Lino campanulato

linum campanulatum
La pianta del lino (Linum usitatissimum, vedi 12 aprile 2010) e le numerose sue parenti della famiglia delle Linaceae (come Linum bienne o selvatico, 17 maggio 2009, e Linum viscosum, lino malvino, 7 giugno 2009, per citarne solo alcune) sono piante comuni, famose di nome e sconosciute di fatto. Una corolla gialla che brilla su un pendio di mezza collina non fa pensare che possa trattarsi di lino, si pensa piuttosto a ranuncoli, ossalidi, iperici o altre piante più celebrate. Invece i fiori del genere Linum sono quanto mai frequenti nei prati e nei campi. Curiosamente li ho conosciuti anch’io per caso, da quando ho letto che la linaria (pianta della famiglia delle Scrophulariaceae, simile alla bocca di leone, vedi 13 giugno 2008) si chiama così perchè le sue foglie ricordano le sottili foglie della pianta del lino. O ancora quando ho letto ‘occhi azzurri come i fiori del lino’. Come sempre accade, ho cominciato a guardarmi intorno e ho scoperto che il lino, molto prima di essere una fibra tessile, è un fiore incantevole, azzurro, rosato o giallo, a seconda della specie. Questo lino campanulato, giallo, non viene usato per tele e lenzuola, ma è una pianta serpentinofita, cioè si è adattato a crescere sulle rocce azzurro verdastre ricche di metalli. Ancora una volta sono le piante che mi insegnano le rocce, e non viceversa.

Viola di Bertoloni

Viola bertolonii

Viola bertolonii

La Viola di Bertoloni (Viola bertolonii) è un endemismo dell’entroterra di Voltri e parco del Beigua, quell’Appennino ligure occidentale ormai riconosciuto dal punto di vista geologico come lembo orientale delle Alpi. Negli endemismi, la vocazione territoriale delle piante arriva al limite estremo, una specie presente soltanto in una porzione di territorio e assente in tutto il resto del globo. O quasi. Sì perché esistono endemismi molto particolari, in cui una certa specie si ritrova in due locazioni abbastanza lontane fra di loro, e, apparentemente, solo in quelle. Come in Sardegna e in Spagna. Comunque non è questo il caso della viola di Bertoloni (così detta in onore di uno dei più grandi botanici italiani, fra l’altro pure in odor di Liguria, seppure dell’estremo levante, essendo nato a Sarzana). Questa pianta, simile ad altre viole del gruppo di Viola calcarata, compare solo nella zona che ho citato prima. Indicata come rarissima nel trattato di Sandro Pignatti del 1982  e a rischio estinzione(1), negli ultimi anni pare si sia ripresa bene e prosperi ampiamente nel suo territorio. Infatti si incontra facilmente a mazzi e gruppi in quella zona, come in questo caso, in località Pratorondanino, non lontano dal giardino botanico, ma fuori da questo, lungo la strada sterrata che si dirige verso i Piani di Praglia. Non ho faticato molto ad identificarla. Pare che da quelle parti, con queste caratteristiche, ci sia solo lei.

(1)Nel testo, vol.2 pag 114, si precisa anche che ‘si tacciono le località precise per motivi di conservazione’.

Orchidea farfalla

Anacamptis papilionacea

Anacamptis papilionacea

Anacamptis papilionacea

Anacamptis papilionacea

Questa è la terza specie di orchidea che ho incontrato nella radura della caprette, il giorno 30 maggio 2010. In un certo senso è la più spettacolare, senza nulla togliere alle altre. Questa pianta è spesso attribuita al genere Anacamptis e quindi in molti manuali si può trovare come Anacamptis papilionacea; così io uso entrambe i nomi, prendendoli un po’ come sinonimi.

E’ più frequente nei luoghi aperti, su suoli calcarei o debolmente acidi. Ho già detto della mia ignoranza su rocce e substrati; probabilmente il bosco rado del pendio, dove crescono i lilioasfodeli, che prediligono substrati silicei, è diverso da quello della radura, più esposta ed erosa dal vento.

Anacamptis papilionacea

Anacamptis papilionacea

orchis papilionaceaIl fiore di questa pianta è di un’eleganza mozzafiato. Bisogna guardarla da ogni lato per apprezzarne tutte le sfumature. I due piccoli petali si spingono in avanti formando un casco rosso, il labello ha il margine ondulato ed è cosparso di venature a ventaglio.
Accanto alla forma lilla e violetta, ne cresceva un paio di esemplari bianchi, o meglio rosa pallido, delle stesse forme incantate.

