Aglio delle streghe

Aglio delle streghe

Allium coloratum

Questo aglio dalla chioma floreale scarmigliata, sia esso esso Allium coloratum, Allium pulchellum, oppure Allium carinatum, o ancora Allium carinatum subsp. pulchellum (c’è sempre una certa confusione fra i nomi, almeno per me), si è guadagnato fra tutti il nomignolo di aglio delle streghe. Ma non certo perché le antiche fattucchiere disdegnassero le altre specie, primo fra tutti quello coltivato, Allium sativum. Piuttosto forse per quel suo aspetto  così pittoresco e per essere pianta selvatica e vagamente misteriosa. Sono contenta di averlo incontrato oggi, lungo lo sterrato che conduce alle Miniere di Gambatesa in Val Graveglia (comune di Ne, Genova), lo stelo diseccato, ma il fiore ancora coloratissimo, come si conviene a un’erba un po’ magica.

Sembra che la parola Allium, derivi da un etimo celtico “all” che significa bruciante, con riferimento al sapore acre e pungente dell’aglio coltivato per cucina (Allium sativum) e di altre specie selvatiche. Nonostante l’odore penetrante e il sapore talvolta sgradito, tutte le specie di Allium sono commestibili e ogni parte della pianta trova un significativo impiego in cucina, dalla cipolla (Allium cepa) al porro (Allium ampeloprasum) fino all’erba cipollina (Allium schoenophrasum).  Le specie di Allium sono migliaia e ben note sono anche le loro proprietà officinali, antisettiche, ipotensive, balsamiche, antireumatiche, diuretiche, vermifughe, stimolanti, digestive, e espettoranti. Ma le antiche fattucchiere lo usavano per scacciare il malocchio, il diavolo e i vampiri e per questi poteri non è mai stato secondo a nessun’altra pianta. Mi piace pensare che sia proprio la sua ambivalenza, la pessima fama di chi lo consuma e lo fa sentire, contrapposta alle virtù salutistiche che possiede, che lo renda particolarmente intrigante per le arti magiche, come una pianta che repelle e cura.

Qualche altro post sul genere:
Allium roseum
Allium ursinum
Aglio con podalirio
Allium triquetrum
Allium sphaerocephalon

Agavi

Agave americana

Agave americana

Sulla scogliera di Sori, poco sotto al cimitero, le agavi sono in fiore. Ne ho contato tre, altissime infiorescenze giallo verdi, così imponenti da spaventare. Una sola si staglia abbastanza bene contro il cielo da risaltare in questa fotografia rubata dalla spiaggia. Il fiore è ancora florido e sfolgorante, ma il suo destino è segnato.  Come tutti sanno, quando il fiore va in frutto, la rosa di foglie carnose alla base ha terminato il suo compito e muore. E’ curioso che desti stupore la morte delle foglie dopo il frutto. Succede a moltissime altre piante. Le piante annuali, come la maggior parte dei prodotti dell’orto, si riseminano ogni primavera. Le biennali, come la carota, crescono soprattutto radici e foglie durante la prima stagione, vanno a fiore e frutto nella seconda, e poi sfioriscono e muoiono.
Naturalmente l’agave è diversa. Arriva dal Messico, dove ne esistono circa 300 diverse specie, e dove ha anche un valore commerciale perché dalle sue fibre viene estratta una bevanda alcoolica. Da diversi secoli ormai viene coltivata come pianta ornamentale in tutta la regione mediterranea. E’ una monocotiledone ed è stata definitivamente inserita nella famiglia delle Asparagaceae, con agli e giacinti. Cresce per 10, anche 15 anni prima che compaia finalmente, per la prima e l’ultima volta, il lungo stelo fiorito. Ma quando il frutto muore non ha neppure bisogno di rinseminarsi per ricrescere, perché la rosetta si riproduce facilmente per via vegetativa attraverso polloni radicali. Come dire che già sotto le foglie morte rinascono subito nuovi germogli. E allora non è vero che quell’infiorescenza immensa che sale alto alto sopra la sua foglia madre sia una specie di figlio snaturato che toglie la vita a chi lo ha messo al mondo. Le piante come l’agave sono più lungimiranti, sanno che è giusto che il vecchio si faccia da parte per far posto ai giovani virgulti.

