Questa reseda, fotografata invero qualche settimana fa nella zona di Praglia (Genova), ha come colore dominante il bianco, ma le sue caratteristiche generali me la fanno identificare come reseda gialla, reseda lutea, diversa da quella fotografata a Munster e presentata 18 giugno.
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Linaiola bavarese
Linaiola non è un nome che le renda giustizia. E’ un nome un po’ generico perchè molte piante vengono paragonate alla pianta del lino, per esempio la linaria (13 giugno 2008). Questa pianta invece non assomiglia a nessun altra, tranne a quelle del suo stesso genere e scoprire il suo nome è stata una caccia difficile. E neppure conclusa. Non sono sicurissima che si tratti di t.bavarum, potrebbe anche essere t.linophyllon ovvero linaiola comune. Dico che non assomiglia a nessun’altra perchè è l’unica che conosco della sua famiglia, le thesiaceae il cui nome dovrebbe derivare dal Teseo mitologico, ma non si sa bene perchè. Questa linaiola è pianticella originaria delle steppe dell’Asia, avvezza a vita di siccità, prospera piacevolmente sui prati e radure delle nostre temperate colline, coprendosi di deliziose stelline bianche dalla primavera fino all’estate.
Vedovina selvatica
Da oggi, il blog tornerà più o meno operativo, dopo un interruzione molto lunga causata da disservizio Fastweb e viaggio all’estero. Naturalmente conto di recuperare il tempo perduto perchè i fiori in questa stagione non mancano davvero. Anzi i mesi di maggio e giugno sono il trionfo dell’esuberanza e della bellezza di prati e giardini, il periodo in cui l’energia vitale della terra dà il meglio di sè. In giugno la natura è una ragazza di vent’anni, fresca e forte, affascinante e spavalda.
Per l’occasione ho scovato questo primo piano della scabiosa columbaria (Fontanegli, giugno 2008), perchè si vedono molto bene i fiori pentalobati che la distinguono dall’ambretta (knautia). Non è la prima volta che la faccio vedere, essendo un fiorellino molto comune che sboccia dalla primavera all’estate. Ho qualche dubbio però sulla foto del 13 agosto 2008 dove non si vedono molto bene i singoli fiori. Così per esssere più precisa preferisco ripetermi. Tanto la piccola vedovella, così elegante e modesta, se lo merita.
Mazza d’oro
Oggi, primo giorno d’estate, un fiore giallo e luminoso per festeggiarla.
E’ uno degli esponenti di taglia più grande della famiglia delle Primulaceae, un famiglia di piante minute e di piccola statura. L’indubbia avvenenza ne ha fatto una pianta gradita nei giardini da diversi secoli. Nonostante il nome, non è comunissima ed è stata una sorpresa ritrovare queste immagini scattate nel luglio 2009 nei paraggi (ma non all’interno) del giardino botanico di Pratorondanino. Le mazze d’oro sono anche piante officnali con vari utilizzi medicamentosi, emostatici, vulnerari e febbrifughi. Ma soprattutto, forse perchè sono così belle e solari, la fantasia popolare antica attribuiva a queste piante doti di utilità quasi magica, come quella di calmare gli animi inferociti dalla rabbia, oppure mettere in fuga insetti velenosi e serpenti. Più ovvio è l’utilizzo per tinture per imbiondire i capelli, quasi a volerle rubare il colore del sole che si porta addosso.
Il suo nome ha chiaramente una derivazione greca e forse si rifà a quel Lisimaco, re di Tracia, oppure il suo omonimo re medico di Sicilia. Secondo il solito Plinio però, il nome deriva da due termini greci, sciogliere e lotta, a rappresentare le virtù di pacificazione innate nella magia della pianta.
Verbena
Non è la piccola, ma solo apparentemente insignificante, Verbena officinalis (11 agosto 2009), la pianta sacra di molte mitologie mediterranee. Non è neppure l’esotica e sfuggente Verbena bonariensis.
Più probabilmente si tratta di un ibrido particolarmente appariscente per il colore acceso dei fiori. Questi ibridi, di orgine americana, sono vendute come perenni, ma raramente, almeno per me, sopravvivono alla prima fioritura. Quindi me la godo così com’è, senza farmi trope illusioni. Ma una giorno mi procurerò una verbena vera, quella magica.
