L’ortensia, quella comune, che sboccia sfacciatamente in tutti i giardini di campagna (ma mai per caso),quella con fiori a palla rosa o azzurra, e il colore dipende dall’acidità terreno, quell’ortensia che resiste all’inverno, fresca e impavida (vedi 3 gennaio 2009 quell’ortensia, ovvero hydrangea macrophylla (4 luglio 2009), non è pianta ricercata, nè nobile. Bella sì, come una ragazza di campagna che sa presentarsi, ma raffinata non sarà mai. Snobbata perfino (oh no, l’ortensia no …), come se se ne potesse fare a meno.
Ma le altre ortensia, a cominciare dalla lussuosa quercifolia (25 settembre 2009) fino a questa signorile hydrangea paniculata “white lady”, quelle sono diverse. Quelle sono signore. Tutti i fiori più appariscenti delle ortensie sono sterili, ridotti a sepali colorati che mascherano i fiori veri, nascosti nel profondo dell’infiorescenza. Quelli della paniculata sono profumati e disposti in infiorescenze allungate a forma di piramide.
Epilobio irsuto, garofanino d’acqua
Scesa dal dorso del cavallo (come raccontavo il 7 giugno 2009), ho incontrato questo piccolo fiore. L’epilobio irsuto, detto anche garofanino d’acqua o viola di palude, predilige i luoghi umidi e i fossi. Io invece lo incontro sul bordo di una strada carrozzabile, quella che porta a casa mia, proprio sul colle di Bavari, delegazione genovese d’altura a 315 m slm. Chissà che cosa lo ha portato là, nel fossetto, fra asfalto e cemento, forse le piogge abbondanti degli ultimi mesi che hanno trasformato i bordi delle strade in rigagnoli per tre giorni su quattro. Il fiorellino è proprio grazioso, come si conviene a un epilobio, pianta umile, ma raffinata, coloratissima sui pendii di mezza montagna.
Il più comune è Epilobium angustifolium (21 agosto 2008) o garofanino maggiore. Il nome garofanino gli viene certo dal colore, che è assai simile a quello del Dianthus, il garofanino selvatico (10 luglio 2008). Ma la famiglia è differente, caryophyllaceae quella dei i garofani, onagraceae quella degli epilobi.
Anche l’epilobio irsuto ha proprietà officinali, ed era utilizzato dalla medicina popolare per lenire le infiammazioni della gola e curare le ferite; e quel cotone che sta dentro i frutti (sono i pappi, le piccole ali dei semi, che servono per sorreggere il loro volo verso nuova terra) veniva impiegato come stoppaccio per lampade.
Evonimo
L’evonimo alato è molto simile all’e. europeum o fusaggine (vedi anche il vecchio blog, 12 agosto 2008 e 31 dicembre 2009), ma ha foglie più piccole e lievi. Viene dall’Asia ed superfluo specificare che si tratta di una pianta ornamentale, anche perchè tutti gli evonimi sono velenosi.
Queste foglie porporine e i lunghi rami appesantiti da bacche rossicce dichiarano ufficialmente il ritorno dell’autunno.
E’ già tempo di corbezzoli (10 ottobre 2008), rossi maturano accanto ai fiori bianchi, e di castagne. Rotolano per la strada fuori dai ricci disfatti. E mentre le bacche dell’ilex, 20 dicembre 2008, diventano rosse, anche le foglie, ahimè, ormai cambiano colore.
Aglio
Anche gli agli, come le salvie, non sono soltanto celebri piante aromatiche, ma anche un vasto genere di fiori attraenti e originali, presenti in diversi ambienti. Degli agli si può cominciare a parlare oggi, e non finire più. Numerosi sono, come è noto, gli agli commestibili (vedi per esempio 2 maggio 2008), ma ancora più numerosi gli agli selvatici, con le loro infiorescenze a ombrella semisferica, groppi di fiori dal bianco a rosa, dal lilla e al viola pallido, sempre profumati, sempre magici.
Oltre agli di questa pagina, il piccolo e aggraziato aglio orsino e il rustico A. lusitanicum o aglio delle rocce, che erano in mostra alla rassegna di piante, fiori e frutti dimenticati Frutti antichi presso il Castello di Paderna (Piacenza), ne ho incontrati nei campi per esempio il 12 marzo 2009 e il 1 maggio 2010.
L’aglio era classificato nella famiglia della Liliaceae, poi brevemente attribuito a una famiglia più specifica, tutta sua, le Alliaceae e definitivamente inserito da APG III nelle Amaryllidaceae.
Colletia paradoxa
Pianta davvero originale quest’esotica, di origine ancora sudamericana (Brasile e Uruguay), che non ha foglie, ma fusti che appiattiti e appuntiti svolgono la funzione delle foglie.
Fotografata in piena fioritura nell’orto botanico di Genova.
Acero tridente
Cercando di mettere un po’ d’ordine nelle ‘famiglie’, scopro che secondo una classificazione anche gli aceri possono fare parte delle sapindaceae, come gli ippocastani. Da un certo punto di vista, mi farebbe comodo un’altra grande famiglia dove sistemare un altro folto gruppo di grandi alberi. Ma la questione è troppo complicata e preferisco tenermi Aceraceae e Hippocastanaceae, almeno per il momento.