(ripreso dal mio vecchio blog del 9 settembre 2008)

Genziana gialla

Genziana gialla

Gentiana lutea

La genziana più celebre, conosciuta e usata fin dall’antichità, non è azzurra, ma gialla. E’ la genziana maggiore, Gentiana lutea, una delle piante più citate nei testi dei medici naturalistici classici e moderni.
Questa pianta solida, imponente e sgargiante, è stata così ricercata e cacciata in tutti i tempi da mettere a repentaglio la sua sopravvivenza. Ma per fortuna si trova ancora facilmente, nei pascoli di mezza montagna, fra i 600 e i 2500 metri di altitudine, come in queste foto scattate nel parco regionale del Monte Antola, nei pressi del monte Pecoraia a circa 1400 metri.
Le foglie così simili a quelle del veratro, pianta assai velenosa, potrebbero, e certamente hanno tratto in inganno più di un malcapitato alla ricerca delle virtù officinali della genziana. Ma se le piante si osservano con pazienza e attenzione, l’errore è facilmente evitabile perché le foglie della genziana sono opposte, appaiate a formare coppe che alloggiano i bei fiori a forma di stella, mentre quelle del veratro sono alterne, pelose nella pagina inferiore e con nervature strettamente parallele.

Genziana gialla

Gentiana lutea

Chiamata anche genziana ‘anziana’, i suoi tesori sono racchiusi nelle radici, che venivano raccolte dal secondo anno di vita, dopo la caduta delle foglie. E’ un toccasana per i problemi di stomaco, ma utilizzata  dalla medicina popolare per una grande varietà di problemi di salute, dai morsi dei serpenti, alle affezioni oculari, dai disturbi del fegato fino, prima dell’avvento del chinino, alla malaria. Ingrediente principale di tanti liquori alpestri, vini digestivi e decotti, il suo gusto è spiccatamente amaro. La tradizione vuole che  un pezzo di radice di genziana nella grappa ne esalti il sapore e funzioni anche da corroborante per vincere il freddo.

Due malve

Due malve

Malva sylvestris
Malva multiflora

Due fra le più semplici malve di prato si incontrano sul ciglio della strada e insieme fioriscono, brillanti e delicate.
La malva selvatica, la più comune, è un fiore vistoso dai contorni netti e morbidi, è un colore e una storia. Rustica, selvatica, rozza, cresce dappertutto e non muore mai. C’era una grande pianta di malva al bordo del prato, è stata estirpata sei volte, e strappata, e letteralmente sbranata dai cani, e ancora rinasce ogni primavera, alta e prospera come nuova.
La seconda, più chiara nella foto e con le foglie più dentellate, dovrebbe essere della specie Malva multiflora, in precedenza attribuita al genere Malope e a volte al genere Lavatera (oggi soppresso), non è molto diversa dalla sua sorella maggiore e più nota. Le differenze sono particolari da botanici, ma le distinguiamo anche noi profani, quando sono così vicine.

 

Altre malve descritte in precedenza nel blog:
Malva muschiata
Malva domestica
Nel greto del Bisagno

Geranio purpureo

Geranio purpureo

Geranium purpureum

E’ molto simile all’erba di San Roberto, Geranium robertianum, (vedi 30 aprile 2008), però i suoi fiorellini sono più minuti e anche le foglie un po’ più piccole. Fino a poco tempo fa era quasi raro incontrarlo e la specie robertianum era di gran lunga più diffusa.  Ma pare che stia conoscendo una stagione di grande diffusione, diventando in poco tempo una presenza costante ai bordi della strade e delle ferrovie, grazie anche alla sua tolleranza della siccità (specie xerofila).

Fiori da vigna

A capo dei filari nelle antiche vigne di Camillo Benso, a Grinzane Cavour, sbocciano le rose. Non sono messe a caso, e non per la loro bellezza. Si dice che le rose servano da indicatori del morbo bianco, lo oidio, e la loro contaminazione precede di un poco quella delle viti, fornendo un vantaggio al viticoltore accorto per prendere per tempo le misure adeguate a salvare la sua preziosa piantagione.

Vitis vinifera – Grinzane Cavour (CN)

Le viti vengono accuratamente potate con il metodo Guyot che lascia sulla pianta un tralcio corto con due gemme – lo sperone – che darà origine al capo a frutto dell’anno successivo, e un tralcio più lungo, di un anno – il capo a frutto – che porta un certo numero di gemme ibernanti.

Trifolium incarnatum
Fumaria officinalis

Fra i filari cresce erba rigogliosa e vari fiori colorati,  trifogli dai lunghi capolini cilindrici rosso vivo (Trifolium incarnatum),  contorte fumarie dai microscopici fiori di intenso color rosa (Fumaria officinalis) e strani fiori viola. Strani perché non li ho mai visti e scopro che sono effettivamente una specie neofita di origine americana, e anche se probabilmente sono qui già da un certo tempo, sono ancora classificati come alloctona casuale. E’ la facelia a foglie di tanaceto (Phacelia tanacetifolia) con i suoi bei gruppi di fiori brillanti disposti in una singolare infiorescenza a spirale detta scorpioide. Proprio dalla forma dell’infiorescenza, a fascio o mazzo, deriva il suo nome, mentre le foglie, profondamente incise e seghettate ricordano veramente quelle del Tanacetum vulgare (vedi 24 luglio 2008), da cui l’epiteto specifico.