Spino di Giuda
Quest’albero deve il suo nome alle lunghe spine acuminate che crescono lungo il suo tronco e che sono legate a leggende mistiche e pastorali, appunto perchè ricordano le spine di cui fu ornato il capo di Cristo durante la passione. Ma con il Giuda del Vangelo quest’albero non può avere nulla a che fare essendo originario dell’America del Nord ed importato in Europa e nel Mediterraneo non prima del XVII secolo. Ora è alquanto diffuso come pianta ornamentale per il bel fogliame che si colora di giallo intenso d’autunno, e cresce ormai anche spontaneo, in piccoli boschi. Leggo che nei giardini generalmente viene preferita una varietà chiamata inermis, perchè priva delle minacciosissime spine. Non così a Munster, una bella città tedesca con spirito fiammingo, dove quest’albero cresceva, alto ed orgogloso delle sue spine, proprio nell’affolato centro storico.
Oltre all’utilizzo ornamentale, lo spino di Giuda ha altre qualità. Nella sua regione di origine, con i suoi frutti (bacelli brunastri) si ricava una bevanda simile alla birra, mentre dai semi torrefatti un succedaneo del caffè- Anche il legno è prezioso, duro e compatto, adatto per costruzioni robuste e durevoli.
Nella foto qui sopra, un’esemplare in fiore fotografato al parco Burcina di Biella
Reseda biondella
Queste piante sono conosciute fin dall’antichità (il solito Plinio) per le presunte proprietà lenitive e antinfiammatorie. Reseda deriva da resedare, latino che significa lenire, calmare. Dico tuttavia ‘presunte’ perché oggi le resede non sono più ritenute in possesso di virtù terapeutiche e non vengono più prese in considerazione. L’unico utilizzo pratico di queste piante, anche se non più utilizzate veramente per questioni di economicità, è la tintura della stoffe. Il colore giallo ottenuto dalle fascine della reseda biondella bollita in acqua era considerato la tinta gialla più bella e persistente che si potesse ottenere.
Le resedaceae sono una piccola famiglia indipendente, affine alle crucifere e alle capparidaceae. Queste piante si adattano molto bene nei giardini, che allietano di colori e profumi.
Ho incontrato questa pianta, la cui fioritura era appena cominciata, lungo un viale periferico, verdeggiante e ciclabile a Münster, ieri città del terrore anabattista e poi città ove venne siglata la “Pace di Vestfalia” che, nel 1648, mise fine alla Guerra dei Trent’anni che aveva coinvolto le maggiori potenze europee e che aveva devastato molte parti della Germania, oggi ridente cittadina dell’operosa Vestfalia.
Pilosella
Campanula a mazzetti
Questa bella campanula di montagna si chiama comunemente anche campanula agglomerata, nome simile a quello scientifico che sottolinea la disposizione compatta dei suoi fiori blu-viola carico, disposti in densi glomeri all’apice dello stelo che può arrivare a 30 cm di altezza. Il fiore singolo è lungo fino a 2 cm e ha 5 lobi appuntiti.
L’ho incontrata in varie stagioni nei prati incolti di Praglia (Genova), zona che è un vero paradiso per gli amanti della flora selvatica.
Le campanule non sono in genere annoverate fra le piante officinali con virtù curative; tuttavia sembra che almeno in un caso sia riportato l’uso di questa campanula per curare il mal di testa. Quale sia il principio attivo non è dato sapere nè supporre, ma sarebbe interessante indagare.
Piantaggine strisciante
Esistono vari tipi di piantaggini, piante modeste, ma tenaci. I piccoli fiori sono strettamente raggruppati in spighe e vengono impollinati dal vento. Per questo, nella stagione dell’impollinazione, gli stami si dipartono, slanciati e flessuosi, dalla spiga e sono la parte più appariscente dell’infiorescenza. I fiori più in basso nella spiga si aprono per primi e appassiscono prima che quelli della parte superiore si siano aperti; in questo modo l’anello di stami penduli matura lentamente verso l’apice della spiga. Le piantaggini producono grande quantità di polline polveroso e insieme alle erbe dei prati sono fra le maggiori responsabili delle ‘febbre da fieno’. Però non sono solo erbe allergeniche e infestanti, sono anche erbe commestibili e medicinali, per uomini e animali; anzi, la lista dei loro usi tradizionali è così lunga e variegata che occorrerebbero varie pagine per illustrarla. Primo Boni, nel suo ormai celebre trattato “Nutrirsi al naturale con le erbe selvatiche” (Ed.Paoline, 1977) consiglia soprattutto le foglie più fresche e tenere della P. lanceolata, detta lingua di cane, ottime in insalata ed importante ingrediente dei minestroni, nonchè toccasana per ragazzi anemici e deboli.
La specie in questa fotografia è detta piantaggine strisciante o serpeggiante a causa della forma della sua radice, e marittima probabilmente perchè il suo areale è il Mediterraneo, anche se vegeta in altura, dai 400 ai 1800 metri.