Questo acero, che si chiama talvolta semplicemente acero di Buerger, è originario della Cina ed ha caratteristiche foglie trilobate. La sua colorazione autunnale è molto suggestiva, e ciò lo rende una ricercata pianta ornamentale anche perchè si adatta agevolmente ai nostri climi, persino nei luoghi meno salutari, come il bordo delle autostrade. E’ molto popolare anche come pianta da bonsai, ma non so se questo per lui sia un merito o una debolezza (io non amo i bonsai, mi ricordano troppo quei cani a cui vengono tagliate orecchie e coda per uniformarli al modello della razza).
L’ho fotografato nel giardino botanico di Lucca.
Rose rifiorenti
Quasi tutti i roseti del giardino hanno una seconda, più o meno florida, fioritura.
La rosa blush noisette è una rosa rampicante antica perchè risale al 1825. Docile, è rifiorita copiosamente, con grappoli di fiori bianchi o rosa pallido, e molti ancora ne sta preparando. Invece super dorothy, una moderna rampicante, è più pigra e raramente rinnova la sua fioritura in autunno, regalando invece profusioni di rossicci cinorroidi.
Pepe nero
Fra le piante ‘commestibili’ non potevo non soffermarmi su queste deliziose foglioline a forma di cuore. E’ la pianta del pepe nero, famiglia Piperaceae, tipicamente tropicale. Non un solo esponente di questa famiglia è spontaneo alle nostre latitudini e quindi devo riparare nei giardini e orti specializzati (qui orto botanico di Genova) per fare la loro conoscenza. Ma anche molto più vicino, negli appartamenti, dove la peperomia, pianticella ornamentale della stessa famiglia, è assai diffusa. Nei giardini botanici si apprendono molte cose sulle piante da appartamento. Prima di tutto che sono piante ‘vere’. Molto di più su di loro ho visto nel giardino botanico di Rio de Janeiro, tutte quelle piante che languono vicino ai termosifoni finalmente all’aperto, alte e rigogliose, grondanti vapore come piace a loro. Ma in quel periodo ero in ‘vacanza’ di impegni fotografici.
Per tornare al pepe nero, non ha bisogno di presentazione, ma chiamarla ‘pianta alimentare’ mi pare eccessivo; è un’aromatica commestibile, ovviamente presa in piccole dosi. Più facile incontrare nei giardini il pepe ‘falso’ o rosa, Schinus molle (13 settembre 2009), della famiglia più cosmopolita della Anacardiaceae.
Arancio trifogliato
Ecco un arancio molto particolare. E’ l’unico agrume che perde le foglie d’inverno e ciò lo rende più resistente al freddo, tanto che si può trovare anche nelle regioni settentrionali dell’Europa. In effetti tollera temperature finoa a -15°. Le foglie sono composte di tre foglioline, di cui quella apicale è più grande. I frutti sono agrumi verde gialli dalla buccia pelosa, vellutata al tatto, e dal gusto molto acido. Si tratta di un albero esclusivamente ornamentale, ma assai gradevole, anche se, come vari altri agrumi, ha rami provvisti di lunghe spine. Per tutte queste sue caratteristiche, più che arancio trifogliato, mi verrebbe da chiamarlo limone peloso, e questo credo che rimarrà il suo nome italiano, almeno per me.
L’ho incontrato in vari giardini botanici. A Lucca il 4 settembre i frutti erano ancora verdissimi; a Genova il 20 settembre ho scattato questa foto ai frutti ormai quasi tutti gialli.
Colchico
Il colchico è una pianta molto velenosa che fiorisce in autunno e assomiglia come una goccia d’acqua a un’altra pianticella, il croco (5 febbraio 2009), che velenosa non è. Anzi da una specie (ormai solo coltivata) di croco, Crocus sativus, si ricava la preziosa spezia dello zafferano. Così il colchico è conosciuto anche come zafferano bastardo. Mi pare sia alquanto difficile definire i caratteri che distinguono questi due generi, che fra l’altro appartengono anche a due famiglie distinte. Il croco è della famiglia delle iridaceae, mentre il colchico appartiene tradizionalmente alle liliaceae, oggi più frequentemente inserito in una famiglia ad hoc, le colchicaceae. Anche la distinzione sul periodo di fioritura, secondo la quale il croco fiorisce alla fine dell’inverno, mentre il colchico fiorisce alla fine dell’estate, mi sembra non accurata, perché i crochi fioriscono anche in autunno e il celebre Crocus sativus si mette a dimora proprio fra agosto e settembre per raccoglierne i fiori fra ottobre e novembre. La differenza sta in qualche particolare della forma, i petali più appuntiti, il colore più pallido, le dimensioni maggiori e anche osservando che il colchico ha sei stami, mentre il croco ne ha solo tre. Questo fiorellino spiegazzato mi pare proprio un colchico, così dolce ed etereo, eppure così velenoso, perché contiene colchicina, una sostanza che in pratica è in grado niente di meno che di distruggere le cellule, anche se ha anche utilizzi farmacologici, principalmente nella cura della gotta.
Fotografato sul sentiero del bosco, vicino casa, Fontanegli (Genova).