Phacelia tanacetifolia
Infiorescenza scorpioide

Benefica intrusa, la facelia è ricca di polline e nettare che attira le api e altri insetti ed è perciò un’eccellente mellifera. Ricca di sostanze azotate, è ottima anche per il sovescio, una pratica che serve per rinvigorire i terreni impoveriti, specie in presenza di monocolture, come è appunto quella della vite.

Phacelia tanacetifolia

Inoltre la facelia è una pianta egoista e dove cresce rilascia nel terreno sostanze chimiche che impediscono la crescita di altre specie vegetali. Diventa così una specie di diserbante naturale, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ne conseguono.
A causa delle sue proprietà questa pianta viene frequentemente coltivata e non è facile prevedere se questa scelta si rivelerà vincente anche nel lungo periodo, tuttavia per adesso sembra gradita e felice.

Euforbia catapuzia

 

Euforbia catapuzia

Euphorbia lathyris

C’è un’estranea in giardino e non sembra proprio un’erbetta gentile e digeribile. L’euforbia catapuzia però ha un bell’aspetto e un portamento altero e abbiamo deciso di lasciarla stare e osservarla per un po’. Sta crescendo bene, e prima o poi fiorirà. Appartiene alla famiglia delle Euphorbiaceae, piante belle e dannate, facilmente riconoscibili dal liquido biancastro e appiccicoso che sgorga alla rottura di una qualsiasi delle loro parti. Un lattice caustico, buono per estirpare porri e verruche e un tempo impiegato come purgante, tuttavia così potente  da poter causare esiti fatali se usato a sproposito. La leggenda vuole che il nome derivi da quello di un famoso medico, Euforbo, che con essa aveva curato il re Giuba della Numidia, fratello di Tolomeo e signore delle due Mauritanie. Non sappiamo se in questo caso la pianta era stata usata per uso esterno o interno, ma certamente la medicina moderna ne ha abbandonato l’impiego a favore di altri preparati meno aggressivi.
L’euforbia catapuzia è una pianta a ciclo bienne ed essendo comparsa nel giardino l’anno scorso, scomparirà quest’anno dopo la fioritura, salvo riseminarsi e ricomparire come pianta nuova. Originaria dell’Asia, si è da tempo stabilita come alloctona naturalizzata in Liguria, non molto comune, ma neppure rara, utilizzata come ornamentale e bene accetta negli orti perché sembra possedere la capacità di allontanare, con l’odore delle sue radici, le talpe dai coltivi.

Tutte le euforbie sono piante a loro modo straordinarie, a cominciare dalla superstar Euphorbia pulcherrima o stella di Natale che ho recentemente incontrato in tutto il suo splendore arboreo ai giardini Hanbury di Ventimiglia, fino all’imponente euforbia arborea, o la magnifica euforbia cespugliosa. Più discrete, ma non meno attraenti, euforbia cipressina, euforbia spinosa e euforbia mandorlo, invadenti e impudenti,  le più piccole, euforbia calenzuola e euforbia minore.

Cotognastro

Cotognastro - Cotoneaster dammeri

Cotoneaster dammeri

Il cotognastro è un piccolo arbusto dai fiori bianchi e dalle bacche rosse, che forma piccole siepi decorative. Appartiene alla famiglia della Rosaceae e i suoi frutti colorati ravvivano l’inverno.

Scrive Rosa Luxemburg in una lettera all’amica Sonja Liebknecht dal carcere di Breslavia nel dicembre 1917 (1):
“Avete raccolto un bel mazzo di bacche (…) rosaviolacee nello Steglitzer Park? (…) Nascoste sotto minute foglioline, potrebbero essere quelle del cotognastro; invero dovrebbero essere rosse, ma in questa tarda stagione sono già troppo mature, cominciano a guastarsi e spesso allora assumono un colore tra il rosso e il viola; le foglioline somigliano a quelle del mirto, sono piccole, appuntite all’estremità, sulla parte superiore sono di color verde scuro e di consistenza coriacea, mentre sulla parte inferiore sono ruvide.”

