Una vecchia conoscenza, si trova un po’ dovunque come pianta d’importazione, nei giardinetti, nei cortili, sui terrazzi, persino negli appartamenti. Viene dall’estremo Oriente, come sottintende il suo nome (f.japonica), ed è un arbusto a crescita rapida con vaste foglie ornamentali. All’aperto l’aspetto delle foglie è più florido, robusto e il colore più carico. Per questo mi sono talvolta trovata a discutere se si trattasse della stessa pianta che cresce negli appartamenti, pallida e raramente ramificata, ampia, ma senza fiori.
All’aperto la fatsia produce tutti gli anni grandi infiorescenze bianche, che si sviluppano in piccoli grappolini tondi di frutti a pallina che ricordano vagamente quelli dell’edera (26 gennaio 2009).
Ho fotografato questa pianta ai parchi di Nervi, un’esemplare di prorompente fierezza.
Osmanto
Arbusto ornamentale, dai fiori profumati (come indica il nome), bianchi o giallo pallido, può anche formare siepi, come la fillirea (7 ottobre 2008) che è una sua parente. L’osmanto viene dall’estremo oriente, anche se sul mediterraneo non fa fatica ad adattarsi.
Le foglie di questa specie sono classificate come ovali a margine liscio, ma quest’esemplare mostrava quello che i botanici chiamano ‘diformismo fogliare’, con alcune foglie di forma differente, a bordo pungente simili a quelle dell’agrifoglio. Dovrebbe venire il sospetto si tratti quindi della specie affine Osmanthus aquifolium che presenta entrambe i tipi di foglie. Se non che il cartellino del parco indicava lo identificava come Osmanthus fragrans e io devo fidarmi dei vivaisti. Qualche piccola confusione fra pianta e pianta la fanno veramente tutti, e, a differenza della matematica, la botanica talvolta è un’opinione.
Mi piacerebbe vedere questa siepe fiorita, ma nella bella stagione sono troppo indaffarata a cercare i fiori spontanei per indugiare nei parchi e giardini confezionati. Senza togliere niente a questi ultimi, che fanno certo parte di una delle più grandi gioie della vita.
Senecio grandifolius
Ecco un’altra pianta staordinaria a cui davo al caccia dall’anno scorso. Si trova anche a lei ai parchi di Nervi ed è un arbusto sottile, ma spavaldo, ricoperto in dicembre di ombrelle di margherite gialle. Quasi nascosto all’ombra dei pini d’Aleppo (10 dicembre 2009), sopra un tappeto di acetosella (Oxalis pes-caprae, 26 gennaio 2010) nell’angolo estremo del roseto, dove si rifugiano i passanti più discreti, quelli che cercano solo un angolo di verde per starsene tranquilli, potrebbe passare quasi inosservato se non fosse per quello scoppio di colore in mezzo a un giardino che in questa stagione è immerso nel verde statico dell’inverno mediterraneo.
Esotica di origine, credo, messicana, mi aveva fatto subito pensare a un senecio, ma ero titubante circa questa attribuzione. Per fortuna è venuto in mio aiuto un vero genio della botanica, Sedanaccio alias Valerio, sulle pagine del forum di actaplantarum e ha risolto i miei dubbi. Genere davvero sorprendente il senecio, che comprende pianticelle modeste e sfacciate come il senecio comune (Senecio vulgaris, 8 febbraio 2009) e piante dall’aspetto bizzarro, come il senecio a collana (Senecio rowleyanus, 16 novembre 2009), che ricorda una succulenta e a tutto fa pensare meno che a una margherita. Sulla scogliera di Nervi, a poche decine di metri di distanza, prospera una altro senecio esotico, il Senecio angulatus (9 dicembre 2009), prostrato e rampicante, con foglie palmate e carnosette.
Eritrina
Sono tornata ai parchi di Nervi in una giornata tesa e tersa. Volevo ritrovare alcune vecchie conoscenze e magari farne altre. L’alberello a cui appartiene questa foglia si trova non lontano dal Brachychiton populneus ed è certamente un’eritrina o albero del corallo, così detta a causa del colore dei fiori. La specie di questo esemplare è Erythrina falcata, almeno secondo quanto riportato nel cartellone esplicativo esposto nel parco. La stagione non è propizia ad ammirare piante da fiore, ma le foglie cuoriformi e il portamento regolare e aggraziato me la rendono subito amabile. La pianta è originaria dell’America latina (foresta atlantica) ed è della famiglia delle fabaceae.
