una bellezza esagerata, e questa volta parlo sul serio, non soltanto in ragione del mio amore per il mondo vegetale. Si tratta di bellezza reale, quella stessa che si trova sul volto di una donna, e a volte anche di un uomo, che non possiede espressione che non sia attraente. Il liriodendro ha un portamento regale, con un tronco diritto e una chioma folta e regolare, foglie dalla forma aggraziata, morbidamente quadrangolari, verde tenero nella bella stagione e di affascinanti colori dal giallo all’arancione in autunno. I fiori sono assai appariscenti, come quasi sempre accade nella famiglia delle magnolie, a sei petali giallo verdi solcati da nervature viola e arancio (già mostrati in un post del 2011). E d’inverno, quando ormai si è spogliato di quasi tutte le sue attrattive, restano sui rami i calici dei fiori, rigidi ed essiccati, teatrali, spiccano come stelle o gioielli.
La bellezza è una qualità ambivalente. Mentre i nostri occhi rimangono estasiati, le nostre emozioni e la nostra razionalità elaborano pensieri discordanti, invidia, gelosia, una sorta di attonito sgomento. Forse per questo mi sorprendo ora a domandarmi se un simile albero possa suscitare simpatia, e affetto. O soltanto un’intensa, ma gelida, ammirazione.

I liriodendri sono molto comuni come specie ornamentale nei viali e parchi cittadini, come si vede in questa pagina.

L’albero della fotografia si trova nel parco storico di Villa Serra a Comago, in val Polcevera, nelle vicinanze di Genova. Questo post è stato pubblicato per la prima volta il 4 gennaio 2009

Frutti tardivi sul lampone invernale

Lampone - Rubus idaeus

Lampone – Rubus idaeus

Il lampone è una pianta del sottobosco di montagna. Inutile cercare di farli crescere in pianura, o troppo vicino al mare. Nel mio giardino, i lamponi prosperano. Da una singola piantina, ne abbiamo già una spalliera e continuano a riprodursi indisturbati ovunque trovano terra di loro gusto.
Fioriscono numerose volte all’anno, ma i frutti più buoni sono quelli della primavera che maturano a giugno. Dato che si raccolgono nello stesso periodo della grande abbondanza di zucchini, ho fantasticato di ricette che abbinino due prodotti della terra così differenti: dalla torta di zucchini guarnita di lamponi alla mousse al lampone con zucchini fritti. Perchè no? Basta allontanare i pregiudizi, il gusto della natura merita sempre.
Quest’anno l’autunno è stato molto mite, e le piante hanno prodotto nuovi frutti all’inizio dell’inverno. Stagione mite, ma arida, i frutti sono secchi e insapori, anche se l’aspetto è impeccabile. Fra pochi giorni taglieremo i rami secchi e con loro le ultime bacche legnose. se ne andrà l’ultimo, proprio l’ultimo colore dell’estate. Ma come diceva il poeta …

if winter comes, can spring be far behind?

Il lampone è una rosacea ed appartiene allo stesso genere della mora, il frutto del rovo (vedi anche 18 maggio 2008). Lo avevo già mostrato nel vecchio blog il 1 agosto 2008