Carice di primavera

La carice è una monocotiledone e appartiene alla famiglia delle Cyperaceae.

Carice di primavera

Carex caryophyllea

E’ un’erba piuttosto attraente, con eleganti infiorescenze, tanto che diverse specie di carice sono spesso sfruttate come piante ornamentali. Benché prive di proprietà officinali o alimurgiche, le carici hanno sempre avuto svariati utilizzi pratici tradizionali, un po’ come il loro fratello maggiore, il nobile papiro. Non solo come strame per il bestiame, ma come materiale per imbottire cuscini e materassi, per impagliare sedie, confezionare stuoie e canestri per il formaggio.

Quasi nascosta fra i sassi del sentiero nel luminoso sottobosco, questa piccola carice si guadagna il nome volgare di primaverile con le morbide infiorescenze dorate che brillano nel precoce sole di fine marzo.

La stagione è calda e asciutta, da troppi mesi aspettiamo la pioggia, saremmo disponibili perfino ad accettare che durasse a lungo, purché dissetasse a fondo prati e boschi e restituisse un po’ di verde al mondo.

Barlia, orchidea gigante

Barlia robertiana

Barlia robertiana

Ha preso il nome da due botanici, Joseph Hieronymus (Jerome) Jean Baptiste Barla (1817-1896) e Gaspard Nicolas Robert (1776-1857), una delle più grandi orchidee spontanee sui nostri prati e certamente la più precoce. Si erge ritta e imponente, ormai al termine della sua vistosa fioritura, sulle pendici di dolci declivi coperti di ulivi, nell’entroterra imperiese. Siamo vicini a un piccolo paese chiamato Lucinasco, e al suo romantico laghetto circondato da cipressi e salici piangenti, in cui si specchia la piccola chiesa di Santo Stefano, risalente al XV secolo.
Così attraente e solitario, questo fiore d’inverno, attira fin troppi sguardi, tanto da doversi considerare specie protetta in tutt’Italia per difenderla da mani rapaci. Malefica ed enigmatica, anticamente la pianta, consacrata al culto di Demetra sorella di Zeus, era considerata magica e si riteneva che potesse favorire gli amori non corrisposti.

 

Betulla

Betulla

Betula pendula

La betulla non è un albero comune nella mia regione. Però talvolta ne incontro una lungo le creuze di mezza campagna, in qualche piccolo giardino. In questa grigia giornata di caldo inverno, eccola nobile e spoglia, la corteccia bianca solcata da spaccature scure e i primi amenti maschili, rossicci, che compaiono assai prima delle foglie. Gli amenti, infiorescenze unisessuali a vaga forma di spiga, sono un segno distintivo degli alberi della famiglia della Betulaceae, anche se non si trovano solo in questa famiglia. Gioielli pendenti coprono d’oro i rami ancora spogli.
La betulla un albero molto attraente, con foglie delicate, a forma di piccoli rombi acuminati, con margini seghettati. Ne esistono numerose varietà ornamentali come la betulla svedese, “Dalecarlica“, con foglie incise in lobi affusolati e finemente dentati.

Betulla - amenti

Betula pendula

Betulla

Betula pendula
Fontanegli, giugno 2009

La betulla è un albero del Nord, un albero antico e leggero, nobile, etereo e resistentissimo. I tedeschi la chiamano la signorina dei boschi, per il portamento snello, la chioma rada e i colori chiari del tronco e delle foglie.  Nelle città del Nord, le betulle sono eleganti compagne di strada, come avevo mostrato in questo post a Stettino.  Fuori delle città formano foreste rade e luminose, spesso anche molto estese, in quell’ambiente freddo e inospitale che viene detto taiga. Infatti nonostante il loro aspetto etereo, questi alberi sono fra le piante più resistenti al freddo e al congelamento del suolo. Più rare e forse poco felici nel clima mediterraneo che si fa sempre più torrido, vivono meglio sulle montagne, soprattutto sulle Alpi fino a 2000 metri.