Cotognastro

Cotoneaster lacteus

Non trovo nulla da aggiungere a questa descrizione davvero accurata in cui penso di riconoscere la specie Cotoneaster dammeri che cresce anche nel mio giardino, quasi dimenticato in un angolino, ma sempre pronto a regalare le sue candide fioriture e colorati frutti. Altrettanto ricche di dettaglio sono le osservazioni di Rosa sulle altre bacche trovate dagli amici nel parco:
“Quanto alle bacche nere, potrebbe trattarsi di sambuco, i suoi frutti pendono in grappoli fitti e pesanti fra grandi foglie pennate e a ventaglio (…), oppure, più probabilmente si tratta di ligustro: dritte pannocchiette di bacche, slanciate e graziose, e foglioline verdi lunghe e sottili.”
Questo vivace interesse per il mondo vegetale sorprende un poco da parte da una donna che aveva votato la vita ad altre, ben più rigide e severe discipline, e che si rivela tuttavia un’osservatrice sensibile e appassionata.

Cotognastro - Cotoneaster lacteus

Cotoneaster lacteus

Più gentile e minuto dell’aggressiva piracanta, sua spinosissima parente, più rigido e coriaceo del silvano biancospino, magico abitante dei boschi, le numerose specie di cotognastro, con le loro piccole foglie tenaci e persistenti, si prestano non solo per piccole bordure, ma anche ad abbellire muri e rocce. Il nome Cotoneaster significa che ha foglie simili al cotogno, caratteristica tipica di alcune specie. Ma forse perché le foglie sono alquanto più minute e i frutti decisamente non commestibili, il nome italiano cotognastro ha quell’accento dispregiativo che la graziosa pianticella non meriterebbe.

Cotognastro

Cotoneaster horizontalis

Più morbido ed elegante del C.dammeri è il Cotoneaster lacteus, così detto a causa del colore biancastro non tanto dei fiori, ma anche del retro delle foglie. Originarie dell’Asia orientale, entrambe le specie non si trovano allo stato spontaneo in Liguria, anche se si sono naturalizzate in altre regioni italiane. Sono tuttavia  largamente utilizzate per l’arredo verde, anche nelle città.
Particolarmente decorativo è il C. horizontalis, originario della Cina, che si incontra naturalizzato e spontaneo anche in Liguria. L’esemplare della foto si trova nel parco della Burcina vicino a Biella.

(1)Rosa Luxemburg ‘Un po’ di compassione’ Adelphi 2007

Terebinto

Terebinto

Pistacia terebinthus
Monte Triggin ott 2002

Il terebinto è differente. E’ un bellissimo arbusto mediterraneo, ma d’inverno si spoglia. Così mentre mirti e olivi, i corbezzoli, gli alaterni e i ginepri verdeggiano nella macchia per tutto l’anno, e così anche il lentisco, che del terebinto è stretto parente (non solo della stessa famiglia, anacardiaceae, ma addirittura dello stesso genere, Pistacia), le foglie di questo alberello, lucide, ovali con il margine liscio e le nervature marcate, si stanno già colorando di rossiccio. Devo tornare nella macchia prima che il terebinto perda le foglie. Sui corti rametti, fitte eppure sparse, quasi smarrite, rimarranno ad annerire le bacche rosse.

Terebinto

Pistacia terebinthus
Castelvecchio di Rocca Barbena sett 2022

Non è una stranezza. Il suo parente più celebre Pistacia vera, quello dai cui semi si fa il famoso gelato, è ugualmente deciduo. Il pistacchio e il terebinto sono veri fratelli di sangue. Il terebinto, grazie al suo robusto apparato radicale che lo rende resistente alle avversità del clima, viene utilizzato come porta innesto del pistacchio commestibile e le due specie possono ibridarsi. Il pistacchio vero è una pianta coltivata, e non è chiaro se sia presente selvatica, o meglio inselvatichita, e comunque solo nelle regioni del Sud, soprattutto in Sicilia dove viene prodotto. Riporta Actaplantarum: “le piante di pistacchio coltivate in Italia sono esclusivamente individui femmina di P. vera innestati su P. terebinthus, impollinati da individui maschi di P. terebinthus o ibridi tra le due specie. Escludendo errori di identificazione o errori con residui di piante coltivate o con individui di P. terebinthus dotati di foglie più grandi (questi sono i casi registrati dall’Italia), le piante autentiche di P. vera trovate in natura possono provenire da scarti di potatura.”

La fotografia in alto, come quella che si trova in questa pagina, ove  si vede la differenza fra i due gemelli diversi, lentisco e terebinto, è stata scattata sul monte Treggin, entroterra di Sestri Levante, ottobre 2002. La seconda fotografia qui sopra è del settembre 2022, lungo la strada nei pressi di Castelvecchio di Rocca Barbena (SV), antico paese feudale della val Neva che conserva intatto l’ambiente medioevale.