Questa pianta è molto conosciuta e apprezzata nell’Europa dell’Est, ma quasi ignorata alle nostre latitudini. In Polonia me ne parlavano con disinvolta familiarità, ma per me era pressocchè sconosciuta. E stranamente non ne trovo traccia in nessuno dei miei manualetti di erboristeria, pur avendo la pianta fama di toccasana come regolatore del ritmo cardiaco e della pressione sanguigna. E’ originaria dell’America nord-orientale e appartiene alla famiglia delle rosacee. Infatti è molto simile a un sorbo (vedi per esempio il sorbo montano, sorbus aria, 8 settembre 2008) tanto da meritare il nome di sorbo nero; ma ricorda anche un biancospino (crataegus monogyna, per le bacche vedi 28 agosto 2008), del quale condivide le eccellenti virtù officinali.
Questa foto è un po’ fuori stagione; le bacche, specie in Italia, oggi sarebbero forse ben più rosse. Ma non ho testimonianza diretta, non conosco aronie nel circondario. La fotografia è stata scattata in Polonia, nel giardino di Irena, alla fine di luglio, quando la maturazione ancora tardava. La propongo oggi perchè finalmente ho imparato il nome di questa pianta che non riuscivo a ricordare.
Alberello aggraziato, orgoglio dei miei amici polacchi che lo hanno piantato nel giardinetto della loro nuova casa in costruzione. Anche il giardino è in preparazione, ansioso di approfittare di quell’intensa e breve ubriacatura di estate. Le bacche di aronia sono utilizzate per preparare, mescolate alle mele, un squisita confettura.
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Sesbania
Ho incontrato questa pianta a villa Hanbury e pur non sapendone il nome l’ho smascherata quasi subito. I suoi tratti sono troppo caratteristici. E’ una leguminosa, indubbiamente, e si chiama punicea a causa del suo colore. La parola punico deriva dal greco e significa porpora scarlatta; per esempio per il melograno, punica granatum, 23 giugno 2009, ha fiori dello stesso colore. Questa pianta viene dall’Argentina, ha foglie che ricordano quelle della robinia e delle mimose, ed ha davvero una fioritura appariscente.
per chi la volesse coltivare, è pianta, sembra, di poche pretese, vuole molto sole, ma sopporta il freddo, ha una fioritura lunga e poi lunghi bacelli neri.
Lavanda dentata
Questa pianta cresceva a cespuglio per i viottoli di Linguaglietta, piccolo, incantato borgo della colllina fra Imperia e Sanremo. Il profumo è intenso, netto, quasi violento. Si tratta di una specie particolare che cresce spontanea soltanto in Spagna e nelle Baleari, ma essendo intensamente coltivata, qualche volta è sfuggita alla coltivazione. Non in questo caso, dove è certo stata prescelta come pianta ornamentale per quel giardino assolato che sono i borghi antichi della Liguria di Ponente. La lavanda è essenza mediterranea per eccellenza, profumo e colore della Provenza, ma anche della Liguria. Lavandula angustifolia (variamente detta L.officinalis, L.vera, l.spica, o volgarmente spigo, vedi 21 giugno 2008) è pianta resistente alle avversità e generosissima per la vista e l’odorato, e anche l’udito direi, quando si cosparge di creature di varia natura, stridenti, ronzanti, insistenti. Così sui miei tre cespugli di lavanda si rincorrono i bomboloni, le api, le vespette, le farfalle. Un poco meno robusta mi è parsa, ma forse è solo per l’esperienza personale con un probabile ibrido da giardino,Lavandula stoechus (vedi 15 maggio 2009), più rustica in origine, ma meno profumata, con fiori di forma bizzarra, ma più precoci e meno persistenti. Assai poco conosco di questa sorellina iberica, che mi ha subito sedotto con la sua impeccabile presenza, immersa quell’aria ventosa, calda e leggera, che propaga i profumi e li miscela.
