Un’altra orchidea sarda, come quella di ieri, fotografata alla Giara di Gesturi (Oristano). Un’altra orchidea che potremmo semplicemente chiamare orchis lactea, orchidea lattea, per il color crema dei petali superiori (ma il labello è a puntini rosso viola). Ma la nomenclatura più recente assegna al suo genere il nome di neotinea, in onore del botanico siciliano Tineo (1791-1856), che pubblicò fra l’altro un celebre catalogo di piante. In realtà è così simile al genere orchis che la distinzione è davvero da specialisti. Questa orchidea è diffusa nel Centro Sud Italia e nelle isole, ma non si trova a nord della Toscana. Anche se in Sardegna è diffusa, scoprire questi fiori e contemplarli è sempre un piacere intenso, una scoperta emozionante. Le orchidee selvatiche sono soggette a protezione totale su tutto il territorio. Per molti appassionati un ritrovamento è qualcosa da tenere segreto o divulgare soltanto ad amici fidati. Ma non per egoismo o gelosia, soprattutto per poter sperare di ritrovarla ancora nella prossima primavera.
Orchide cornuta
Oltre le iridacee, le orchidee selvatiche fioriscono in primavera, e per lo più in primavera soltanto.
Il mondo delle orchidee è complesso e misterioso e accanto a orchidee comuni quasi dappertutto nel territorio italiano e mediterraneo, ci sono molte specie regionali e rare, che pur rassomigliandosi sono caratterizzate da raffinate diversità. I botanici poi ci mettono tutto l’impegno possibile per scombinare le carte, aggiornando i nomi e allungandoli, e ritoccando le attribuzioni. Questa orchidea sarda (sempre Giara di Gesturi, fra marzo e aprile dello scorso anno) è una sottospecie di anacamptis morio (vedi orchis morio o giglio caprino), per esteso si chiama Anacamptis morio (L.) R.M. Bateman, Pridgeon & M.W. Chase subsp. longicornu (Poir.) H. Kretzschmar, Eccarius & H. Dietr., che tutt’insieme sembra davvero il nome di un nobile di alto lignaggio, che possa fregiarsi di svariati titoli. Ma dato che il corno questo fiore ce l’ha davvero lungo, basta chiamarla anacamptis longicornu, dove anacamptis deriva dal greco ‘ripiegarsi’.
Romulea
Con l’inizio della primavera, esplodono le fioriture delle iridacee, raffinate e discrete, impalpabili e perfette. La romulea è una delle più piccole, assomiglia a un piccolo croco, tanto che annovera fra i suoi nomi comuni anche quello di zafferanetto (ma quanti zafferani, zafferanetti, zafferanastri, zafferanoni e zafferani bastardi si incontrano dovunque!). Diversamente dai crochi, i piccoli fiori sono sorretti da un stelo e spesso sbocciano in gruppi ravvicinati in cima allo stesso stelo. Hanno forma di stella, con 6 tepali tutti uguali di vario colore, dal bianco al giallo, al rosa al viola pallido o intenso. Sono piccole stelle fugaci perchè la loro fioritura dura soltanto poche settimane.
Questa Romulea ligustica in Liguria è una rarità, secondo gli esperti si trova soltanto in tre località e non so neppure quali (ma una dovrebbe essere in comune di di Genova …). Rara, credo, anche in Corsica, è invece ben rappresentata in Sardegna, dove appunto l’ho fotografata durante il mio giretto l’anno scorso in Marmilla (provincia di Oristano), sulla Giara di Gesturi.
Un altro sparviere
Dello sparviere ho già detto (29 ottobre 2009), genere assai comune da queste parti. Dopo molte esitazioni (ho sperato che si trattasse di Hypochaeris maculata, la preziosa lattuga macchiata dei prati), ora sono certa che la determinazione è corretta. Il signor G.Gottschlich, interpellato da actaplantarum, che è veramente un grandissimo esperto di Hieracium, genere che dà del filo da torcere anche agli appassionati, ha detto che si tratta di Hieracium bifidum Kit. ex Hornem. s.l. . Fa parte del gruppo Hieracium murorum e il suo nome comune è Sparviere inciso.
