Boccione maggiore

Boccione maggiore Urospermum dalechampii

Boccione maggiore – Urospermum dalechampii

Boccione maggiore Urospermum dalechampii

Boccione maggiore – Urospermum dalechampii

Il nome scientifico di questa bella asteracea di campo, Urospermum dalechampii,  significa ‘seme con la coda’ e la ragione è ancora una volta la forma del frutto, che in questo caso è un achenio particolarmente lungo. L’attributo specifico è un omaggio al grande studioso di botanica Dalechamps.

Per non confonderla con il tarassaco e altre margherite gialle solitarie, basta guardare i boccioli, tondi tondi, che nella fantasia popolare ricordavano le mammelle. O i capolini giallo brillante, con le ligule esterne vistosamente macchiate di rosso bruno. L’ho sempre trovato un fiore bellissimo.

Si chiama anche lattugaccio o radicchione perchè le sue foglie sono erba commestibile, anche se piuttosto amare. Da lessare insieme ad altre erbe e usare nei ripieni di verdura della pasta.

Barba di becco violetta

tragopogon porrifoliusQuesta fotografia non rende giustizia a questo bel fiore di campo, modesto ed elegante, dal colore caldo e raffinato, la forma precisa e nitida. Le foglie, sottili e lanceolate, sembrano erba. I capolini sono ampi e solitari, con petali rosso viola, ornati da un’aureola di bratteee, più lunghe dei petali. Tutto questo si vede un poco in questo esemplare quasi sfiorito, ma ancora nobile e prestante, come un vecchio signore che non rinuncia alla sua classe.
La primavera è anche questo, fiori di rara bellezza che si disfano rapidamente, così che il loro aspetto non possa mai essere noioso come la gelida perfezione di ciò che non è vivo. Ma anzi lascino al loro sfiorire l’ansia di tornare a rivederli ancora.
Come già dicevo il 16 giugno 2008 a proposito della barba di becco comune, il nome tragopogon ha significa proprio barba di capro, per via dei semi alati di pappi che ne assicurano la dispersione nel vento. La barba di becco è una pianta commestibile, addirittura prelibata come insalata cruda o verdura cotta. Soprattutto era ricercata la radice, definita dalgi arboristi ‘di sapor dolce e ricca di latte mucoso e nutrientissimo’ e venduta nei mercati di ortofrutta come scorzonera bianca o raperonzolo selvatico. Il genere ha anche virtù terapeutiche, emollienti ed espettoranti.
Quando i capolini si chiudono, dopo il sole di mezzogiorno, e quando è finita la loro breve stagione, il fiore assume una forma conica che lo rende inconfondibile. Ma il fiore non resta chiuso a lungo, poco dopo le bratte si riaprono, e compare un soffione a forma di sfera, formato dagli acheni, ciascuno con il suo pappo piumosetto, simile a un paracadute.

Fiordaliso delle spiagge

Centaurea sphaerocephala
Un bell’incontro davvero questa centaurea marina, fiordaliso spinoso che sgorga dalla sabbia con capolini solitari, contornati da un ampio ciuffo di brattee spinose. Centaurea è uno dei generi più numerosi della famiglia delle asteraceae (una volta chiamate composite) e deve il suo nome alla figura mitologica del centauro Chirone, medico sapiente, che fu addirittura maestro di Esculapio.
centaurea sphaerocephala

In Liguria questa specie non è presente. L’ho fotografata l’anno scorso sulla spiaggia di Cagliari (Poetto), in una limpidissima e ventosa mattina di aprile. Ma oggi l’ho ritrovata e ho scoperto come si chiama.

Alcune centauree menzionate nel blog
Centaurea triumfetti, 11 agosto 2008
Centaurea nigra, 22 giugno 2009
Centaurea jacea, 15 agosto 2010.

Giallo

forsythia spa - tarassacum officinalis
Assuefatti, nostro malgrado, al grigio opaco e immobile dell’inverno, facciamo fatica ad accettare l’esplosione entusiasta di colori della primavera. Il giallo è uno dei più intensi e inaspettati. Ci si mette anche la forsizia (24 marzo 2009), ormai diventata protagonista di tutti i giardini, a dar man forte al tarassaco, sovrano dominatore dei prati. Due piante a loro modo tutte e due modeste e popolari, erbaccia antica e venerata il tarassaco (17 marzo 2009), alberello sfacciato e insostituibile la forsizia. Coraggio, la primavera è proprio arrivata anche quest’anno.