Dipladenia
Ho avuto una pianta come questa qualche anno fa. Me l’avevano regalata e l’avevo sistemata nella fontanella rotonda, ora ‘dismessa’ e trasformata in piccola aiuola sospesa. Lì dentro faceva la parte della regina e non aveva bisogno di grande seguito. Non cessava mai di metter fuori campane rosse appariscenti e robuste e si arrampicava tenace, ma morbida ed elegante. Mi pareva assolutamente magnifica. Potrebbe, dicono, crescere come perenne, se il clima lo consente. E i venditori sempre si profonderanno in consigli dettagliati su come assicurarne la sopravvivenza. Tant’è la mia se è andata quasi subito, brillante stella dei tropici (o giù di lì), può durare una sola estate.
Questa pianta viene chiamata anche Mandevilla splendens, ma i due nomi dovrebbero essere sinonimi. La famiglia è quella delle Apocynaceae, oleandri, pervinche e del falso gelsonimo (rincosperma o trachelosperma, 13 giugno 2009); ma quest’ultimo al freddo è un po’ più resistente.
aggiornamento : dai tempi di questo post, ho avuto un’altra Dipladenia messa a dimora nello stesso posto e sopravvissuta per tre anni, fioritura tardiva, ma generosa.
Limoniastrum
Pianta pioniera dei litorali sabbiosi, cresce su suoli salmastri a impasto leggero. In Italia, allo stato spontaneo pare che sia presente soltanto nell’estremo Sud, Puglia, Calabria e isole maggiori. Detto anche ‘statice’, statice cespugliosa o limoniastro cespuglioso, in italiano. Il nome vero invece è Limoniastrum monopetalum e non saprei la ragione, l’ arcano segreto botanico dietro questo strambo nome per un fiore che di petali apaprentemente ne ha 5. In realtà non si tratterebbe di petali, ma di lobi in cui è divisa la corolla tubiforme. Forse monopetalo perchè, a differenza del Limonium, genere arcano, ma diffuso sulla penisola a macchia di leopardo, i fiori sono quasi sempre isolati, in spighette molto distanziate. Azzardo, ma non confermo. Il fiore l’ho visto alla villa Hanbury, molto più a Nord della zona di diffusione, e l’ho trovato bellissimo. Così ruvido e selvatico, come cosparso di sale, grigio e peloso, corazzato contro l’erosione del sole, roseo e delicato, come una violacciocca. Ma con quest’ultime non ha nulla in comune. E’ imparentato invece con la plumbago (9 agosto 2009) e il ceratostigma (29 settembre 2009), della stessa famiglia, plumbaginaceae.
Chlorophytum
Sembra un giglio, il bianco minuscolo fiorellino del clorofito, modesta e generosa pianta da appartamento, che tutti prima o poi abbiamo provato a crescere e propagare, tuffando nell’acqua le rosette di foglie che spuntano dai fusti sottili. Tutti quei ciuffetti che lo adornano gli danno un aspetto da ragazzino scarmigliato, particolarmente grazioso nella varietà on foglie verde pallido a righe bianche.
Non è sembra un giglio, troppo microscopico il fiorellino per potersi fregiare di quel nome, ma in realtà è proprio della famiglia dei gigli, le liliacee. Originario dell’Africa meridionale, la specie più comune è c.comosum, che significa dotato di chioma, cappellone insomma.
Zucche
Ho fatto del mio meglio, ma questa zucca gigante cresciuta su una fascia fra malve, reti e steccati, non si lasciava fotografare molto bene. Il colore è quello del “pumpkin” di Halloween, per il quale tuttavia la scelta cade su una varietà non propriamente commestibile.
Comunque ormai siamo nella stagione delle zucche, la stagione in cui le competizioni per chi produce la più grossa e originale si moltiplicano. Fra le stranezze che si vedono in giro, sono gli zucchini (o zucchine che dir si voglia) rampicanti, ricadenti o a pergolato. Le mie zucchine tradizionali (19 giugno 2008), erette o comunque sostenute verticalmente, hanno chiuso la loro storia per quest’anno (hanno prodotto in quantità, inutile forzarle). Invece le loro parenti striscianti, lunghe o tozze, contorte e itineranti, fanno capolino dappertutto.
Sotto a sinistra, eccone due fotografate penzolanti su un muretto di pietra di una fascia a Cassagna di Nè in Val Graveglia, nell’ agosto 2007; a destra invece, una zucchina pendente dal curioso pergolato vicino a casa mia.