Discreta e temeraria, la betulla è una pianta magica, venerata nei riti celtici e consacrata al dio Thor. Simbolo di morte e rinascita, i giorni a lei dedicati erano quelli del solstizio d’inverno, quando le notti sono le più lunghe dell’anno. Ma la betulla è anche un albero luminoso e solare e nell’oroscopo celtico degli alberi il suo segno cade esattamente il 24 giugno, al principio dell’estate. Chi è nato sotto questo segno è una persona vivace, attraente, amichevole, non pretenziosa, modesta, non ama gli eccessi, odia la volgarità, predilige la vita nella natura e la calma, è un po’ ambiziosa e piena di immaginazione.

Che sia questa l’anima vera della betulla?

 

Sua Maestà la sequoia

Sequoia

Sequoia sempervirens
Villa Serra di Comago
(Sant’Olcese, Genova)

Sequoia

Questa ‘piccola’ sequoia cresce in un parco vicino a Genova. Nei pressi di un tranquillo laghetto e guardata a vista da placide anatre, ha le piccole foglie appuntite dei cipressi, sormontate dalle gemme giallo dorate dei fiori maschili. A suoi piedi sono sparsi i piccoli coni marroncini dell’anno scorso.
Sequoia

 

Un tempo assegnate alla famiglia dei cipressi calvi (Taxodiaceae), successivamente tutta la famiglia è stata unificata con quella dei cipressi, le Cupressaceae, perché non si ravvisano caratteristiche salienti che possano giustificare una distinzione, e successive prove genetiche hanno confermato la stretta correlazione. Le sequoie italiane sono quasi tutte importate e coltivate nei giardini, tuttavia qualche esemplare naturalizzato ha fatto la sua comparsa in Liguria.  Piccoli esemplari naturalmente, che le loro sorelle americane, alberi immensi, fino a 30 metri di diametro, guarderebbero con sussiego e sufficienza.
Le sequoie della California sono conifere che raggiungono altezze e volumi impressionanti. Il loro portamento è impettito, slanciato e maestoso e il loro aspetto è quello di immense colonne arboree, con i primi rami oltre a 30 metri dal suolo negli esemplari maggiori. Non stupisce che queste creature immense portino spesso il nome dei grandi generali ricordati dalla storia americana. Così il il Generale Sherman,  il più grande albero del mondo, ha preso il nome da William Tecumseh Sherman, famoso generale nordista, comandante in capo dell’esercito americano sotto la presidenza Grant. Si tratta di una sequoia gigante o wellingtonia, Sequoiadendron giganteum, alta 84 metri e di massa superiore a 1300 tonnellate.

Sequoia

Sequoie californiane

Ma le sequoie più alte appartengono a un altro genere, Sequoia sempervirens, sequoia della California o comune. La più alta di tutte fu scoperta nel 2006 da due naturalisti nel parco di Redwood, vicino alle coste del Pacifico. Si chiama Hyperion e la sua altezza è stata accertata di 115,66 metri, mentre la posizione esatta non è mai stata resa pubblica per tutelare la sua sicurezza e l’ecosistema in cui vive.
Anche il nome di questo albero straordinario è legato in modo indissolubile alla storia americana. Il meticcio Georges Guess, vissuto fra il 18° e il 19° secolo, si chiamava Sequoyah nella lingua degli indiani cherokee. Pur non istruito, riuscì a inventare per il suo popolo un alfabeto di 85 caratteri, noto come sillabario cherokee. In suo onore il botanico tedesco Stephen Endlicher diede ufficialmente il nome di sequoia alla conifera più alta del mondo, descritta per la prima volta negli ambienti scientifici europei da Giovanni Crespi, cronista milanese che visitò la California nel 1769. Non mi piace però dire che Crespi ‘scoprì’ la sequoia perché gli antenati di Georges Sequoyah certamente la conoscevano assai bene. Purtroppo per loro il legno delle sequoie è molto pregiato, leggero. duraturo, resistente ed anche bello. Queste preziose caratteristiche portarono nel secolo 19° alla distruzione di intere foreste.
Così qualche decennio fa le sequoie americane sono state particolarmente sotto i riflettori grazie a Julia ” Butterfly” Hill, la ragazza che ha vissuto per due anni in cima alla sequoia Luna che rischiava di essere abbattuta da una multinazionale del legno. Oggi sembra una favola, e invece è vero, ed è una splendida testimonianza del grande amore che possono suscitare queste meravigliose creature che sono gli alberi.