Un altro sparviere

hieracium bifidum
Dello sparviere ho già detto (29 ottobre 2009), genere assai comune da queste parti. Dopo molte esitazioni (ho sperato che si trattasse di Hypochaeris maculata, la preziosa lattuga macchiata dei prati), ora sono certa che la determinazione è corretta. Il signor G.Gottschlich, interpellato da actaplantarum, che è veramente un grandissimo esperto di Hieracium, genere che dà del filo da torcere anche agli appassionati, ha detto che si tratta di Hieracium bifidum Kit. ex Hornem. s.l. . Fa parte del gruppo Hieracium murorum e il suo nome comune è Sparviere inciso.
Ma non è proprio una specie particolare, cresce un po’ dappertutto, cresce in prossimità di boscaglie, pinete, scarpate e pendii sassosi, quindi in abbondanza sulla pietra ripida che fiancheggia la strada, ed è un’adorabile randagia. I fiori ancora piccoli e chiusi, si fa notare per le foglie a macchie nere e rossicce, ovvero ‘maculate di porpora’. Proprio come quella lattuga macchiata (che però è diversa perché le foglie basali sono prive di picciolo, ovvero sessili), che ancora mi sfugge.

Rosetta di foglie

picris hieracioides
Le piante cominciano così, con una rosetta di foglie basali, e dal colore, dalla forma, dalla pelosità e dalla consistenza sarebbe bello riuscire a riconoscerle. Sarebbe utile perchè alcune sono commestibili. Altre velenose.
La storia però non è così semplice. All’inizio ci sono due minuscole foglioline, perse nell’erba, oppure sulla terra brulla dell’inverno. Se sono due, la pianta è una dicotiledone (la maggior parte delle famiglie sono dicotiledoni), se invece la prima foglia è uno stelo dritto e isolato, è il germoglio di una monocotiledone, una classe a cui appartengono le eccelenti famiglie delle graminacee, delle liliacee e delle orchidee.
Ma torniamo alla nostra rosetta. La capacità di riconoscere una pianta dalle prime foglie non è da dilettanti, nè, come direbbero gli americani, da anime prive di coraggio (faint-hearthed). Le foglie che si presentano un po’ come nella foto, che compaiono a frotte nei prati soprattutto di questa stagione, sono di piante che appartengono quasi sempre alla famiglia delle asteracee. Cioè crescendo i loro fiori avranno all’incirca l’aspetto di una margherita. O di un tarassaco. Se questa rosetta appartiene come credo alla Picris hieracoides, volgarmente detta aspraggine (ma aspraggine si chiamano volgarmente anche altre Picris sp), la specie è commestibile, anche se non prelibata. Cercherò di tenerla sottocontrollo per riconoscerla quando sarà cresciuta, con i suoi capolini gialli, tutti ligulati, con le ligule esterne striate di rossiccio. Uguali ai capolini di tante, troppe asteracee, così simili fra di loro, eppure così diverse.

Senecio grandifolius

senecio grandifolius
Ecco un’altra pianta staordinaria a cui davo al caccia dall’anno scorso. Si trova anche a lei ai parchi di Nervi ed è un arbusto sottile, ma spavaldo, ricoperto in dicembre di ombrelle di margherite gialle. Quasi nascosto all’ombra dei pini d’Aleppo (10 dicembre 2009), sopra un tappeto di acetosella (Oxalis pes-caprae, 26 gennaio 2010) nell’angolo estremo del roseto, dove si rifugiano i passanti più discreti, quelli che cercano solo un angolo di verde per starsene tranquilli, potrebbe passare quasi inosservato se non fosse per quello scoppio di colore in mezzo a un giardino che in questa stagione è immerso nel verde statico dell’inverno mediterraneo.senecio grandifolius
Esotica di origine, credo, messicana, mi aveva fatto subito pensare a un senecio, ma ero titubante circa questa attribuzione. Per fortuna è venuto in mio aiuto un vero genio della botanica, Sedanaccio alias Valerio, sulle pagine del forum di actaplantarum e ha risolto i miei dubbi. Genere davvero sorprendente il senecio, che comprende pianticelle modeste e sfacciate come il senecio comune (Senecio vulgaris, 8 febbraio 2009) e piante dall’aspetto bizzarro, come il senecio a collana (Senecio rowleyanus, 16 novembre 2009), che ricorda una succulenta e a tutto fa pensare meno che a una margherita. Sulla scogliera di Nervi, a poche decine di metri di distanza, prospera una altro senecio esotico, il Senecio angulatus (9 dicembre 2009), prostrato e rampicante, con foglie palmate e carnosette.