Stella egiziana
Grazie a una gentile amica del forum di giardinaggio.it (grazie, Anna!!), ho imparato il nome di questa graziosissima pianta da giardino, e da vaso, che avevo incontrato l’anno scorso sulla via principale del paese di Zuccarello (Savona, vedi 17 settembre 2009). Della famiglia delle rubiaceae, è un piccolo arbusto sempreverde e soffre le basse temperature; così è preferibile sistemarla in vaso, per poterla mettere al riparo nella stagione fredda. Oppure, più semplicemente, si può coltivare da annuale e seminare nuovamente ogni nuova primavera. Se il tempo è clemente, può fiorire fino a inverno inoltrato. Il nome Pentas dovrebbe derivare dalla forma dei fiorellini, una base tubulosa che si apre a formare una stella a cinque petali. Venti o più di questi fiorellini, ognuno sorretto da un breve stelo, si raggruppano in cima ai fusti e formano infiorescenze a ombrella. Anche in inglese la pianta ha un nome simile, ‘Egyptian star cluster’, il che mi fa sospettare venga veramente dall’Egitto; tuttavia non ne ho trovato la conferma da nessuna parte.
Alberi monumentali
Anche sulle sponde del Mediterraneo, nel nostro piccolo, abbiamo alberi monumentali. Non sono le grandi latifoglie, i giganteschi faggi, frassini e olmi del Nord Europa. Sulle sponde del Mediterraneo gli alberi centenari più maestosi sono principalmente conifere(1). A Villa Hanbury se ne incontrano diversi, di origine esotica o lontana, come questa’araucaria del Queensland (Australia), Araucaria cunninghamii (foto a sinistra), seminata da Daniel Hanbury, fratello di Thomas, il creatore del giardino, nel 1872. E nel nostro piccolissimo, anche nei parchi di Nervi a Genova prosperano due giganti simili, Araucaria bidwillii (27 dicembre 2009) e Araucaria cookii (29 dicembre 2009), anche se non conosco la loro data di nascita.
Molto difficile, per una dilettante come me, fotografare gli alberi monumentali del giardino, se non come maestosa silhouette scura contro il cielo. Così si presentava dal basso il maestoso Cupressus lusitanica (foto a destra), nato da semi donati a Thomas Hanbury da Gustave Thuret di Antibes nel 1869. Nonostante il nome, che farebbe pensare al Portogallo, questa pianta è originaria del Messico e Centro America dove viene chiamata cedro bianco. Data l’altezza, non ho notato troppo nè foglie nè coni, ma appaiono abbastanza simili a quelli del cipresso comune.
(1)Notevole eccezione a questa osservazione sono i Ficus macrophylla siciliani
Orecchie di elefante
Presso il prezioso stagno della fontana del drago, accanto ai papiri, di fronte alla canoviana ‘schiava’ di marmo bianco, crescono le colocasie, soprannominate orecchie di elefante. Le tartarughine ne sono ghiotte e mordono con avidità i larghi lembi.
Altre piante simili della famiglia delle araceae (come il gigaro, 12 gennaio 2009, e la calla, 2 maggio 2010) si sono guadagnate questo soprannome per le vaste foglie dondolanti; così a volte le orecchie di elefante rispondono al nome di alocasia, verdi con macchie brune.
Nel Ponente ligure, si incontra di frequente anche come pianta ornamentale, in vasi per le strade, questa Colocasia, che mi pare assai simile a quella della villa, con tenue macchiette gialle ai bordi. Qui è stata fotografata in un vicoletto della frazione di Valloria (Prelà, Imperia).
Nel suo paese di origine, la Polinesia, si chiama taro ed è una pianta alimentare, di cui si consumano i tuberi, ricavandone anche amido e farina, e le foglie. Non mi azzarderei ad assaggiare queste colocasie da giardino, forse soltanto perchè ignoro i trattamenti che hanno subito per mantenerne la bellezza anche così lontano dalla loro regione di nascita. Ma apprendo che il taro, con altri nomi, è alimento essenziale anche in certi paesi dell’Africa e in America meridionale.