Eleagno

Eleagno

Elaeagnus × submacrophylla

L’eleagno è un arbusto assai comune per siepi e bordure, anche se non molto noto ai meno esperti e frequentemente confuso con altri generi.  Eppure non è difficile  incontrarlo in parchi e giardini, pubblici e privati, generoso e  molto resistente, non attrae per portamento e bellezza, ma è molto aggraziato nei particolari.  Ha foglie coriacee, ovali, dai colori interessanti, verde-brune o argentate, rami e piccioli marrone rossiccio. Lo conosco bene perchè ne cresceva un cespuglietto su una fascia del mio orto; non sembrava granchè a suo agio fra melanzane e pomodori ed è stato sacrificato alle verdure. Qualche cespo, scarno e spinoso, è rimasto fra i pittospori di confine. Quello della foto era più felice, nel parco di Villa Serra a Comago (Sant’Olcese, Genova) all’inizio di gennaio di qualche anno fa, ancora con tutti i suoi fiorellini, piccole campanelle color panna. Costretto nelle forme geometriche del recinto, si sforza comunque di allungare i solidi rami, snelli e diritti, verso l’alto. Si tratta con ogni probabilità di un ibrido  tra Elaeagnus pungens, alloctona casuale in Liguria, e Elaeagnus macrophylla, entrambe originarie dell’estremo Oriente asiatico, e fino a poco tempo fa era chiamato Elaeagnus × ebbingei (le piante cambiano spesso nome, per tenere in esercizio la nostra attenzione ad osservarle). Sempreverde, adatto ai litorali marini, viene usato anche per siepi frangivento.
Il genere Elaeagnus comprende molte specie diverse, tutte importate dall’Oriente, ma variamente naturalizzate e alcune inselvatichite;  per lo più sempreverdi, ma alcune decidue, hanno piccoli fiori a campanella, talvolta profumati, che si sviluppano in drupe rossicce. In alcune specie, che però non si incontrano in Liguria, questi frutti sono commestibili. Eleagnus augustifolia per esempio, un arbusto deciduo, spinoso, noto anche come olivagno, produce drupe edibili, anche se non molto succose, simili alle olive. Appetibili sono anche i frutti di Eleagnus umbellata, come ci racconta con molta grazia in questa pagina Paolo Tasini, un vero giardiniere professionista.

Senecio rampicante

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Mentre sfreccio a bordo del mio cavallo di latta, lungo la strada di casa, via Nasche poco prima del bivio per San Desiderio, mi incuriosiscono questi mazzi di corolle giallo brillante, che svettano oltre il muretto che limita la carreggiata, in mezzo alla grigia vegetazione di un gennaio troppo caldo e soleggiato. Non assomigliano per niente ai  fiori di mimosa che cominciano prepotentemente a sbocciare dappertutto. Che cos’è? Fermo l’auto, mi avvicino e d’improvviso capisco tutto. Il senecio rampicante (Senecio angulatus) è arrivato anche qui. Si abbarbica e infoltisce in mezzo agli sfioriti corbezzoli e fa finta di essere un albero anche lui. In realtà è un’infestante, alloctona invasiva in Liguria, e viene niente meno che dal Sudafrica.  Ma le piante non hanno paura delle distanze e hanno scritto la storia della terra e delle migrazioni con molta più accuratezza degli uomini.

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Specie ormai tutt’altro che rara, il senecio rampicante ha fusti e foglie grassocci, come una succulenta, e fiori giallo paglierino che sbocciano in autunno avanzato. Lo avevo già incontrato diversi anni fa sulla passeggiata Anita Garibaldi, di Nervi, a metà estate, dove, ornato solo di sfatti soffioni, confondeva le sue foglie verdissime con quelle cuoriformi della più mediterranea salsapariglia nostrana (Smilax aspera).