Ancora niente di eccezionale, per gli esperti si tratta di una delle orchidee più comuni.

Serapide lingua

serapias lingua

 

Ecco un’altra orchidea che cresceva poco distante dalla precedente. Il genere Serapias è tipicamente mediterraneo ed ha una forma molto caratteristica. Il labello trilobo, ha i lobi laterali nascosti dal casco, mentre il mediano pende in avanti come una lingua. Il nome ha origine mitologiche e sembra sia stato attribuito dal medico greco Discoride, vissuto nel primo secolo, ispirandosi a Serapis, divinità egizia della fertilità (quindi un altro riferimento alle radici a forma di testicolo).
Le lingue pendenti delle Serapidi sono veri e proprie piattaforme di atterraggio per gli insetti, a cui segue il confortevole rifugio della struttura tubiforme ad esse collegate. Quanto opportunismo e quanta saggezza nel disegno della forma di questi fiori. Nella serapide lingua, il lobo pendulo del labello è da bianco a purpureo, con venature scure.

Questa orchidea, come quella di ieri e le altre che ho descritto in precedenza (vecchio blog:9 e 22 giugno 2008, 27 aprile, 10 maggio e 30 giugno 2009, questo blog: 27 maggio 2010) sono fiori piuttosto comuni, protette e coccolate, ma diffuse praticamente ovunque. Per noi profani è difficile scovarle più per problemi temporali (la fioritura è breve e dopo scompaiono o sono praticamente irriconoscibili) che spaziali. Nondimeno è certo che troppe sono le persone che non le hanno mai viste, soprattutto perchè, come accade per la maggior parte dei fiori spontanei, non le hanno mai guardate. Si tratta di fiori relativamente piccoli, non particolarmente sfacciati. Da quando ho imparato un poco a conoscerle, il gioco della stagione è diventato andare a cercare le orchidee, nei prati e nei boschi, negli angoli più improbabili ed impensati. Senza, mai e poi mai, raccoglierle.

Caprette e orchidee

caprette al pascolo

 

Pascolano docili e impavide sul pendio, nell’erba novella, verde e tenera come piace a loro. Durante la scorsa estate il fuoco è arrivato anche qui e ha divorato le ginestre (spartium junceum, vedi 27 maggio 2008), delle quali non restano che i rami secchi e neri. Manca un po’ di giallo a questa primavera, anche se voglio sperare che le ginestre torneranno.
anacamptis pyramidalis

 

 

 

 

 

 

 

 

L’erba tuttavia è impreziosita da fiori sorprendenti e diversi, come questa orchidea piramidale (anacamptis pyramidalis), all’inizio della fioritura. Ho già detto quanto le orchidee siano fiori speciali, la loro morfologia è complessa e difficile da descrivere, tanto che per loro sono state coniate complesse terminologie (vedi per esempio qui). Il nome di questo genere, anacamptis, spesso intersecato e sovrapposto al più tradizionale genere orchis, deriva dal greco “ripiegarsi”, ma poichè tutto in questo complicato fiore un po’ si ripiega, non è chiaro a che cosa sia riferito. Il nome della specie richiama la forma dell’infiorescenza, qui inequivocabilmente conica, o piramidale.

Geranio sanguigno

geranium sanguineumgeranium sanguineum
Non al colore dei fiori, ma quello rosso sangue che assumono le foglie d’autunno prima di cadere deve il nome questa specie. Le foglie fanno subito pensare ad un geranio, perchè come in altre specie di questo genere, sono profondamente lobate, divise in cinque segmenti e poi tre sottosegmenti, arcuati, appuntiti, arrotondati. Anche i fiori possono essere rossi, ma più frequentemente sono rosa o lilla. O, raramente, bianchi, come nell’esemplare qui accanto fotografato nel giardino botanico di Pratorondanino. Appariscenti e delicati come quelli delle malve, hanno valso a questa pianta il nome volgare di malvaccino.