Sarebbe bello tornare a farle visita nella bella stagione per scoprire se ha intenzione di regalarci meraviglie o si accontenta di sfoggiare le fronde lussureggianti. Oggi ho incontrato una signora esperta di botanica con cui ho piacevolmente conversato per quasi un’ora. E’ gradevole conoscere qualcuno che condivide le stesse passioni, le nostre innocue malattie. Senza snobbismo, ma con un po’ di malinconia, penso a quante persone ignorano e si disinteressano alle varietà esotiche che possono incontrare così vicino a casa. I parchi di Nervi sono un giardino botanico ricco e rigoglioso che non ha ancora terminato di mostrami le sue meraviglie.
Ricino
A dispetto di pioggia, vento, nevischio e gelo (quest’ultimo ancora non molto persistente), le piante di ricino (vedi 12 luglio 2009) mettono nuove foglie. I semi sono ormai maturi e già da tempo avrei dovuto raccoglierli. Non ne vedo altro uso che farne altre piante e così li ho lasciato al loro posto, dentro i loro ispidi involucri. Le foglie nuove sono rossiccie e hanno sfumature drammatiche. Non so quanto le piante ancora sopravviveranno, nei climi caldi sono perenni e talvolta potrebbero farcela anche qui.
Tutti conoscono il ricino per il famoso olio (che deve essere estratto con grande accortezza per privarlo delle componenti più velenose). In inglese , il ricino si chiama ‘castor bean’ che significa fagiolo dei castori (castor è una parola più erudita per beaver, castoro appunto). Mi piacerebbe davvero sapere che c’entrano i castori con il ricino.
Tecomaria
Non sono molti i fiori in dicembre. La splendida camelia (3 gennaio 2010) che non si lascia intimidire dalle intemperie. Qualche sfacciato senecio (senecium vulgaris, 8 febbraio 2009) o qualche sgargiante, ma sfilacciato tarassaco (taraxacum officinalis, 17 marzo 2009), affogato nella nebbia.
Ma oggi è tornato il sole e si merita un fiore rosso arancio che splenda di luce. Questa bignognacea viene dal Sud Africa naturalmente (il nome specifico capensis si riferisce a Città del Capo), e fiorisce da agosto a dicembre, se il clima lo consente. L’ho incontrata fiorita un po’ dappertutto, a villa Hanbury in agosto, a Lucca e nell’orto botanico di Genova in settembre. Era fiorita alla grande nel dicembre dell’anno scorso ai parchi di Nervi (Genova), ma ancora non la conoscevo.
Clerodendro
Le foglie ormai gialle, rinsecchite e accartocciate, il clerodendro o albero del destino, o meglio, se preferite, della buona sorte, si è ricoperto dei suoi piccoli frutti a stella, con bacca violacea al centro. Come il kaki (15 novembre 2009, vedi anche 28 novembre 2008) , o l’evonimo (31 dicembre 2009, vedi anche 12 agosto 2008 e 30 giugno 2010), o altri alberi a bacche colorate, si veste per la stagione da albero di Natale.
Pianta di origine orientale, viene coltivata nei giardini e per quest’uso è piuttosto comune. L’ho scoperto occhieggiando giù per il pendio della mia strada di casa, sporgendomi pericolosamente dal finestrino del mio cavallo di latta, (meglio se alle guida c’era un’altra persona) in un giardino di Bavari (Genova). Non lo avevo mai visto. Sono stata costretta dalla curiosità a ripassare per quella stessa strada, a piedi e, seppure in ritardo l’ho incontrato, dicembre 2009, ancora carico di frutti. Mi rimane il dubbio del perchè si chiami albero del destino. In precedenza assegnato alla famiglia delle Verbenaceae, secondo la moderna classificazione è viceversa incluso nelle Lamiaceae.
Novità sull’albero bottiglia
Ho faticato un poco, ma ho scovato l’identità anche di questa pianta, fotografata (a destra) nel dicembre dell’anno scorso ai parchi di Nervi (Genova) e archiviata per mesi come sconosciuta. Avevo fotografato la stessa pianta a villa Hanbury diversi anni fa, ma allora era estate e la pianta era in fiore (foto qui sotto).D’inverno invece rimangono soltanto le foglie, luminose e allungate, la liscia e bianca corteccia e qualche sporadica noce, a forma di grosso bacello legnoso, ritrovata per terra, per aiutarmi a identificarlo. Le foglie di quest’albero sono un vero rompicapo: il nome suggerirebbe che assomigliano a quelle del pioppo, il che è talvolta vero, talvolta hanno la forma di triangolo romboide come quelle del pioppo; ma sono anche oblunghe e curiosamente appuntite, e persino lobate. Non per niente quest’albero si chiama anche (e per certe fonti è questo il suo vero nome) sterculia diversifolia, tanto per non confonderlo con un pioppo.