Gazania

gazania hybrida
Una margherita sudafricana presente nei giardini e nei vivai in molteplici forme ed ibridi. Sorprende il disegno delicato, in contrasto con il colore sgargiante della sua corolla, il taglio preciso dei petali, come merletti; e le foglie velluate, coperte di peluria argentea. Sorprende, nel mese di dicembre, prospiciente la scogliera di Nervi (Genova), in un’aiuola conquistata alla roccia, la robustezza della sua fioritura. Un piccolo tenace sole resistente alle intemperie. Come non ammirare questa flora dell’Africa australe, così esuberante, solida, ridondante, incontenibile.

Qui intanto sono tornate le nuvole, e il vento, dopo la breve parentesi di sole nella giornata di ieri. Pare tuttavia che ci saranno risparmiati neve e gelo, grazie a un leggero aumento della temperatura. Ma la linea dell’orizzonte, il forte Diamante, il monte della Guardia, il crinale dei piani di Praglia, luccica di un bagliore ghiacciato e il sole entra ed esce in un batter d’occhio. Come può il giorno appena cominciato essere già finito?

(la foto di questa gazania è del dicembre 2009)

Baccharis

baccharis pilularisbaccharis sarothroides
E’ ormai cominciato l’inverno (anche se per il calendario siamo ancora ufficialmente in autunno) con la prima, precocissima, nevicata che corona un’autunno talmente umido, luvego e tristo da non concedere neppure un raggio di sole per le semine. Tutto rimandato all’inizio della primavera, se al cielo (quello astronomico) piacerà. Che tristezza.
Le piante sotto la neve sono un po’ monotone, anche se talvolta affascinanti. Così resterò ancora per un po’ sotto il sole della California.
Le baccharis (dal greco bakkaris, radice profumata, o forse dal dio Bacco, ma non so perché) sono asteracee che crescono in America Nord occidentale e sono presenti in varie specie, alcune endemiche della California meridionale e di quel ‘chapparral’ messicano di cui parlavo qualche giorno fa. In genere il nome comune di queste piante è broom, cioè scopa, perchè il loro portamento è di cespuglio irto e legnoso, adatto a fabbricare scope. E invero, soprattutto b.sarothroides (dal greco saron, scopa) ricordano nell’aspetto le “vere piante scopa” del genere cytisus (come la cytisus scoparium o ginestra dei carbonai) o genista. Le due specie di baccharis presenti a point Loma presentano davvero molte somiglianze: hanno folgie piccole e appuntite, rametti egnosi, fiori a capolino non ligulati ìdi colore bianco o crema. Si tratta di piante dioche, cioè i fiori femminili e maschili si trovano su individui diversi e ciò accresce la variabilità dell’aspetto. Con un po’ di fatica, e qualche perplessità, ho dato un nome alle mie fotografie. Più alta e rigida, molto ‘scopa’ la baccharis sarothroides, presente in tutto il Sud Ovest degli Stati Uniti, fino ai deserti dell’Arizona. Con foglioline appena più rotondeggianti e fiori raggruppati, la baccharis pilularia, purtroppo un po’ ‘bruciata’ sulle punte, è endemica delle coste pacifiche (Oregon, California fino al Messico) ; il nome viene da “pílula”, pallottolina, ed è comunemente nota come coyote bush, cespuglio del coyote.