Lilioasfodelo

Anthericum liliago

… o giglio di San Bernardo

La primavera è la stagione dei gigli e ogni santo ne ha uno. Poco male se secondo le classificazioni più o meno recenti non sono tutti gigli propriamente detti. Così se il giglio di San Giovanni è proprio un Lilium vero, il giglio di sant’Antonio (vedi 3 agosto 2009 nel vecchio blog) è un’amarillide e appartiene correttamente alla famiglia delle Amaryllidaceae. Anche questo lilioasfodelo, detto anche giglio di San Bernardo, non è un giglio Lilium, ma appartiene al genere Anthericum, recentemente attribuito alla nuova piccola famiglia delle Anthericaceae. Leggo però nelle belle pagine del Dipartimento di Botanica dell’Università di Catania che “le liliaceae sono una grande famiglia … che oggi si tende a separare in numerose piccole famiglie, ma … il criterio sistematico più antico fornisce un’utile visione d’insieme del gruppo”. Per farla breve, senza urtare la sensibilità di nessuno, attribuirò questo giglio alle Liliaceae, come l’asfodelo (vecchio blog, 6 aprile 2010; famiglia moderna delle Asphodelaceae) e i vari agli (vecchio blog 2 maggio 2008, 12 marzo 2009 e 1 maggio 2010; recentemente raggruppati nelle Alliaceae)(1).
I fiori di questa pianta, candidi e sottili, sono disposti in racemi, sorta di pannocchie, e non si aprono mai tutti insieme; così sulla stessa infiorescenza convivono boccioli molto immaturi, corolle spalancate, con stami diritti e il lungo stilo arcuato, e corolle sfatte, ove già occhieggiano le capsule verdi dei frutti. Se ne incontrano numerosi nei sentieri di mezza collina durante la loro luminosa, breve stagione, prediligendo la roccia silicea a quella calcarea. Dato che io non so quasi nulla di rocce, sono i fiori che mi parlano del loro substrato, e non viceversa. A poco a poco da loro imparerò qualcosa anch’io.

(1) Molte delle piccole famiglie in cui erano inizialmente state divise le Liliaceae sono più recentemente e correttamente state inserite nella famiglia delle Asparagaceae.

Lassana

lapsana communis
Forse un giorno imparerò a riconoscerle tutte, o quasi tutte. Queste pianticelle della famiglia delle composite, oggi chiamata asteraceae, che sfoggiano fiori gialli come il sole e modesti come la poca terra in cui sistemano le radici. Capolini lucenti, più o meno fitti, singoli o su steli ramificati, o ancora in infiorescenze a corimbo. lapsana communisLa pianta di oggi si chiama lapsana e in italiano ha molti nomi comuni. Per evitare confusioni con altre della stessa razza, la chiamerò lassana, e il nome è solo suo. Altrove potrà essere chiamata cavoletto selvatico, grespignolo, erba delle mammelle. Altri nomi ancora, che non la identificano perchè molte altre piante vengono volgarmente soprannominate così. Destino comune per le erbette commestibili, utilizzate nelle misticanze, nelle torte di verdura, nelle minestre antiche. Amarognola, ma salutare, emolliente e depurativa, da cui il nome lassana, soprattutto per le turgide mammelle delle puerpere, da cui il nome erba delle mammelle.
I fiori dei capolini sono tutti ligulati, cioè provvisti di una specie di lungo petalo (come sono i fiori più esterni delle margherite). Le foglie più basse del fusto hanno forma lirata, con un largo lobo terminale. Caratteristica che aiuta un poco a riconoscerla nell’universo affollato delle piccole margherite gialle.

Trifoglio stellato

trifolium stellatum
Per chi ama i giochi di forme che talvolta e spesso la natura crea, il trifoglio stellato è una pianta semplice e straordinaria. L’infiorescenza è ovoidale, ma alla fruttificazione assume una forma globulare, e i calici si aprono a forma di perfette stelle a cinque punte, rossiccie, incorniciate di peluria argentea. Così mentre il fiore sembra banale, è l’infruttescenza questa volta a sorprenderci.
Pianta tipica delle coste mediterranee (areale dell’olivo), qui l’ho fotografato sul crinale sopra Bavari, direzione forte dei Ratti. Il mare dista una manciata di kilometri in linea d’aria; la città è vicinissima, ma lontana dal cuore. E’ una radura in leggera pendenza, attraversata da venti gentili, abitata da artropodi e rettili di ogni tipo, visitata spesso da una decina di caprette e da qualche gitante. Prego che questi ultimi siano sempre aggraziati e rispettosi (e lascino a casa le moto da cross).

Caglio zolfino

galium verum
E’ una pianta delle rubiaceae, esile, ma invadente, minuta, ma di colore acceso, diffusissima in prati e radure, in mezzo all’erba. Anticamente veniva usata per cagliare il latte e preparare il formaggio, al posto del più elaborato caglio animale (abomaso dei vitelli da latte). Oggi il caglio vegetale è tornato di moda, per qualche motivo animalista, ma vengono usate anche altre piante.
Per me comunque rimarrà sempre e solo il “fiore a punto in croce giallo”, come lo avevo soprannominato da bambina.