Gli alberi del genere brachychiton, famiglia sterculiaceae, vengono da lontano, tutti quanti dall’Australia e sono volgarmente conosciuti con il nome americano di ‘alberi bottiglia’. Uno dei più appariscenti è il brachychiton discolor (16 settembre 2008), con i suoi incredibili fiori a campanula. Però non sono questi fiori, come avevo erroneamente fantasticato nel mio post precedente, che hanno meritato all’albero il soprannome di bottiglia. Questo nome singolare viene dal fatto che il tronco tende ad allargarsi alla base, a farsi panciuto come un fiasco, diventando una vera riserva d’acqua nel torrido clima australiano. Ma brachychiton non è il solo albero bottiglia, perchè altri alberi che hanno questa proprietà hanno meritato lo stesso soprannome, come chorisia speciosa (9 gennaio 2010) e adansonia digitata, un’altra bombacacea. Il che dimostra una volta di più che i nomi comuni di alberi e piante sono spesso superficiali e ingannevoli.
Le sterculiaceae sono una famiglia di piante esotiche, sconosciute nei nostri paesi; ma non poi così lontane dal nostro abituale sentire visto che uno degli esponenti più illustri della famiglia è il theobroma cacao, il cacao o cibo degli dei. Le rozze noci del brachychiton hanno invero una certa somiglianza con quelle del theobroma, specie quando sono appena schiuse, con i semi aggruppati in rigide file.
Ancora sul biancospino
L’ho già mostrato altre volte, fiori e bacche (28 agosto 2008) di biancospino. Ma la pianta è molto comune, e bella, e virtuosa (nonostante le spine). Mi piace questo rametto magro, con i suoi brandelli di foglioline sbiadite, e le gocce rosse dei frutti, turgide come perle, sullo sfondo oscuro di un giorno breve e buio come sono i giorni di dicembre. Festeggeremo il Natale per rallegrarci che i giorni smettano di accorciarsi così inesorabilmente. Che il sole fermi la sua corsa verso un orizzonte sempre più breve e ricominci ad allargare il suo arco. Spero anche che torni qualche timido raggio di sole, come quello che illuminava questo biancospino, sulla strada di Sant’Eusebio nel dicembre 2008 (intanto continuano a frustarci pioggia,vento e nebbia dalla mattina alla sera senza pietà).
Dalle nostre parti esistono diverse specie di biancospino, di cui Crateagus monogyna è la più comune. Distinguerli non è facile. Le foglie presentano una leggera differenza, ma sono soprattutto i semi che aiutano a riconoscerli. Le bacche del C.monogyna, come il nome suggerisce, contengono quasi sempre un solo nocciolo, che deriva da un unico stilo. Viceversa il Crataegus laevigata, sinonimo di C.oxyacantha, chiamato a volte comunemente biancospino selvatico, ha fiori con due (a volte tre) stili e frutti che contengono due (o tre) noccioli.
Gazania
Una margherita sudafricana presente nei giardini e nei vivai in molteplici forme ed ibridi. Sorprende il disegno delicato, in contrasto con il colore sgargiante della sua corolla, il taglio preciso dei petali, come merletti; e le foglie velluate, coperte di peluria argentea. Sorprende, nel mese di dicembre, prospiciente la scogliera di Nervi (Genova), in un’aiuola conquistata alla roccia, la robustezza della sua fioritura. Un piccolo tenace sole resistente alle intemperie. Come non ammirare questa flora dell’Africa australe, così esuberante, solida, ridondante, incontenibile.
Qui intanto sono tornate le nuvole, e il vento, dopo la breve parentesi di sole nella giornata di ieri. Pare tuttavia che ci saranno risparmiati neve e gelo, grazie a un leggero aumento della temperatura. Ma la linea dell’orizzonte, il forte Diamante, il monte della Guardia, il crinale dei piani di Praglia, luccica di un bagliore ghiacciato e il sole entra ed esce in un batter d’occhio. Come può il giorno appena cominciato essere già finito?
(la foto di questa gazania è del dicembre 2009)