Ma non è proprio una specie particolare, cresce un po’ dappertutto, cresce in prossimità di boscaglie, pinete, scarpate e pendii sassosi, quindi in abbondanza sulla pietra ripida che fiancheggia la strada, ed è un’adorabile randagia. I fiori ancora piccoli e chiusi, si fa notare per le foglie a macchie nere e rossicce, ovvero ‘maculate di porpora’. Proprio come quella lattuga macchiata (che però è diversa perché le foglie basali sono prive di picciolo, ovvero sessili), che ancora mi sfugge.
Rosetta di foglie
Le piante cominciano così, con una rosetta di foglie basali, e dal colore, dalla forma, dalla pelosità e dalla consistenza sarebbe bello riuscire a riconoscerle. Sarebbe utile perchè alcune sono commestibili. Altre velenose.
La storia però non è così semplice. All’inizio ci sono due minuscole foglioline, perse nell’erba, oppure sulla terra brulla dell’inverno. Se sono due, la pianta è una dicotiledone (la maggior parte delle famiglie sono dicotiledoni), se invece la prima foglia è uno stelo dritto e isolato, è il germoglio di una monocotiledone, una classe a cui appartengono le eccelenti famiglie delle graminacee, delle liliacee e delle orchidee.
Ma torniamo alla nostra rosetta. La capacità di riconoscere una pianta dalle prime foglie non è da dilettanti, nè, come direbbero gli americani, da anime prive di coraggio (faint-hearthed). Le foglie che si presentano un po’ come nella foto, che compaiono a frotte nei prati soprattutto di questa stagione, sono di piante che appartengono quasi sempre alla famiglia delle asteracee. Cioè crescendo i loro fiori avranno all’incirca l’aspetto di una margherita. O di un tarassaco. Se questa rosetta appartiene come credo alla Picris hieracoides, volgarmente detta aspraggine (ma aspraggine si chiamano volgarmente anche altre Picris sp), la specie è commestibile, anche se non prelibata. Cercherò di tenerla sottocontrollo per riconoscerla quando sarà cresciuta, con i suoi capolini gialli, tutti ligulati, con le ligule esterne striate di rossiccio. Uguali ai capolini di tante, troppe asteracee, così simili fra di loro, eppure così diverse.
Fiori di albicocco
Silene bianca
Incantevoli fiori di campo, delicati come merletti, ci regala questa silene dalla lunghissima fioritura. Mi sorprende in un campo sotto la strada di casa, purtroppo recintato tanto che non riesco a fotografarla da vicino senza teleobbiettivo. Ero certa che fosse una silene, ma esitavo sulla specie per tutta una serie di ambiguità del genere che mi rendevano titubante. Questa specie è talvolte considerata sottospecie della Silene latifolia, ovvero Silene latifolia subsp. alba, differente da Silene latifolia subsp. latifolia, assente in Liguria. La chiamo oggi silene bianca,e quindi Silene alba, un nome che le rende giustizia e le sta bene.
Per colpa della forma dei calici dei fiori, particolarmente vistosa nella Silene vulgaris (nome volgare silene rigonfia, 16 giugno 2009), questo bel fiore si è meritato il nome un po’ grottesco del compagno di Bacco, Sileno, dal ventre sempre gonfio come un otre per gli eccessi nel bere. Questa specie è assai comune, predilige suoli azotati ed è frequente nelle zone orticole e antropizzate, dove fiorisce da marzo fino ad autunno inoltrato.