Senecio rampicante

Senecio angulatus

Lo avevo riscoperto in piena fioritura alla fine dell’autunno coprire d’oro tutto il pendio sopra la scogliera, non lontano dalla schiuma rumoreggiante del mare non proprio tranquillo. Come ho scritto recentamente, il senecio è un genere dalle mille incarnazioni,  invadente per vocazione. Il senecio rampicante è stato introdotto in molti paesi come  ornamentale, ma suppongo che nessuno avesse previsto che questo africano potesse colonizzare con tale esuberanza la passeggiata di Nervi, e spingersi ancora più su fino a minacciare qualsiasi giardino e, secondo Wikipedia, presentarsi inselvatichito sulle Alpi marittime.

Articoli più o meno recenti su varie specie di senecio :
22 aprile 2021
4 gennaio 2019
9 giugno 2012
26 giugno 2011
12 dicembre 2010

Rose d’inverno

Rosa banksiae lutea

La rosa banksiae è fiorita. Non una profusione come a primavera, ma tre timidi boccioli proprio in cima al cespuglio, dove il sole li indora con più intensità. Un fiore è già sbocciato e splende nel limpido cielo di gennaio. Intorno il giardino è spoglio e fradicio, ma vitale.

E’ fiorita qualche selvatica borragine e le testarde calendule. Nella serra, l’aloe variegata regala fiori a profusione .

Rosa floribunda ‘Pacific dream’

Le altre rose nicchiano. Dovrò potarle abbondantemente fra poche settimane sperando in una stagione propizia per loro, anche se temo che il caldo non ci risparmierà neppure quest’anno. La rosa floribunda ‘Pacific dream’ dovrebbe fare dei fiori di una tonalità fra il lilla e l’azzurro ed è per questo annoverata nel filone di ricerca della mitica “rosa blu”. Per ora però non accenna a lasciar andare i frutti dello scorso anno, di cui i cinorrodi rosso arancio sono i ricettacoli. Se i semi sono maturi, dovrei provare a seminarli, come insegna Roberto Longo con un procedimento che assomiglia un po’ a quello che seguo io per le talee. I semi sistemati in vasetti con terriccio morbido, poi racchiusi sacchetti trasparenti e posizionati all’esterno perchè prendano qualche ora di sole (quando c’è). Dopo circa 2 mesi, spunteranno le prime piantine, che quando sono alte circa 2 cm possono essere trapiantate singolarmente. Mi pare un procedimento realistico, anche perchè parla di una resa del 50% circa e non di quei mitici 80-90% che non si raggiungono mai. Però è prematuro per la mia rosa, voglio prima osservare se davvero fa i fiori rosa lillazzurri come previsto.

Brugmansia

Brugmansia

Brugmansia suaveolens

Parchi di Nervi (Genova), nei pressi del roseto. Un placido cespuglio dall’aria esotica nascosto dietro un padiglione semi abbandonato, allunga i rami verde giallo contro i vetri di una vecchia finestra. Conosco i fiori di questa pianta, lunghe campane dai colori sgargianti e delicati che pendono come gioielli e hanno meritato il soprannome di trombe degli angeli (vedi anche 20 luglio 2008). Oggi i fiori sono appassiti da tempo, ma nel tepore della costa ligure, l’arbusto non ha perso le foglie, che conservano il loro verde delicato, e, fra le foglie,  rimangono  i calici vuoti, e i frutti, lunghe bacche verdastre.
Queste principesche solanaceee si chiamavano un tempo tutte Datura, sia le specie arboree che quelle erbacee, o meglio così le aveva chiamate Linneo. Ma in seguito le varietà arboree sono state attribuite al genere Brugmansia, in onore ovviamente di un botanico, l’olandese Sebald Justinus Brugmans.

Brugmansia

Brugmansia suaveolens

Insieme alla cugina Datura, ma anche ad altre solanaceae come Hyoscyamus, Brugmansia è una pianta molto velenosa e l’arcano potere dei loro succhi è qualcosa di leggendario. Si racconta, tanto tempo fa come ai giorni nostri, che soltanto respirarne il profumo soave possa essere molto pericoloso e comunque provocare notevole malessere.  Contiene un alcaloide la scopolamina, chiamato anche burundaga, che è potentemente neurotossico e allucinogeno anche se per lo più è conosciuto come antidoto al mal d’auto e mal di mare, naturalmente in dosi ridottissime.  E sempre a dosi ridottissime viene utilizzato per provocare la dilatazione delle pupilla per esami oculari.

Podocarpus

Podocarpo

Podocarpus macrophyllus

In questa grigia stagione, per trovare qualche fronda bisogna andare in giro per parchi, nei vaghi giorni sereni, o quantomeno asciutti, a caccia del sempreverde, magari qualche conifera, astuta, ricercata, resistente. Quando si incontrano rarità o stranezze nei giardini botanici si fa meno fatica a riconoscerle, perché, talvolta, ci sono le targhette, o i cartelloni di spiegazione. Peccato che siano spesso laceri e sbiaditi, consumati dalle intemperie e a tratti illeggibili. Non in questo caso però e quando, diversi anni fa (7 gennaio 2010), ho incontrato questo alberello a Villa Durazzo Pallavicini, a Pegli, delegazione occidentale di Genova, la targhetta era in bella mostra e perfettamente conservata. Podocarpus macrophyllus è un piccolo albero che viene dal Giappone e appartiene alla famiglia delle Podocarpaceae, spesso coltivato come bonsai, con le sue lunghe foglie flessuose e il suo portamento mansueto e accondiscendente.

Podocarpus

Podocarpus macrophyllus

Il parco, splendido esempio di giardino romantico europeo, ricco di suggestioni e simboli,  stretto fra il rollio incessante del’autostrada Genova-Savona (che lambisce le sughere, Quercus suber, e incatrama le loro preziose cortecce) e l’avanzare delle costruzioni urbane, era da decenni abbandonato a un avvilente degrado. Ricordo di averlo visitato quasi clandestinamente fino al diroccato castello, aggirando le recinzioni arancioni e superando cumuli di macerie.
Ma per fortuna non sempre il degrado è irreparabile e, grazie anche all’intervento del FAI e certamente all’impegno di alcuni appassionati, è oggi tornato in parte al suo splendore, o quantomeno può offrire al visitatore l’imperdibile occasione di un viaggio nel tempo e nell’immaginazione. Concepito come un susseguirsi di scenografie romantiche, arditamente composte sull’articolato e scosceso pendio della costa ligure, molto vorrei dire su questo parco, che sempre mi seduce e strugge.  Ma, oggi come allora, mi fermo al Podocarpus, un po’ preoccupata di quelle tracce biancastre sulle foglie sottili, che fanno pensare come l’ambiente urbano è insalubre e non completamente innocuo per nessuno.

Fiori di yucca

Yucca

Yucca gloriosa
prima della fioritura

La yucca non è una palma. Ho imparato a riconoscerla nel 1987, dalle parti del Big Bend National Park in Texas,  alta diversi metri, con le sue lunghe foglie rigide e acuminate e le pannocchie di fiori bianchi. Ne esistono circa quaranta specie e in passato era attribuita alla famiglia delle Agavaceae, che classificazioni più moderne hanno relegato a sottofamiglia delle Agavoideae nella più vasta famiglia delle Asparagaceae.

Yucca gloriosa

Fiori di Yucca gloriosa

 

 

 

 

In città la yucca si incontra spesso nelle aiuole, quasi ovunque nella zone temperate, più o meno fiorita, più o meno negletta. I suoi fiori, floridi e lussureggianti, un po’ patinati, ma in fondo freschi e sinceri anche in questo autunno quasi inverno, passano stranamente inosservati, quasi fossero finti.
Eppure nel suo ambiente, in quel rigoglioso deserto texano al confine col Messico, facevano la loro figura, sbocciando inaspettati in mezzo a quei cespi irsuti, e li cercavamo con gli occhi, felici di averli riconosciuti. Così mi sono affezionata alla yucca, un po’ spaesata, un po’ deportata, e spero ancora sempre di incontrarla fiorita.

post riproposto da 1 gennaio 2010.