Draba primaverile
I fiori di campo mi sorprendono nei luoghi più inaspettati con la loro fantasiosa diversità. Si direbbe che nelle aiuole di un centro commerciale padano si possa trovare al massimo parietaria e qualche gramigna, cartacce e polvere. E invece le scoperte sono in agguato anche qui, come già scrivevo qualche giorno fa presentando Erodium cicutarium. Proprio vicino al becco di gru, in quella stessa aiuola del parcheggio della fiera di Montichiari (Brescia), avevo scoperto una pianticella sconosciuta, una rosetta di foglie pelose, microscopiche infiorescenze candide, frutti a siliquetta. Tutti gli elementi mi facevano pensare a una brassicacea, tranne quei fiori a stella con corolle di otto (8?) petali. Le brassicacee si chiamano anche crucifere perchè le corolle sono rigorosamente composte da quattro petali disposti a croce (vedi per esempio Eruca sativa, la rucola, 13 ottobre 2008). E neppure la piccola draba sfugge alla regola, se non perchè i suoi quattro petali sono così profondamente incisi da farsi doppi e sembrare otto. Alla fine ero ben convinta che fosse una crucifera, perchè troppi erano gli elementi che lo facevano supporre, ma non avrei trovato il nome giusto in una famiglia che conta circa 300 generi diversi, per la maggior parte presenti in area mediterranea. Così ho cercato un aiutino, questa volta nel forum di Natura Mediterraneo e in men che non si dica è venuto fuori il nome. Un nome che è tutto un programma perché significa letteralmente ‘amante della primavera primaverile’ e fa capire che questo è il momento giusto per ammirare la piccola signorina in tutta la sua bellezza e freschezza. Precocissima, ha già pronti i piccoli frutti, gonfi di semi in crescita. La mia idea pazzerella di un atlante dei fiori che spuntano nelle aiuole dei centri commerciali e simili mi attira sempre più.
Giacinto
Saluto la primavera con questo fiore, splendido, ma vagamente perverso, perchè velenoso. Pianta di origine asiatica, il suo nome ha origine mitologiche. Giacinto era un giovane spartano molto caro ad Apollo (Febo per i greci) con il quale il dio si intratteneva negli esercizi ginnici. Sennonchè un giorno Apollo, nel lanciare il disco, lo colpì involontariamente e lo uccise. Per perpetuarne il ricordo, Apollo dal suo sangue fece nascere un fiore. Giacinto significa in greco ‘fiore rosso’, perchè del colore del sangue da cui è stato generato; ma in realtà i giacinti sono di svariati colori, anche azzurri, violetti o bianchi.
Fioritura precocissima, in Italia il giacinto è comune nei giardini, e esiste allo stato spontaneo in sporadici casi di piante sfuggite alla coltivazione e inselvatichite. Queste piante sono in generale più esili, con fiori più sparsi e spighe meno compate di quelli che si trovano dai fiorai.
In questo prato, a San Matteo della Decima (comune di San Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna), in pianura padana, il giacinto è stato certamente piantato a scopo ornamentale, ma alcuni esemplari più piccoli erano presenti sparsi nei prati vicini, piccoli figli un po’ temerari e forse destinati a perdersi velocemente. Si riconosce facilmente per i fiorellini di forma tubolare con apertura a stella, dall’intenso profumo.
Ippocastano
Difficilmente sarei riuscita a riconoscere come ippocastano quest’albero di media taglia, spoglio, ma provvisto di vistosi germogli conici, da cui spuntano le prime foglie già formate. Ora, osservandone l’ingrandimento, mi pare di riconoscere le nervature profonde delle foglie dell’Aesculus, foglie a ventaglio composte di 5-7 foglioline a punta e margine dentellato. Fra qualche settimana le foglie saranno inconfondibili e presto l’albero si mostrerà in tutta la sua prestanza, offrendoci i suoi spettacolari fiori a pannocchia.
Fotografato in località San Matteo della Decima (comune di San Giovanni in Persiceto, Bologna).
Altre immagini dell’ippocastano, albero comunissimo nei viali urbani:
le foglie prima che cadano (10 dicembre 2008)
la fioritura (19 aprile 2009)
un altro Aesculus